Quotidiano on line
di informazione sanitaria
Venerdì 26 APRILE 2024
Scienza e Farmaci
segui quotidianosanita.it

Trattamento del diabete di tipo 2. Le società scientifiche europee e Usa aggiornano linee guida

di Maria Rita Montebelli

Pubblicato su Diabetes Care un aggiornamento del position statement del 2012 sul trattamento del diabete mellito di tipo 2. Tra le novità, la nuova classe di inibitori dell’SGLT2 e l’estensione della somministrazione di metformina anche ai soggetti con insufficienza renale moderata. Varie le proposte di fine tuning delle terapie di associazione, ma sempre nell’ottica della personalizzazione del trattamento e degli obiettivi glicemici.

16 GEN - Le Società scientifiche di diabetologia europea (EASD) ed americana (ADA) hanno appena messo mano ad un aggiornamento del loro position statement EASD-ADA del 2012 sulla gestione dell’iperglicemia nel diabete mellito di tipo 2, pubblicandolo sul numero di gennaio di Diabetes Care.
 
Viene confermata e ribadita la necessità di un approccio centrato sul paziente e introdotte una serie di novità sia relative alle new entry nel panorama farmacologico (inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio 2, SGLT2), sia alla rimozione di alcuni paletti per l’impiego di terapie consolidate (la metformina potrà essere somministrata fino a 30 ml/min di filtrato glomerulare). Ridimensionati i rischi di effetti indesiderati, relativi ad alcuni farmaci (è il caso del pioglitazone per il quale viene escluso un rapporto con il cancro della vescica e degli inibitori del DPP-4 per i quali viene tolto l’alert circa i possibili rischi di pancreatite o di carcinoma pancreatico).
 
Obiettivi terapeutici.Il controllo della glicemia rimane il target principale del trattamento dei soggetti con diabete di tipo 2 naturalmente. Il nuovo documento sottolinea però la necessità di inquadrare questo obiettivo nell’ambito del profilo di rischio globale del paziente, che comprenda lo smettere di fumare, adottare sane abitudini di vita, raggiungimento deitarget pressori e lipidici anche utilizzando le statine e, dove necessario, un antiaggregante piastrinico.
Per quanto riguarda l’obiettivo glicemico da raggiungere, questo oscilla intorno al valore del 7% di emoglobina glicata, ma viene chiaramente ribadita la necessità di una sua personalizzazione. In particolare, ci si potrà spingere verso valori inferiori nei giovani e nei soggetti con recente diagnosi di diabete, mentre bisognerà evitare di essere troppo aggressivi nell’anziano, nei pazienti fragili e con più patologie associate, per scongiurare il rischio di crisi ipoglicemiche. Uno stretto controllo glicemico riduce sicuramente le complicanze microvascolari; meno definita rimane invece l’entità del beneficio sulle complicanze cardiovascolari, se non dopo molti anni di migliorato controllo.
 
Novità farmacologiche. Dalla pubblicazione del 2012, la principale nuova opzione di trattamento è rappresentata dagli inibitori del SGLT2, una nuova classe di farmaci in grado di ridurre a glicata dello 0,5-1% rispetto al placebo. Questi farmaci agiscono inibendo il SGLT2 a livello del nefrone prossimale, riducendo in questo modo il riassorbimento di glucosio e favorendone l’escrezione urinaria, fino a 80 grammi al giorno. Hanno un meccanismo d’azione indipendente dall’insulina; per questo possono essere utilizzati in qualunque stadio del diabete di tipo 2 (anche nei soggetti in trattamento insulinico). Ulteriori effetti favorevoli degli inibitori dell’SGLT2 sono l’induzione di un modesto calo ponderale (circa 2 chili, nell’arco di 6-12 mesi), una consistente riduzione dei valori pressori (dell’ordine di 2-4 mmHg per la sistolica e 1-2 mmHg per la diastolica). Determinano anche una riduzione dei valori di acido urico plasmatico e dell’albuminuria.
 
Tra gli effetti indesiderati si segnalano un aumentato rischio di infezioni micotiche genitali (11% in più nelle donne e 4% in più negli uomini, rispetto a gruppo placebo) e un leggero aumento del rischio di infezioni delle vie urinarie. Questi farmaci hanno un effetto diuretico e possono dunque determinare deplezione di volume; vanno conseguentemente utilizzati con cautela nell’anziano e nei soggetti in terapia diuretica. Possono dare temporanei modesti rialzi della creatininemia e un’aumentata escrezione urinaria di calcio (l’FDA sta monitorando la comparsa di fratture a carico degli arti superiori nei soggetti in trattamento con canagliflozin, dopo il riscontro di un eccesso di casi in trial a breve termine). In alcuni studi, sono stati segnalati modesti rialzi del colesterolo LDL (5%). Questi farmaci risultano meno efficaci infine nei soggetti con filtrato glomerulare inferiore a 45-60 ml/min/1,73 m2. I trial sulla safety cardiovascolare sono attualmente in corso.
 
Tiazolidinedioni.Le evidenze scientifiche incamerate in questi ultimi anni hanno gettato acqua sul fuoco relativamente all’ipotesi di un aumentato rischio di cancro della vescica, associato all’impiego di questi farmaci e in particolare al pioglitazone. Questa classe causa aumento di peso ed edemi periferici; è dimostrata un’aumentata incidenza di scompenso cardiaco con il loro uso, come anche quella di fratture ossee (sopratutto nelle donne). Il pioglitazone è disponibile anche come generico.
 
Inibitori del DPP-4. Un grande studio clinico sul saxagliptin non ha evidenziato né un aumento di rischio, né maggiori vantaggi dall’uso di questo farmaco, in ambito cardiovascolare (ma il follow up era di poco più di due anni), rispetto al placebo. E’ emerso tuttavia il dato di un maggior numero di ricoveri per scompenso cardiaco nel gruppo in trattamento attivo. Un analogo studio di safety effettuato con alogliptin non ha dimostrato un eccesso di rischio cardiovascolare nei pazienti ad alto rischio (il follow up in questo caso era di 18 mesi). Per tutti gli altri farmaci di questa classe, i trial di safety cardiovascolare sono ancora in corso. Gli esperti delle società scientifica raccomandano nel frattempo prudenza nell’impiego di questa classe di farmaci nei pazienti con preesistente scompenso cardiaco.
 
Sembra invece definitivamente tramontato l’allarme circa un maggior rischio di pancreatiti o di neoplasie pancreatiche per gli inibitori dei DDP-4 e per gli analoghi del GLP-1, sebbene le linee guida di trattamento suggeriscano prudenza nel somministrarli a pazienti con pregressa storia di pancreatite.
 
Scelta del trattamento iniziale. La metformina rimane il farmaco di prima scelta nei soggetti con diabete di tipo 2. Il documento appena pubblicato suggerisce che gli attuali ‘paletti’ di funzionalità renale per la prescrivibilità di questo farmaco in vigore negli Sati Uniti (in questo Paese è controindicato nei maschi con creatininemia ≥ 1,5 mg/dl e nelle femmine con valori ≥ 1,4 mg/dl) potrebbero essere fin troppo restrittivi. L’invito è dunque quello ad essere più ‘rilassati’ nelle policy prescrittive, estendendo l’impiego della metformina anche a soggetti con insufficienza renale di grado lieve-moderato, purché stabile e regolarmente monitorata. Un criterio certo per interrompere la somministrazione del farmaco è un filtrato renale al di sotto dei 30 ml/min/m2.
 
Nei soggetti con controindicazione all’impiego di metformina, la scelta del trattamento iniziale cadrà dei uno dei farmaci di seconda linea.
La scelta sarà  comunque limitata dall’eventuale presenza di insufficienza renale di grado moderato-grave; in particolare, nei soggetti con insufficienza renale non andranno usate le sulfoniluree (in particolare la glibenclamide) per il rischio di ipoglicemie. La scelta migliore in caso di insufficienza renale, secondo gli autori è rappresentata dagli inibitori del DPP-4 da somministrare a dosaggi adeguati alla funzionalità renale (fatta eccezione per linagliptin che non richiede adeguamento posologico).
 
Terapie di associazione (doppia o tripla). Sebbene gli inibitori dell’SGLT2 siano approvati anche in monoterapia, più frequentemente vengono utilizzati in associazione con metformina e/o altri agenti. Rappresentano dunque una ragionevole opzione terapeutica, secondo gli autori del documento, come terapia di seconda o terza linea. Non esistono al momento studi sull’associazione inibitori SGLT2 e analoghi del GLP-1 per cui, ricordano gli autori, al momento non è possibile emanare una raccomandazione evidence-based al riguardo.
 
Come già evidenziato nel precedente position paper, una terapia iniziale con l’associazione di metformina più un secondo agente farmacologico, consente di raggiungere più rapidamente gli obiettivi di glicata, rispetto ad una terapia sequenziale. L’approccio della terapia di associazione sin dall’inizio del trattamento dunque andrebbe considerato soprattutto nei soggetti con glicata elevata (viene suggerita la soglia di ≥ 9%).
 
Terapia di associazione iniettiva. In alcuni pazienti, anche con un’associazione di tre farmaci non si riescono a raggiungere i target di glicata; va dunque considerata l’aggiunta di un’insulina basale. Se anche questo non basta, si può passare alla somministrazione di insulina basale in associazione a insulina rapida (da una a tre somministrazione ai pasti al giorno) o alle insuline premiscelate in alcuni pazienti selezionati.
 
Negli ultimi tre anni – ricordano gli autori – è stata dimostrata l’efficacia dell’associare un agonista del GLP-1 (sia gli short-acting, sia le formulazioni settimanali) con un’insulina basale, con il vantaggio di un calo ponderale e di una maggior sicurezza sul fronte delle ipoglicemie.
 
Gli agonisti del GLP-1 possono essere considerati anche come add-on ad una precedente terapia di associazione di farmaci orali e insulina basale; vanno preferiti all’insulina rapida, nei soggetti obesi o i quelli che non riescono a gestire una terapia insulinica che preveda più somministrazioni giornaliere. Nei soggetti in trattamento con insulina basale e analogo del GLP-1 che non raggiungono i target glicemici, è necessario tuttavia passare ad una strategia di terapia insulinica, secondo lo schema basal-bolus.
 
In pazienti selezionati, giunti a questo stadio della malattia, l’aggiunta di un inibitore dell’SGLT2 può aiutare a migliorare il controllo glicemico e a ridurre il fabbisogno insulinico. Questo è particolarmente importante soprattutto nei soggetti obesi in terapia con numerose unità di insulina o nei pazienti con grave insulino-resistenza.
 
Un ruolo nei soggetti con elevato fabbisogno insulinico lo hanno anche le cosiddette insuline ‘concentrate’ (es. U-500 Regular), utilizzate allo scopo di minimizzare il volume di liquido iniettato.
 
Viene sottolineato infine come resti fondamentale l’importanza del counseling dietetico e dell’educazione all’autogestione del diabete.
 
Maria Rita Montebelli

16 gennaio 2015
© Riproduzione riservata

Altri articoli in Scienza e Farmaci

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWS LETTER
Ogni giorno sulla tua mail tutte le notizie di Quotidiano Sanità.

gli speciali
Quotidianosanità.it
Quotidiano online
d'informazione sanitaria.
QS Edizioni srl
P.I. 12298601001

Sede legale:
Via Giacomo Peroni, 400
00131 - Roma

Sede operativa:
Via della Stelletta, 23
00186 - Roma
Direttore responsabile
Luciano Fassari

Direttore editoriale
Francesco Maria Avitto

Tel. (+39) 06.89.27.28.41

info@qsedizioni.it

redazione@qsedizioni.it

Coordinamento Pubblicità
commerciale@qsedizioni.it
    Joint Venture
  • SICS srl
  • Edizioni
    Health Communication
    srl
Copyright 2013 © QS Edizioni srl. Tutti i diritti sono riservati
- P.I. 12298601001
- iscrizione al ROC n. 23387
- iscrizione Tribunale di Roma n. 115/3013 del 22/05/2013

Riproduzione riservata.
Policy privacy