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Staphilococcus epidermidis: da innocuo commensale, a killer nel post-operatorio

di Maria Rita Montebelli

Lo rivela uno studio dell’Università di Bath pubblicato su Nature Communications. I batteri potenzialmente mortali hanno acquisito una sequenza di 61 geni che li rende poco visibili alle difese immunitarie dell’ospite, li fa proliferare nel torrente ematico e ne rende la superficie ‘appiccicosa’, fatto questo facilitante la formazione di biofilm. A rischio soprattutto gli interventi di protesizzazione ortopedica.

29 NOV - Ce lo abbiamo praticamente tutti sulla pelle e fino a qualche tempo fa era considerato un batterio del tutto innocuo. Ma ‘grazie’ ai fenomeni di antibiotico-resistenza non è più così. Il batterio finito sotto stretta osservazione è lo Staphylococcus epidermidis visto che sta diventando un’importante causa di infezioni potenzialmente fatali dopo un intervento chirurgico, spesso tuttavia trascurate proprio per il fatto che questo batterio è pressoché ubiquitario e dunque considerato un commensale.
 
Ad attirare l’attenzione sul fatto che questo batterio in realtà potrebbe essere meno innocuo di quanto si pensi sono i ricercatori del Milner Centre for Evolution dell’Università di Bath; il loro consiglio è quello di usare precauzioni extra per i pazienti a rischio di infezioni che stanno per andare incontro ad un intervento chirurgico. I ricercatori inglesi in particolare hanno individuato una sequenza di 61 geni in grado di trasformare questo batterio normalmente inoffensivo in un temibile patogeno (la ricerca è stata pubblicata da Nature Communications). La loro speranza è che, riuscendo a capire perché alcuni ceppi di S. epidermidis risultano patogeni, si possano in futuro individuare i pazienti a maggior rischio di infezione, prima che vadano incontro ad un intervento chirurgico.
 
Nella loro ricerca hanno confrontato campioni prelevati da pazienti che erano andati incontro a infezioni dopo interventi di protesizzazione d’anca o di ginocchio o di osteosintesi dopo frattura, confrontandoli con campioni prelevati dalla cute di volontari sani. Dal confronto delle variazioni genetiche tra i campioni dei soggetti sani e dei pazienti, gli autori dello studio hanno individuato questa sequenza di 61 geni nei batteri patogeni che non compare nella maggior parte dei campioni prelevati ai sani (anche se qualche ‘portatore’ sano’ di S. epidermidis è stato individuato).  Questa stringa di 61 geni – hanno scoperto i ricercatori inglesi – è in grado di favorire la crescita del batterio nel torrente ematico, di evitare le difese immunitarie dell’ospite e di rendere la superficie del batterio ‘appiccicosa’, fatto questo che aiuta i microrganismi a creare dei biofilm e a renderli resistenti agli antibiotici.
 
“Lo S. epidermidis – commenta il professor Samuel Sheppard, Director of Bioinformatics presso il Milner Centre for Evolution dell’ Università di Bath – è chiaramente un patogeno mortale; lo abbiamo sempre ignorato clinicamente  perché veniva considerato un contaminante negli esami colturali o veniva semplicemente accettato come un possibile rischio della chirurgia. Le infezioni post-operatorie possono essere molto gravi e addirittura fatali; le infezioni provocano quasi un terzo di tutti i decessi in Gran Bretagna e quindi ritengo che sia nostro dovere fare tutto il possibile per ridurre questo rischio”.
 
“Gli impianti di protesi ortopediche – commenta il professor Dietrich Mack, Bioscientia Institute for Medical Diagnostics GmbH, Germania – aiutano molti pazienti a riacquistare l’indipendenza e a vivere senza dolore. Tuttavia questi interventi possono avere esiti catastrofici in caso di infezione da S. epidermidis. Si tratta di infezioni difficili da diagnosticare ; ci auguriamo che i geni individuati ci consentano di riconoscere i batteri innocui da quelli patogeni nelle analisi di laboratorio”.
 
Maria Rita Montebelli

29 novembre 2018
© Riproduzione riservata

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