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Per una sanità pubblica resiliente e di qualità. Un’agenda per le riforme

di C.E.Amoddeo, G.Banchieri, M.Dal Maso, A.G.De Belvis, E.Di Simone, S.Scelsi, A.Vannucci

Dall’approccio “One Health” a un nuovo assetto “pubblico-privato”. Dal Pnrr al sottofinaziamento cronico del sistema sanitario italiano. Una possibile agenda per riprendere in mano i destini del Ssn

24 APR -

Sanità, salute e “One Health”
Con l'inclusione formale del “Programma Ambientale” delle Nazioni Unite (UNEP) nella condivisione con WHO, FAO e WOHA nel 2022, e con il successivo lancio del “Global One Health Joint Plan of Action” (2022-26), si è creata un'opportunità per affrontare in un modo nuovo l’approccio “One Health”, che è stato definito nel seguente modo:

One Health è un approccio integrato e unificante che mira ad equilibrare e ottimizzare in modo sostenibile la salute di persone, animali ed ecosistemi. Riconosce che la salute dell’uomo, degli animali domestici e selvatici, delle piante e dell’ambiente in generale (ecosistemi inclusi) sono strettamente collegati e interdipendenti. L’approccio One Health spinge molteplici settori, discipline e comunità a vari livelli della società a lavorare insieme per promuovere il benessere e affrontare le minacce per la salute e gli ecosistemi, affrontando al tempo stesso la necessità comune di acqua pulita, energia e aria, alimenti sicuri e nutrienti, contrastando il cambiamento climatico e contribuendo allo sviluppo sostenibile”.

[“One Health High-Level Expert Panel” (OHHLEP). Annual Report 2021.]

Si tratta di un “approccio olistico” alla salute, che include molte altre dimensioni di policy sociali, ambientali e sanitarie. Tale approccio deve essere elemento “unificante” e di “integrazione” tra tutte le policy che hanno un impatto sulla salute dei singoli e delle comunità e che determinano la qualità della vita delle persone e la sostenibilità dello sviluppo nella riproducibilità dell’ambiente.

Programmazione sanitaria e qualità del welfare
Con la Legge sul Federalismo con la modifica del Titolo V° della Costituzione (Legge Costituzionale n. 3 del 2001) è stato modificato un decimo della Costituzione, ma in realtà il 100% di quello che in realtà era il sistema del welfare italiano. Le Regioni sono totalmente depositarie di tutti gli interventi sul versante dei servizi sanitari, sociosanitari e sociali (con i loro EE.LL.). I Ministeri di riferimento hanno perso il loro ruolo di programmazione e di governance.

Avremmo dovuto andare verso un sistema di “welfare di comunità federale”, come altri Paesi della UE, vedi Germania e Spagna, che hanno un ordinamento istituzionale simile al nostro, ovvero, sono Stati Federali. Però ci siamo fermati a metà strada per ora. Manca il “federalismo fiscale” e la “autonomia differenziata”, che, per come è stata proposta, sembra cristallizzare le differenze di reddito e di accesso alle cure nelle varie Regioni del Paese. Il nodo va affrontato in una logica unitaria in rispetto dell’Art. 32 della carta Costituzionale.

La “salute” dovrebbe essere presidiata dalla sanità, ma sullo stato di benessere delle persone intervengono altri elementi in maniera importante e fortemente impattante come i trasporti, l’ambiente, la socializzazione, la casa, il lavoro, il reddito, la formazione, il tempo libero proprio in una accezione di “One Health”.

Altri due elementi dovrebbero essere caratterizzanti il “welfare di comunità”, i concetti d’”autonomia” e di “sussidiarietà”:

Quindi occorre prevedere livelli di “autonomia” e di livelli di “sussidiarietà” che possono essere agiti insieme e in modo “integrato”.

Le Regioni e le PPAA e le precondizioni per policy sulla sanità e sulla salute
Lo stato dell’arte relativamente alla capacità dei SSR di essere performanti non è consolante.

La Griglia LEA prima della pandemia (2010-2019) descrive uno scenario già di parcellizzazione dei SSR.

Griglia LEA 2010-2019: percentuale di adempimento cumulativo e totale dei punti ottenuti

Abbiamo quattro macroaree interregionali in cui, al netto delle Regione a statuto autonomo e della PPA, abbiamo di fatto quattro livelli di agibilità dei cittadini ai servizi dei SSR.

Pertanto il diritto alla salute sancito nell’art 32 della carta Costituzionale non è uguale per tutti.

All’apice della distribuzione abbiamo Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Piemonte e Lombardia, le solite note e “virtuose”. Poi Umbria, ex Regione benchmark, Marche, Liguria, Friuli VG (Regione Autonoma) e PA di Trento. A seguire Abbruzzo, Basilicata, Lazio, Sicilia (Regione Autonoma) e Molise. Infine Puglia, Valle D’Aosta (Regione Autonoma), Calabria, Campania, PA di Bolzano e Sardegna.

Se incrociamo questi dati con quelli relativi alle Liste di Attesa e alla Mobilità Sanitaria, attiva e passiva, lo scenario di frammentazione del SSN è ancora più esplicito.

Saldi 2020 per mobilità sanitaria tra Regioni e PPAA

Infine se incrociamo il tutto con i dati sui differenziali di PIL regionali previsti per quest’anno il quadro di frammentazione si consolida e non fa sperare bene sulle capacità di rinascita e resilienza del SSN e dei SSR:

Fonte: MEF 2023

Il PIL 2022 della Lombardia si appresta a crescere di +4,7% che, unito al +6,4% di proiezione per il 2021, riporterebbe l’economia della Regione sopra i livelli pre-pandemici del 2019: questo è quanto emerge dai risultati del quinto focus dell’Osservatorio Economia e Territorio della CNA Lombardia. In questo contesto molto variegato, ma con conferme sul posizionamento delle Regioni in particolare del Sud e delle Isole, si dovrebbe collocare la proposta di “autonomia differenziata”.

Per quanto riguarda i LEA, dobbiamo ricordare che è stato recentemente approvato il Dm Tariffe con il nuovo nomenclatore della specialistica ambulatoriale, passo importantissimo per avere uno strumento valido e aggiornato da usare sempre più e sempre meglio nella sanità pubblica e/o accreditata ma anche, ad esempio, nella sanità integrativa se la vogliamo sempre più “tecnicamente” integrata con il SSN nei percorsi di cura dei cittadini.

Comunque non si può certamente dire che la UE e i Governi nazionali in Italia non abbiano cercato di garantire i soldi per consentire alle Regioni di mettersi al passo con i tassi di crescita economica Ue. I Fondi per la Coesione assegnati da Bruxelles al nostro Paese per il periodo 2000-2020 sono ammontati a 92,5 miliardi. Se si tiene conto anche dei cofinanziamenti arrivati dagli Enti Locali e dallo Stato italiano si superano i 300 miliardi di euro dedicati allo sviluppo delle aree in ritardo rispetto al resto d'Europa. Praticamente un volume di spesa pari allo stesso PNRR. Ciononostante, sedici delle venti Regioni italiane, nel periodo 2001-2019, hanno registrato un tasso di crescita medio di PIL pro capite a prezzi costanti inferiore allo 0%.

La performance, che vale all’Italia la maglia nera per la crescita economica nella UE, è emersa nell’ottava relazione UE sulle Politiche di Coesione. Si tratta della voce di spesa del bilancio europeo destinata alla promozione di uno sviluppo territoriale più equilibrato e sostenibile tra le regioni Ue. L’obiettivo era semplice, dare più fondi alle Regioni in ritardo e meno a quelle in vantaggio con l’obiettivo di andare verso una convergenza economica.

Fonte: Elaborazione dati OECD e UE

Il PIL italiano in termini assoluti è cresciuto nel primo ventennio degli anni 2000, passando da circa 1.200 a 1.770 miliardi di euro nel 2019 (l’ultimo dato prima della pandemia). Tuttavia il PIL pro capite a prezzi costanti era pari a €. 27.950 nel 2001 ed è poi calato a €. 27.210 nel 2019.

La polemica sulle Regioni meridionali sempre in negativo va superata tenendo conto però che gli strumenti attivati per favorire la convergenza verso gli standard delle Regioni più virtuose e della UE. Non sono stati all’altezza delle aspettative sicuramente gli stakeholders istituzionali, ma anche i sistemi produttivi e di servizi regionali. Occorrerebbe ripensare i ruoli istituzionali, le procedure, le competenze e le dotazioni.

Altrimenti anche il PNRR diventerà un insieme di progetti “Impossibili”, con un impatto negativo sulle singole Regioni e sul Paese sia a livello di capacità di spesa che di contributo al PIL ai vari livelli regionali e nazionale.

Sanità “pubblica” e sanità “privata
Questo sarà possibile in un contesto di privatizzazione progressiva del sistema salute nel nostro Paese?

La sanità italiana si avvia ad essere un sistema che si poggia oggettivamente su più “pilastri” di forme di presenza “pubblica” e “privata”, a sua volta “privata accreditata” e “privata-privata”.

Questo scenario è frutto delle scelte dei Governi che si sono succeduti in tendenziale “continuità” di politiche sanitarie, ma siamo arrivati ad un crinale oltre il quale il SSN rischia di implodere per le sue contraddizioni e difficoltà interne, nonostante sia uno dei sistemi sanitari nazionali più performanti rispetto a molti altri Paesi, vedi statistiche OMS e OECD.

Non siamo il Paese che spende di più per la sanità e la salute nella UE, anzi siamo tra quelli più contenuti come spesa. Siamo sotto la media UE, quindi, potremmo salire almeno fino al 7,2% del PIL. Oggi con il nuovo NADEF 2022-26 siamo al 6,2% tendenziale. Ovvero siamo a -1,0% sul PIL rispetto alla media UE.

Infatti i tagli al FSN in questi anni dal 2012 al 2019 sono stati pari a circa 37,5 mld di Euro, mentre dopo il “Jobs Act” (2016) è stata finanziata, sempre a carico della fiscalità generale, la defiscalizzazione delle polizze sanitarie e dei premi delle mutue fino a €. 3.200,00 pro-capite nell’ambito del così detto “welfare aziendale” di cui “magna pars” è la “sanità integrativa”. Il montante consolidato in questi anni è stato di circa 37,5 mld di Euro. Non è una semplice coincidenza contabile.

È il frutto di scelte consapevoli e trasversali che hanno coinvolto tutti i così detti “poteri forti” del nostro Paese. La fine del SSN/SSR rischia di essere determinata dalla presunzione di coloro che pensano di sapere che cosa occorre fare per curare le persone senza troppo ascoltarle.

Lo sviluppo della presenza della sanità “privata” non può essere lasciato alle dinamiche di mercato.

Con tutta la buona volontà chi è “profit” non può essere “universalista” ed “equo” … Sono logiche antitetiche e conflittuali da gestire e mediare solo da parte pubblica.

La sanità “privata” va regolarizzata, monitorata e valutata in base a standard di servizio e agli obiettivi di salute ricompresi nei “Piani di Salute” o “Piani Territoriali e/o di Zona” delle ASL, in collaborazione con gli Enti Locali e le loro forme associative in un approccio da “Società della salute”, vedi l’esperienza in Toscana. Ovviamente nei contesti locali dove le comunità sono strutturate e proattive.

Il nostro modello di sanità era basato sul modello così detto “Beverige”, tipo il NHS inglese, evoluto nel tempo verso un “sistema misto”, tipo quello francese. Si vuole andare verso un modello “Bismark”, tipo quello della Germania Federale, basato su assicurazioni e mutue obbligatorie e con governance e monitoraggio pubblico? Attenzione parliamo della Germania, paese ove il monitoraggio e le sanzioni relative sono cose serie … Non vediamo le precondizioni per un trasferimento del modello in Italia.

I politici hanno il coraggio di dirlo? Come pensano di governare la transizione? Sono in grado di dire a fasce importanti della popolazione che saranno escluse dal diritto alla salute in modo sempre più esplicito e fattivo?

Ridurremo il SSN e i SSR a qualcosa di simile a “Family Care” e a “Medicare” negli USA, ovvero, a programmi di tutela della salute per le fasce deboli della popolazione?

Un finanziamento adeguato del SSN e policy conseguenti su sanità e salute
Il NADEF, come citato sopra, riporta il finanziamento del FSN tendenzialmente intorno al 6,2% del PIL stimato per i prossimi anni, sempre che quanto previsto circa l’andamento del PIL si realizzi davvero.

Gli ultimi dati degli osservatori internazionali – FMI, BCE, etc. – ci danno ad un PIL tendenziale intorno al +1,0%, in linea con i dati storici degli ultimi anni dal 2008 ad oggi.

Il nuovo NADEF del Governo Meloni fotografa le difficoltà e i vincoli macro economici del nostro Paese.

La crisi energetica, conseguenza della guerra Federazione Russa-Ucraina, non si è ancora risolta.

La pandemia non è ancora endemizzata, vedi le nuove varianti Kherson e Arthur, e nuove minacce si affacciano all’orizzonte di nuovi virus e/o batteri antibiotico resistenti, per non parlare dell’inquinamento ambientale e marino e delle microplastiche presenti nelle catene alimentari e ormai fissate negli organi della nostra specie, con conseguenti impatti sulla salute degli umani.

Lo stesso Ufficio di Bilancio del Parlamento stima un fabbisogno in sanità di circa il 7,2% sul PIL.

Altri Osservatori qualificati confermano e dettagliano i rischi di impatto negativo dalla non realizzazione dei progetti del PNRR per il nostro Paese.

Natalucci (FMI) in una recente intervista su “La Repubblica” afferma che “Il PNRR è lo scudo contro l’instabilità finanziariaÈ uno strumento fondamentale. Ha effetti sulle riforme strutturali, aiuta la posizione fiscale, ma soprattutto la produttività. Va usato per le infrastrutture, con un occhio alla sostenibilità, con investimenti che possono creare posti di lavoro verdi».

Il PNRR ha momenti di criticità nella “messa a terra” dei progetti previsti e rischia di impattare negativamente anche sul PIL di quest’anno e dei prossimi.

Per altro riteniamo che:

In coerenza con quanto sopra detto sarebbe necessario:

Possibili obiettivi immediati
In linea con quanto previsto nel DM 77, sono individuabili i seguenti obiettivi strategici realizzabili nell’arco del 2023:

  1. Programmazione Regionale basata sulla coincidenza tra Distretti sociosanitari e Ambiti Territoriali dei Comuni e basata su un approccio “integrato” delle azioni sociali e sanitarie con valorizzazione degli apporti degli Enti Locali e con l’adozione di strumenti di valutazione multidimensionale dei bisogni dei cittadini e dei pazienti condivisi a livello nazionale e/o almeno regionale;
  2. Dotare ogni Distretto sociosanitario delle Unità Operative previste dal DM77 e precedentemente nello stesso DM “Balduzzi”;
  3. Realizzare le Centrali Operative Territoriali – COT, una per ogni Distretto, coordinate e “integrate” con COA, CUP e RECUP;
  4. Implementare, in coordinamento con le COT, i Punti Unici di Accesso a carattere Sociale e Sanitario (PUA) in ogni Distretto e, in previsione, presso ogni Casa della Comunità contestualmente alla loro attivazione;
  5. Creazione di equipe multiprofessionali della medicina territoriale e delle reti di cure primarie a partire dal necessario coinvolgimento delle forme associative strutturate dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri di Libera Scelta, per far fronte all’attuale carenza di professionisti, con possibilità di valorizzare esperienze innovative di assistenza primaria, multiprofessionali, adatte alle cure di prossimità, attente al proprio territorio.
  6. Progettare e realizzare percorsi formativi multiprofessionali a livello di ogni Distretto e, dove già attivate, in ogni Casa della Comunità, propedeutici allo sviluppo del lavoro in equipe multiprofessionali, anche avvalendosi di collaborazioni con Università e altre agenzie formative.

Questi obiettivi, già normati, possono essere implementati in tutte le Regioni. Il Ministero della Salute ne può monitorare l’attuazione per il tramite della Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS) e, riscontrandone eventuali inadempienze, può esercitare i poteri sostitutivi (Articolo 120 della Costituzione).

Tutti questi sforzi però non funzioneranno mai senza un rinnovato rapporto con le persone che lavorano nel sistema sanitario nazionale, un rapporto che contempli la fiducia nello spirito d’iniziativa e nella creatività dei professionisti e che rispetti e consenta le legittime aspirazioni di buon equilibrio tra vita e lavoro.

Un ruolo che ritrovi nel lavoro quel senso di realizzazione di sé che i professionisti sanitari diffusamente dichiarano di avere perduto e che costituisce oggi forse il più grande pericolo che la sanità pubblica sta correndo nel nostro Paese.

Caterina Elisabetta Amoddeo
Già Direttore Sanitario AO “San Camillo”, Roma

Giorgio Banchieri
Docente DISSE, Università “Sapienza”, Roma

Maurizio Dal Maso
Healthability, Firenze

Antonio Giulio De Belvis
Docente AOP “Gemelli”, Roma

Emanuele Di Simone
Direzione Infermieristica IRCCS IFO, Roma

Silvia Scelsi
Presidente Nazionale ANIARTI

Andrea Vannucci
Docente Università di Siena, membro CD Accademia della Medicina, Roma



24 aprile 2023
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