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Destra e sinistra in medicina

di Roberto Polillo, Mara Tognetti

Due modi di guardare e di posizionarsi molto differenti e con obiettivi e strategie altrettanto differenti che richiedono, proprio a coloro che retoricamente dichiarano di difendere il Servizio Sanitario Nazionale pubblico, di schierarsi e di fare delle scelte chiare e pubbliche sia a livello di Parlamento sia a livello delle singole Regioni.

08 MAG -

Fare delle scelte strategiche a partire dai posizionamenti risulta essenziale per garantire il diritto alla salute delle collettività, ora più che mai in una fase in cui la sopravvivenza del Servizio Sanitario Nazionale pubblico sembra interessare sempre meno i decisori pubblici e i diversi attori che ad esso appartengono. Vi proponiamo dunque un posizionamento che è anche una scelta professionale oltre che culturale.

Paradigmi alternativi
Destra e sinistra non sono due antiquate categorie, residuo delle obsolete ideologie novecentesche. Destra e sinistra sono due diversi modi di concepire i rapporti tra individuo e comunità, tra singolo e collettività.

Destra è chi privilegia il primo dei due termini dando massimo valore alla libertà e al benessere individuale, sinistra è chi privilegia i beni comuni e il benessere collettivo.

Due paradigmi alternativi, come empirismo e razionalismo in filosofia, che in medicina qualificano con un peso diverso le tre fasi di sviluppo che caratterizzano la clinica moderna basata su ricerca ed evidenze scientifiche: scienza di base (la ricerca di laboratorio), cura della malattia individuale (l'elemento patogeno che turba l'omeostasi momentaneamente o irreversibilmente), salute collettiva (il benessere della popolazione di riferimento e il contrasto ai fattori di nocività generali che ne compromettono la qualità).

Percorsi mono o bidirezionali

Destra è chi dà massimo valore al primo percorso (dal laboratorio al letto del paziente) e considera il processo epistemologico sostanzialmente mono direzionale. Sinistra è chi considera obbiettivo finale della medicina la salute collettiva e ritiene il processo bidirezionale valorizzando la dimensione sociale e l'apporto delle altre scienze come fonte di conoscenza scientifica.

Facciamo un esempio di questo secondo approccio, analizzando il ruolo che l'epidemiologia e gli studi dei luoghi, di cui la medicina si è occupata fin dai tempi di Ippocrate, hanno svolto nella comprensione dell'allergia grave alla carne rossa. Una malattia, prima sconosciuta e che si è diffusa negli ultimi decenni.

L'integrazione delle conoscenze scientifiche.
Negli anni ‘80 furono segnalati negli USA dei casi di allergia grave di tipo anafilattico insorti a diverse ore dal consumo di carne rossa di manzo, maiale e agnello. La stessa sintomatologia si verificava, inspiegabilmente, alla prima assunzione di un farmaco innovativo chiamato Rituximab. Gli epidemiologi scoprirono che entrambe le tipologie di pazienti provenivano da zone dell'America del Sud che erano infestate da un tipo particolare di zecche, che i biologi identificarono appartenenti alla specie Lone Star, presenti anche in Europa e conosciute come Ixedes ricinus, e che tali zecche avevano punto i pazienti allergici alla carne un numero molto elevato di volte.

Si capì successivamente attraverso gli studi biochimici che la saliva delle zecche conteneva un allergene di natura glucidica l'alfagal e che questo veniva inoculato attraverso la puntura. Alfagal era anche contenuto sia nel Rituximab, sia nella carne rossa e nei suoi derivati come gelatina, largamente utilizzata in numerosi prodotti alimentari e non. Il meccanismo divenne allora chiaro: i pazienti si sensibilizzavano ad alfagal a seguito di punture ripetute di zecca e quando venivano nuovamente a contatto con lo stesso allergene, sia che fosse contenuto nella carne che nel farmaco, rispondevano con la stessa reazione di tipo anafilattico.

Una scoperta resa dunque possibile solo da un approccio multi professionale al problema che non è presente in mancanza di una visione di insieme che colloca l'individuo nel suo ambiente di vita e di lavoro.

Medicina tecnocratica e medicina umanistica
Destra è chi ritiene la medicina un mero fatto tecnico, neutro e che come tale deve essere gestito esclusivamente o in modo preminente da professionisti del campo, dando massimo valore a quelli con più alto valore scientifico ovvero gli accademici. Un concetto fortemente condiviso dal ministro Schillaci che infatti nella commissione per la salute mentale ha convocato solo psichiatri di cui un terzo universitari, non coinvolgendo, come criticamente evidenziato da diversi interventi su QS, nessuno psicologo, nessun infermiere, nessun educatore, nessun professionista della riabilitazione e del sociale e cosa ancora più grave, nessun esponente delle associazioni dei pazienti.

Un mondo professionale che rappresenta la stragrande maggioranza degli operatori che lavorano nei servizi psichiatrici e che è stato totalmente ignorato perché giudicato inessenziale. L'esatto contrario del lascito del grande psichiatra italiano Franco Basaglia che proprio attraverso la de-medicalizzazione della psichiatria aveva realizzato la grande rivoluzione della chiusura dei manicomi. Ma anche come ci insegna quel processo di superamento del trauma della malattia e delle conseguenze di trattamenti e maltrattamenti che costituiscono la “Recovery”.

Sinistra è chi ritiene che la vera dimensione della medicina sia il "politico" inteso, in senso aristotelico, come fine per il raggiungimento del bene comune attraverso la più equa redistribuzione possibile delle utilità di cui parlavano gli utilitaristi del XVIII secolo.

Gli attori che operano per il raggiungimento di tali fini non possono essere limitati ad alcuni tecnici ma devono ricomprendere tutti colori che hanno un ruolo nel processo di cura e di promozione della salute collettiva, ivi compresi pazienti e familiari. Il processo di cura infatti non è la semplice risposta a un farmaco come dimostra l'effetto placebo che nelle sperimentazioni cliniche determina un effetto positivo nel 30 per cento dei pazienti ed oltre. Sul miglioramento dei sintomi infatti non agisce solo l’azione farmacologica ma incidono fortemente i fattori psico-sociali di tipo emozionale, cognitivo e relazionale che, come la ricerca ha ampiamente evidenziato, sono co-fattori fondamentali nel processo di guarigione.

Differenze o convergenze
Destra è chi coltiva il mito della differenza e questo è il motivo perché si cerca di frammentare ulteriormente il nostro SSN introducendo l’autonomia differenziata o privilegiando l’ospedalità privata.

Sinistra è chi cerca invece la convergenza e crede nella necessità di una conduzione unitaria della sanità puntando alla valorizzazione del pubblico e al superamento delle differenze che in sanità sono in realtà diseguaglianze.

Esempio significativo di questo stato di cose sono gli USA dove esistono storicamente grandi diseguaglianze ma dove, grazie al rafforzamento della cultura di sanità pubblica sostenuta dalle grandi riviste di medicina come JAMA o NEJM, si sta lavorando ottenendo, in qualche caso, risultati promettenti.

Nel nostro paese invece, la destra le differenze esistenti non le combatte ma cerca di acuirle anche grazie alla sottovalutazione di tali problemi da parte dei governi precedenti; governi che in molti decenni non sono riusciti ad elaborare un piano credibile per il rafforzamento della sanità dell’Italia ed in particolare della sanità delle regioni del Sud.

Modelli organizzativi: top down bottom up.
Destra è chi considera che i modelli organizzativi migliori siano quelli che la competizione di mercato ha selezionato come più efficienti. La concentrazione di poteri in un vertice aziendale di tipo monocratico è ritenuto lo strumento in grado di governare la incertezza che caratterizza il contesto istituzionale sanitario, superando resistenze e vincendo rendite di posizione attraverso la scelta dei "migliori".

Sinistra è chi crede in un modello ad alta intensità partecipativa. Lavora sulla ecologia dei microsistemi professionali perché ritiene che il miglioramento della qualità sia irrealizzabile senza la mobilitazione di quello che Marx definiva il general intellect.

Non c'è cambiamento senza condivisione e coinvolgimento degli attori delle diverse qualifiche e professioni. Non c'è partecipazione senza coinvolgimento attivo e vincolante dei pazienti e dei cittadini nella valutazione delle scelte e dei risultati di salute ottenuti a tutti i livelli di governo.

Neocentralismo regionale e distribuzione di poteri
Destra è federalista soltanto a parole, perché in realtà riproduce lo stesso schema centralista spostando soltanto il focus dallo stato- nazione di tutti gli italiani allo stato- regione di quelli che chiama enfaticamente i popoli locali (i veneti, i lombardi i liguri etc).

Lo schema a-partecipativo e verticistico è identico a quello che si vuole superare ed è funzionale, aldilà delle retoriche, solo a trattenere in loco le ricchezze prodotte. Dimenticandosi ovviamente dei grandi investimenti che lo stato nazione ha realizzato per rendere possibile lo sviluppo in tali regioni.

Sinistra è la convinzione che il decentramento dei poteri debba valorizzare gli enti territoriali e le comunità locali. Essa è contraria al decisionismo autoritario e crede nella costruzione partecipativa delle politiche della salute adottando un modello tipicamente bottom up.

Conclusioni
Due modi di guardare e di posizionarsi molto differenti e con obiettivi e strategie altrettanto differenti che richiedono, proprio a coloro che retoricamente dichiarano di difendere il Servizio Sanitario Nazionale pubblico, di schierarsi e di fare delle scelte chiare e pubbliche sia a livello di Parlamento sia a livello delle singole Regioni. Gli ideologismi non fanno bene al nostro Servizio Sanitario Nazionale pubblico, così come non fanno bene alla salute di chi vive e lavora nel nostro Paese.

Le scelte da fare sono chiare e tali scelte sono urgenti pena il fallimento totale di quel che resta ancora del Servizio Sanitario Nazionale.

Roberto Polillo
Mara Tognetti



08 maggio 2023
© Riproduzione riservata


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