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Per il successo del Pnrr in sanità è indispensabile la partecipazione di forze sociali e cittadini

di Claudio Maria Maffei

Se in tanti abbiamo detto ripetutamente e giustamente che il PNRR non era un superbonus edilizio, ma un processo di rinnovamento organizzativo e prima ancora culturale, dobbiamo chiederci allora cosa intanto si può fare per un PNRR “funzionale” prima che ancora “strutturale”. Quelle cose senza le quali le “nuove” strutture sarebbero nella stragrande maggioranza delle realtà destinate a rimanere “vuote”

15 MAR - Considero personalmente il PNRR una irripetibile occasione per mandare il Servizio Sanitario Nazionale e i Servizi Sanitari Regionali nella stessa e “giusta” direzione. Con tutti i suoi limiti e incoerenze (la prima delle quali è certamente lo sbilanciamento verso il finanziamento in conto capitale) il PNRR indica tre direzioni in modo chiarissimo: spostamento del baricentro della risposta assistenziale dall’ospedale al territorio, l’orientamento alla multiprofessionalità e il coinvolgimento delle comunità.
 
Il supporto che il PNRR dà a questa scelta è in prima battuta di tipo strutturale finanziando “nuovi” luoghi per la erogazione dei LEA: Case della Comunità, Ospedali di Comunità e Centrali Operative Territoriali.
 
Ed è su questo, la identificazione delle sedi degli investimenti strutturali per queste nuove strutture, che hanno soprattutto lavorato le Regioni chiamate a presentare i loro progetti entro il 28 febbraio.
 
Solo che ora il nuovo scenario di guerra modifica il quadro economico (e ovviamente non solo economico) di riferimento tanto da far scrivere ieri qui su QS a Ettore Iorio che “Per intanto, guerra e incremento dei costi energetici, produttivi di aumento di materie prime e di una inflazione incontrollata, costituiranno verosimilmente i motivi per i quali il PNRR in sanità sarà stato solo un sogno. A meno che l’UE non provveda a concedere ulteriori convenienti finanziamenti a risarcimento soprattutto dei danni di guerra, ancorché indiretti”.
 
Ma per coerenza se in tanti abbiamo detto ripetutamente e giustamente che il PNRR non era un superbonus edilizio, ma un processo di rinnovamento organizzativo e prima ancora culturale, dobbiamo chiederci allora cosa intanto si può fare per un PNRR “funzionale” prima che ancora “strutturale”. Quelle cose senza le quali le “nuove” strutture sarebbero nella stragrande maggioranza delle realtà destinate a rimanere “vuote”.
 
Proviamo allora a ragionare su una possibile agenda dei lavori non edilizi del PNRR. Questi lavori dovrebbero preparare sul piano culturale e organizzativo le premesse per una piena funzionalità delle nuove strutture. Senza alcuna pretesa di esaustività  elenco alcune “cose da fare” in tema di “nuova” cultura della sanità.
 
Parto da due proposte fatte alcuni giorni fa qui su QS e cioè la previsione di Comitati Tecnico-Scientifici a supporto delle Regioni fatta dal dott.  Antonio Panti e il maggior coinvolgimento delle Facoltà di Medicina di cui ha scritto la Professoressa Maria Triassi.
 
La istituzione di un Comitato Tecnico Scientifico dovrebbe favorire il trasferimento della gestione del PNRR dalle sole mani della politica a quelle anche dei professionisti il cui coinvolgimento è a questo punto essenziale. Il PNRR prevede l’adozione di ruoli professionali nuovi e soprattutto di un nuovo gioco dei ruoli tra le professioni. Qui tra i professionisti le scelte del PNRR dovrebbero trovare il massimo sostegno, ma in realtà trovano qui anche, nel caso dei medici, le maggiori resistenze. E per questo accanto, anzi dentro, questi Comitati va previsto un ruolo importante per gli Ordini Professionali a partire da quello dei Medici, non per il suo maggior peso, ma per gli effetti negativi che potrebbero avere le sue posizioni arretrate o comunque incerte sul modello di sanità da costruire.
 
Nella stessa direzione dovrebbe andare il coinvolgimento delle Università e delle Facoltà di  Medicina che dovrebbero esplicitamente schierarsi per una sanità che investe sul territorio, sulla multiprofessionalità e sul coinvolgimento delle Comunità. E Università e Facoltà mediche dovrebbe regolarsi di conseguenza nella scelta delle linee di ricerca da sviluppare, nel reclutamento dei docenti e della organizzazione delle attività formative.
 
Con il coinvolgimento dei professionisti (e degli ordini) e delle Università si dovrebbe puntare in molte realtà a modificare cultura e atteggiamenti di politici e cittadini nei confronti della sanità del PNRR.
 
La accettazione convinta dello spostamento del baricentro della risposta dei bisogni di salute dall’ospedale al territorio non è infatti assolutamente scontata né tra i politici né tra i cittadini e va costruita.
 
Per chi ha vissuto la nascita del Servizio Sanitario Nazionale nei primi anni ’80 penso sia ancora vivo il ricordo delle infinite riunioni pubbliche che la prepararono e che la accompagnarono nei primi anni di applicazione quando coi primi Piani Sociosanitari si cominciarono a trasformare i tantissimi piccoli ospedali che allora avevano una diffusione più capillare delle future Case della Comunità (solo nelle Marche più di 80 per meno di un milione e mezzo di abitanti).
 
Complici la pandemia (e adesso la guerra) sulla sanità del PNRR non c’è non dico mobilitazione, ma almeno confronto a livello delle comunità regionali e locali. Su questo occorre dare un ruolo a forze sociali (sindacati)  e cittadini attraverso le loro forme di rappresentanza, ruolo che è nello spirito del PNRR, ma non certo nella sua gestione concreta almeno per quanto riguarda la sanità.
 
Questo investimento sui modelli culturali è in fondo previsto dallo stesso PNRR che finanzia la formazione manageriale. Che però, se fatta sui vecchi modelle e senza intervenire su politica e cittadini, sono soldi buttati. Parere mio, del resto già condiviso qui su QS.
 
PS Ho parlato di cultura “nuova” della sanità, in realtà il PNRR riprende temi maturi come quello del Chronic Care Model e indicazioni già contenute in atti di diversi anni fa come il Piano Nazionale della Cronicità. Quindi siamo più in presenza di un usato sicuro sperimentato peraltro almeno in parte da diverse Regioni (a proposito perché non prevedere un affiancamento da parte di queste a quelle Regioni che sulla sanità territoriale non hanno abbastanza esperienza?) .
 
Claudio Maria Maffei

15 marzo 2022
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