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Allergie alimentari nei bambini. Per evitarle meglio inserire al più presto nella dieta gli alimenti allergenici. Dalle uova al pesce

di Maria Rita Montebelli

Dopo lo studio LEAP dello scorso anno, il New England Journal of Medicine pubblica il trial EAT, che sebbene non conclusivo per la scarsa compliance registrata, suggerisce nell’analisi ‘per-procol’ i benefici dell’introduzione precoce, entro cioè i primi tre mesi di vita, di alimenti allergenici, quali latte, uova, pesce, nel proteggere i piccoli dallo sviluppo di future allergie alimentari

09 MAG - Il problema delle allergie alimentari tra i bambini è cosa seria e si stima che possa arrivare ad interessarne fino all’8% sotto i tre anni d’età. Lontano anni luce dal ‘tòpos’ salottiero delle pseudo-intolleranze, le allergie alimentari nei bambini possono assumere contorni drammatici o addirittura fatali. Anche le schede di dimissione ospedaliera degli USA confermano il trend, con un numero sempre più elevato di ricoveri per anafilassi da cibo. Al punto che molte scuole stelle e strisce – rivela in un editoriale sul New England Journal of Medicine Gary W.K. Wong del Dipartimento di Pediatria, Prince of Wales Hospital, Chinese University of Hong Kong, Cina - sono corse ai ripari introducendo una policy che di fatto vieta lo scambio di merendine a ricreazione, per evitare che qualche bambino allergico rischi di finire in pronto soccorso per un bocconcino di pane e burro di arachidi.
 
Questo sul fronte della scuola. Sul fronte della medicina, per anni il mantra ‘no- food allergy’ è consistito nel sottolineare con decisione ai genitori l’importanza di evitare l’introduzione di alimenti, quali uova, arachidi e pesce nei primissimi mesi di vita per evitare che un’esposizione precoce conducesse alla sensibilizzazione.
 
Poi lo scorso anno è arrivato lo studio LEAP (Learning Early about Peanut Allergy), un vero e proprio tsunami per la comunità scientifica, che ha scardinato il mantra delle allergie pediatriche. Questo studio dimostrava infatti che la somministrazione precoce di arachidi a neonati a rischio, riduceva in maniera drammatica il rischio di sviluppare l’allergia. Le ricadute sono state immediate. Dieci società mediche nazionali e internazionali hanno siglato una consensus su come introdurre le arachidi nell’alimentazione dei neonati ad alto rischio come strategia di prevenzione primaria.
 
Ma le arachidi sono solo una parte del problema. Come comportarsi con latte, uova, pesce? A questa domanda hanno cercato di dare risposta i ricercatori dello studio EAT (Enquiring About Tolerance), appena pubblicato sul New England, che ha valutato se l’introduzione precoce nell’alimentazione dei neonati sotto i 3 mesi di età di sei alimenti allergenici potesse prevenire la comparsa di allergia almeno ad uno di questi cibi.
 
A questo scopo sono stati arruolati 1.300 neonati inglesi, tutti in allattamento materno, assegnati in maniera randomizzata a due gruppi: quello ‘introduzione precoce’ (entro i 3 mesi di vita) e quello ‘introduzione standard’ (intorno a 6 mesi di vita).
 
I neonati del primo gruppo ricevevano dai loro genitori ogni settimana 3 cucchiaini di burro di arachidi, un piccolo uovo, due porzioni (40-60 grammi) di yogurt di latte vaccino, 3 cucchiaini di pasta di sesamo, 25 grammi di pesce bianco e due biscotti ai cereali a base di grano. Tutti i piccoli sono stati rivalutati regolarmente fino al raggiungimento dei 3 anni d’età. L’analisi intention-to-treat non ha rivelato differenze statisticamente significative tra i due gruppi.
 
Ma al momento del disegno dello studio i ricercatori inglesi sapevano che questa ricerca non sarebbe stata facile. Prova ne è il fatto che meno della metà (42,8%) dei partecipanti al gruppo ‘introduzione precoce’ ha aderito fino in fondo al protocollo dello studio.
 
E l’analisi ‘per-protocol’ (quella che ha considerato solo chi ha aderito al protocollo fino in fondo) racconta infatti un’altra storia. L’endpoint primario in questo caso è risultato significativamente inferiore nel gruppo ‘introduzione precoce’ (2,4%), rispetto a quello ‘introduzione standard’ (7,3%), il che suggerisce – afferma l’editorialista cinese – che questo approccio risulta efficace solo se genitori e neonati riescono ad aderire fedelmente al protocollo. Non si possono però neppure trarre conclusioni affrettate.  E sono possibili anche altre spiegazioni. Sebbene lo studio abbia dimostrato che l’introduzione precoce di questi alimenti allergenici sia sicura, il basso tasso di aderenza al protocollo suggerisce che in condizioni di vita reale, la compliance possa essere ancora più bassa, rendendo di fatto questo approccio inefficace.
 
E inoltre, una volta stabilito che l’introduzione precoce di questi alimenti è sicura, restano ancora da chiarire altri punti:  la quantità minima da somministrare per indurre tolleranza a questi alimenti; se questo regime di introduzione degli alimenti possa funzionare anche posticipandolo di qualche settimana; come migliorare la preparazione di questi alimenti per renderli più facili da somministrare ai neonati (con i cibi solidi, come l’uovo, ci sono spesso dei problemi).
 
Ma al di là di tutti questi questioni ancora aperte, resta il fatto che anche questo studio spezza una lancia a favore dell’introduzione precoce degli alimenti come strategia di prevenzione primaria delle allergie alimentari. Una storia che è arrivato forse il momento di riscrivere.
 
Maria Rita Montebelli

09 maggio 2016
© Riproduzione riservata

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