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Disabilità. Quel silenzio assordante sulla legge delega che cela diversi aspetti da rivedere

di M.Cingolani, P.Fedeli, F.Cembrani

Tra le omissioni della delega appena approvata dal Parlamento quella di non intervenire per correggere gli ampi difetti delle politiche di trasferimento monetario offrendo, responsabilmente e con una regia pubblica, a chi ne ha bisogno, quei servizi necessari a promuovere la loro partecipazione e, soprattutto, a tutelare la loro stessa dignità

21 DIC - Anche il Senato ha all’unanimità definitivamente approvato, dopo il sì espresso dall’Assemblea della Camera, il disegno di legge n. 3347-A licenziato dal Consiglio dei Ministri all’inizio del mese di novembre nel quale è contenuta la delega al Governo per la revisione ed il riordinodi tutte le norme vigenti in materia di disabilità.
 
Naturalmente, non si tratta di una delega in bianco perché il provvedimento esplicita i principi ed i criteri direttivi del mandato che il Governo dovrà onorare entro il termine di 20 mesi dall’approvazione della legge.
 
Il suo scopo principale, indicato dall’art. 2, è diretto alla razionalizzazione ed alla unificazione in una sola procedura del processo valutativo dell’handicap, dell’invalidità civile, della cecità civile, della sordità civile, della sordo-cecità, dell’inclusione lavorativa e scolastica degli alunni con disabilità, della non autosufficienza oltre che di quelli previsti  per l’accesso alle agevolazioni fiscali, tributarie ed a quelle relative alla mobilità, all’assistenza protesica, sanitaria e riabilitativa  “[…] e di ogni altro accertamento previsto dalla normativa vigente,  confermando e garantendo la specificità e l’autonoma rilevanza di ciascuna forma di disabilità”.  
 
L’obiettivo generale è, così, quello di unificare i processi valutativi oggi affidati ad organi tecnici a composizione differenziata anche se si conferma, per l’ennesima volta, l’autonoma rilevanza delle disabilità riconosciute dal legislatore italiano a testimoniare, con l’inciso virgolettato apportato dalla Commissione XII Affari sociali della Camera a correzione del testo originale, la priorità politica di non rinunciare all’antiquata differenziazione etiologica-categoriale della disabilità confermata dal mantenimento in vita delle quattro associazioni di categoria previste dall’art. 1, co 3, della legge n. 295/1990 (nello specifico, l'Associazione   nazionale   dei   mutilati  ed  invalidi  civili, l'Unione italiana ciechi, l'Ente nazionale per la protezione   e l'assistenza   ai   sordomuti  e  l'Associazione  nazionale  delle famiglie dei fanciulli ed adulti subnormali). 
 
Quanto alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ripetutamente richiamata dalla legge appena approvata, se ne fa anche un non felice esplicito richiamo nell’espressione “durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali” (art. 1)  dimenticando che quella Convenzione è prioritariamente impegnata a proteggere la loro dignità ed a promuovere la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri.
 
Anche se questo non è il solo difetto della legge fors’anche per il deludente dibattito pubblico ed anche politico che ha accompagnato la nascita del provvedimento con un’attenzione generale ancor troppo focalizzata sulla recrudescenza pandemica.
 
Anche i commenti del mondo professionale sono stati purtroppo fiochi e radi[1]  nonostante il rivoluzionario cambio di paradigma della disabilità e dei suoi criteri di accertamento che si stanno prospettando all’orizzonte.
 
Che, in tempi oramai lontani, ci hanno fatto a lungo riflettere per segnalare la loro vetustà e, soprattutto, i difetti di un welfare troppo concentrato sui trasferimenti monetari e sulla delega familista dell’assistenza.
 
Pur osservando che questi difetti sono stati ripresi dal Piano nazionale di ripresa e resilienza considerato che nella Missione 5 del PNRR (‘Inclusione e Coesione’) si dichiara l’esigenza improrogabile di intercettare e supportare le situazioni di fragilità sociale ed economica, di sostenere le famiglie e la genitorialità prevedendo specifiche linee d’intervento per i disabili e per gli anziani ed un “un rilevante investimento infrastrutturale, finalizzato alla prevenzione dell’istituzionalizzazione attraverso soluzioni alloggiative e dotazioni strumentali innovative che permettano di conseguire e mantenere la massima autonomia, con la garanzia di servizi accessori, in particolare legati alla domiciliarità, che assicurino la continuità dell’assistenza secondo un modello di presa in carico socio-sanitaria coordinato con il parallelo progetto di rafforzamento dell’assistenza sanitaria e della rete sanitaria territoriale”.
 
Investimento confermato dalla legge che, all’art. 3,  precisa che agli oneri derivanti dall’attuazione del provvedimento si provvede con le risorse del PNRR, con il Fondo per la disabilità e la non autosufficienza e con la razionalizzazione e riprogettazione dell’impiego delle risorse previste a legislazione vigente per il settore della disabilità.
 
La legge appena approvata si compone di 5 articoli, spesso di non agevole interpretazione, con molti vuoti ed evidenti contraddizioni.  
 
Per gli aspetti di nostra stretta competenza merita attenzione l’art. 1 che definisce la  finalità della legge-delegaindicandola, come già anticipato,  nella revisione/riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità, in attuazione degli articoli 2, 3, 31 e 38 della Costituzione, in conformità alle previsioni della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e del relativo Protocollo opzionale, alla strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030  approvata dalla Commissione europea il 3 marzo 2021 e alla risoluzione sulla protezione delle persone con disabilità adottata dal Parlamento europeo il 7 ottobre 2021 con l’obiettivo di garantire alla persona disabile il riconoscimento della propria condizione per consentirle il pieno esercizio dei suoi diritti civili e sociali, ivi inclusi i diritti alla vita indipendente e alla piena inclusione sociale e lavorativa nonché l'effettivo e pieno accesso al sistema dei servizi, delle prestazioni, dei trasferimenti finanziari previsti e di ogni altra relativa agevolazione per promuoverne l'autonomia nel rispetto dei principi di autodeterminazione e di non discriminazione.
 
E l’art. 2 che esplicita i principi ed i criteri direttivi ai quali dovrà attenersi il Governo nell'esercizio della delega parlamentare, a partire dalla (ri)definizione della disabilità che dovrà essere coerente con l’art. 1, secondo paragrafo, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, anche intervenendo – laddove ciò occorra - sulla legge-quadro in materia di handicap. Prevedendo, tuttavia, percorsi separati per le persone disabili in età lavorativa rispetto agli anziani ed a quelli previsti per gli infra-18enni, non meglio precisati anche se genericamente collocati su due piani distinti.
 
Che la legge indica: (a)  nella valutazione-base della disabilità; (b) nella sua successiva valutazione multi-dimensionale fondata sull’approccio bio-psico-sociale, attivabile su richiesta della persona disabile o da chi la rappresenta, previa adeguata informazione sugli interventi, sostegni e benefìci cui la stessa può accedere, finalizzata al progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato e senza trascurare le differenze di genere.
 
In attesa di capire chi sarà il soggetto pubblico cui sarà affidata la competenza sulle procedure finalizzate all’accertamento della disabilità nel processo valutativo di base[2] e nell’eventuale (successivo) progetto di vita indipendente, ciò che rileva è questa bipolarità della valutazione, con distinzione tra l’accesso ai diritti di base (per l’erogazione dei cash benefits e/o delle agevolazioni assistenziali oggi previste) e quello individualizzato, attivabile su richiesta della persona e/o del suo rappresentante legale (per l’inclusione sociale), a suggerire l’idea che la presa in carico pubblica della persona è un optional  riservato ad un gruppo ristretto di persone vulnerabili, a discapito del principio di uguaglianza sancito, oltre che dalla nostra Carta costituzionale, anche dalla Convenzione delle Nazioni Unite.
 
Ciò che sembra dipanarsi nel confuso orizzonte della legge-delega e così un duplice divello di garanzia che, naturalmente, deresponsabilizza chi sarà chiamato ad accertare la condizione di base della disabilità sia pur con la nuova criteriologia dell’ICF che dovrà, tra l’altro, formalizzare  “le necessità di sostegno, di sostegno intensivo o di restrizione della partecipazione della persona ai fini dei correlati benefìci o istituti” (art. 2) senza però dire nulla sulla base di quale criteriologia valutativa.  
 
A confermare, implicitamente, che ciò che si vuole fare non è riformare, a tutto tondo, il nostro sistema di welfare assistenziale come era logico aspettarsi dopo anni di attesa ma le sole regole d’ingaggio, adeguando gli strumenti di valutazione all’ICF  e all’ICD che, però, come sappiamo, pur essendo straordinari descrittori del funzionamento della persona, non sono assolutamente in grado di esprimere, in forma riproducibile, la gravità del bisogno quando occorra graduarla in relazione ai criteri-soglia che comunque esistono e che non sembrano essere l’oggetto della annunciata riforma.
 
Vedremo cosa accadrà con il  progressivo aggiornamento delle definizioni, dei criteri e delle nuove modalità di accertamento della disabilità e vedremmo, soprattutto, espulso il richiamo alla durevole menomazione presente nella versione originaria del d.d.l.,  quale sarà il nuovo paradigma per la stima graduata e differenziata del grado di impairment auspicando che per i minori e per gli over-65enni si individuino idonee scale di valutazione che, ancorchè “consolidate nella letteratura scientifica e nella pratica clinica” (art. 2), non banalizzino/eludano il modello bio-psico-sociale dell’ICF e dell’ICD per ragioni di finanza pubblica.
 
Anche se è davvero arduo ipotizzare quale sarà lo scenario generale in cui si calerà la riforma della disabilità perché i criteri-guida sono espressi in maniera confusa e spesso scoordinata fors’anche a causa dei ristrettissimi tempi imposti dall’Europa per l’approvazione della legge-delega che non hanno cero favorito né la discussione pubblica né quella parlamentare[3].  
 
Ciò che non convince è il sistema di tutela a doppia valutazione pur dando atto che la prevista interoperatività delle piattaforme informatiche qualche vantaggio lo potrà sicuramente dare  ed il persistere del distinguo etiologico-categoriale della disabilità che non potrà essere certo corretto ricorrendo al solo supporto di un descrittore internazionale (l’ICF e l’ICD) incapace di affrontare, con il rigore necessario, la questione dei livelli-soglia che aprono la porta di accesso ai trasferimenti monetari, soprattutto nel caso dei minori e degli anziani per i quali sono stati previsti percorsi valutativi differenziati.  
 
E non convince, assolutamente, l’idea che la valutazione multidimensionale sia un’opzione dedicata alle sole persone adulte in età lavorativa come sembra confermare il richiamo agli accomodamenti ragionevoli[4] previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite oltre che dalla Direttiva 2000/78/CE (‘Quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro’) per la cui violazione la Corte di Giustizia europea ha già sanzionato l’Estonia; perché anche la persona anziana ha il sacrosante diritto ad essere presa in carico dai soggetti pubblici attraverso un progetto di vita indipendente a finanziamento aggiuntivo.
 
Non farlo significherebbe discriminare ancora una volta le persone disabili violando il principio di uguaglianza sancito in tutte le norme richiamate dalla stessa legge-delega che appare, così, un alquanto modesto restyling ad un qualcosa che non può essere rimesso a nuovo se non a partire dalle sue stesse fondamenta portanti.  
 
Anche se ciò richiede il coraggio di proteggere la visione unitaria anche a sacrificio dei tanti privilegi che continuano ad esistere nel variegato mondo della disabilità dove si animano gruppi forti (che chiedono a gran voce il riconoscimento della loro specificità) e moltissimi invisibili la cui voce non è mai stata, purtroppo, ascoltata.
 
Dando per scontato che la specificità della menomazione invalidante si oppone a qualsiasi tentativo orientato al suo inquadramento unitario  laddove si mantengano in vita gli attuali livelli-soglia per l’accesso ai trasferimenti monetari (soprattutto quelli previsti per le disabilità sensoriali e quelli richiesti per l’accesso all’indennità di accompagnamento nel caso di disautonomia motoria, spesso indipendenti dalle reali esigenze inclusive e/o di assistenza della persona disabile), senza potenziare i facilitatori ed intervenire sui tanti ostacoli e le molte barriere.
 
Di tutto ciò la legge-delega non sembra però occuparsi quando sarebbe stato necessario invertire gli ampi difetti delle politiche di trasferimento monetario offrendo, responsabilmente e con una regia pubblica, a chi ne ha bisogno, quei servizi necessari a promuovere la loro partecipazione e, soprattutto, a tutelare la loro stessa dignità: un restyling dunque solo parziale, davvero modesto e poco incline all’esigenza di dar forma e sostanza ai diritti umani ed al loro pieno godimento senza discriminare le persone sulla base della tipologia della loro disabilità e/o della loro età anagrafica.
 
Se è vero, come scriveva Antonio Gramsci, che il nuovo mondo sta morendo e quello nuovo non è ancora nato è, quindi, indispensabile riflettere meglio ed agire di conseguenza per evitare il ritorno dei mostri.  
 
Questo è il compito delle nostre società scientifiche e della FnomCeo che, ne siamo certi, sapranno sicuramente raccogliere i nostri stimoli.
 
Mariano Cingolani (Università di Macerata)
 
Piergiorgio Fedeli (Università di Camerino)
 
Fabio Cembrani (Trento)
 
Note:
[1]Nonostante, in tempi recenti, la FNOMCeo abbia sia pur tardivamente fatto sentire la sua voce chiedendo il maggior coinvolgimento “dei medici più specificatamente addetti a tali forme di accertamento” per evitare lo scollamento tra la norma e la sua applicazione (QS, 1 dicembre 2021).

[2]Anche se il Presidente nazionale dell’INPS nell’audizione in Commissione Affari sociali della Camera tenutasi il 16 novembre 2021 ha subito messo le mani in avanti  rivendicando il ruolo-guida dell’Istituto previdenziale e chiedendo, pertanto, di sostenere sul piano finanziario l’incremento delle risorse umane che saranno a ciò dedicate.

[3]Come evidenzia, a chiare lettere, BARBIERI P.V., Troppo silenzio sul disegno di legge delega sulla disabilità, www.vita.it, il quale, dopo aver denunciato il silenzio delle forze politiche, di quelle sociali, dei media e delle organizzazioni di rappresentanza, così scrive: “Non si possono affrontare temi di questa portata con tempi così ristretti e con modalità così poco partecipative”.

[4]Cfr. FERRI D, L’inserimento nel mondo del lavoro e la tutela dei livelli occupazionali della persona con disabilità, in Forum di Quaderni costituzionali, 1, 2021: 517 e ss.


21 dicembre 2021
© Riproduzione riservata


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