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Dall’alito cattivo alle staminali del fegato un possibile nuovo percorso terapeutico


La notizia arriva dal Giappone: la sostanza che provoca il cattivo odore in chi soffre di alitosi, l’acido solfidrico, potrebbe aiutare a spingere le staminali della polpa dentaria a differenziarsi in cellule del fegato. Potrebbe essere il modo più efficiente e sicuro di rigenerare tessuti danneggiati.

28 FEB - A quanto pare la molecola responsabile per l’alito cattivo potrebbe avere anche delle proprietà positive. Arriva infatti uno studio della Nippon Dental University di Tokyo a rivalutare l’acido solfidrico (H2S), dal caratteristico odore di uova marce: secondo il lavoro pubblicato su Journal of Breath Research, la sostanza potrebbe essere utile se usata insieme ad altre sostanze per stimolare la conversione delle cellule staminali presenti nei denti in cellule differenziate del fegato.
 
I ricercatori hanno infatti ricavato delle staminali dalla polpa dentaria di alcuni volontari,la parte interna del dente costituita di tessuto connettivo e altre cellule. Dopo aver separato i campioni in due gruppi, ne hanno quindi posto metà in una camera riempita di H2S e altre molecole, osservando che questo aumentava la percentuale di cellule staminali che si convertivano in unità biologiche del fegato. Queste potrebbero dunque essere usate per curare porzioni danneggiate dell’organo.
Le colture sono poi state successivamente osservate dopo tre, sei e nove giorni, in modo da controllare che la trasformazione in cellule del fegato fosse confermata. Queste sono poi state testate: è stata messa alla prova – con successo – sia la loro capacità di  immagazzinare glicogeno, fonte di energia per l’organismo, e di raccogliere l’urea, bioprodotto del metabolismo proteico che viene trasferito dai reni al sangue e alle urine.
 
Secondo i ricercatori, usando le nozioni emerse dallo studio,sarà possibile creare cellule del fegato di buona qualità. “Un’alta purezza delle unità biologiche implica che ci siamo meno cellule che vengono per errore differenziate in quelle di altri tessuti, o che rimangono per sempre staminali”, ha spiegato Ken Yaegaki, autore principale dello studio. “Questo suggerisce che i pazienti ai quali vengono impiantate queste cellule staminali, potrebbero avere possibilità quasi nulle di sviluppare teratomi, i tumori maligni che rappresentano uno dei peggiori effetti collaterali del trapianto”.
Inoltre, secondo il ricercatore con questo metodo è possibile riprodurre grandi quantità di cellule per l’impianto. “Fino ad oggi nessun protocollo clinico riusciva ad arrivare a produrre così tante staminali”, ha continuato lo scienziato. “In confronto con le altre tecniche, il nostro metodo è più produttivo, e soprattutto più sicuro”.
 
Ma secondo gli esperti ci sarà bisogno di ulteriori test,per verificare che le cellule così prodotte riescano a metabolizzare specifiche tossine, come fanno quelle di un fegato sano. “Ci sarà dunque bisogno di esperimenti che verifichino questa particolare funzione enzimatica”, ha spiegato Anthony Hollander, alla direzione del dipartimento di medicina cellulare e molecolare dell’Università di Bristol. “In ogni caso il lavoro è interessante, perché scopre una via ancora non percorsa, seppure l’efficacia terapeutica debba ancora essere testata”.
 
Laura Berardi

28 febbraio 2012
© Riproduzione riservata

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