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Il pensiero debole delle opposizioni non salverà il Ssn

di Roberto Polillo, Mara Tognetti

Il Ssn non può e non deve morire per il bene dei cittadini e del nostro Paese, così come non può aspettare la coalizione più buona o più capace e per questo è necessario un impegno e un investimento forte della politica, dei decisori pubblici, dei cittadini e anche delle lobbies più o meno organizzate indipendentemente dalle loro colorazioni o appartenenze.

26 OTT -

L’opposizione al governo Meloni è frammentata e non riesce ad imporre una narrazione sul SSN che entri nel merito dei problemi, riconoscendo gli errori del passato e liberandosi da una visione esclusivamente economicista che considera il livello di finanziamento l'unica variabile importante per la sanità per cui spendersi.

Un pensiero debole e una povertà di ideazione, che impedisce la creazione di una vera alternativa di governo della sanità, rendendo ancora più confuso il campo istituzionale e contribuendo così ad allontanare i cittadini dalla partecipazione politica attiva.

Il problema delle risorse finanziarie

Abbiamo più volte sostenuto che un servizio sanitario ha bisogno di risorse e che tali risorse sono di tipo finanziario, ma non solo.

Se infatti fosse sufficiente disporre di maggiori risorse finanziarie non potremmo comprendere come negli USA, dove la spesa sanitaria ha oggi raggiunto il 15,9% del PIL i risultati di salute, anche in relazione alle diseguaglianze tra le diverse popolazioni in essi presenti, siano tra i peggiori nell'ambito dei paesi avanzati. Lo stesso discorso si potrebbe poi applicare alla Francia dove nonostante il finanziamento sia pari al 12,3% del PIL i livelli delle prestazioni garantite a tutti i cittadini siano considerate largamente insufficienti.

Le risorse finanziarie sono dunque condizione necessaria, specie nel nostro caso dove il finanziamento pubblico, a dispetto delle roboanti dichiarazioni del ministro Schillaci è ancora a livelli inaccettabili, ma non sufficiente per migliorare la performance dei servizi sanitari, anche perché arriviamo da decenni di definanziamento.

Il problema delle risorse umane

Lo stesso discorso può essere applicato alla risorsa umana perché anche in questo caso si sbaglia di grosso chi ritiene possibile che "con qualche dollaro in più" si arresti la fuga dei medici dagli ospedali e si riesca a convincere i 5000 professionisti che li hanno abbandonati, come titola il quotidiano la Repubblica del 22 ottobre, a farci ritorno o più semplicemente a immettere giovani professionisti. Per invertire questa inarrestabile tendenza alla migrazione una visione solo economicista non può produrre risultati perché serve ben altro e soprattutto serve restituire un ruolo ai professionisti; una legittimazione, uno "status" che non è monetizzabile e che richiede invece una profonda revisione dell'attuale modello di governance.

Mobilitare risorse immateriali

Serve dunque mobilitare altre risorse che abbiamo definito di tipo immateriale e che riguardano la visione generale del sistema, la ripartizione delle competenze e i ruoli che in esso devono giocare le istituzioni ai diversi livelli, le agenzie di regolazione e i soggetti plurimi che operano nel contesto istituzionale e che traducono in pratiche di cura e di assistenza gli obiettivi prefissati. Un insieme di ripartizioni del campo istituzionale che rifiuta una logica verticistica e che rimette al centro la concertazione tra i vari soggetti portatori di legittimi interessi: lo Stato, le Regioni, gli enti territoriali, i professionisti e i pazienti.

Governo e opposizione: più simili che dissimili

Di fatto le diverse coalizioni che si contendono la guida del Paese sono più simili che dissimili tra loro e questo impedisce una vera e fisiologica dialettica tra distinti.

Un quadro di uniformità di posizioni è quanto emerge analizzando le “credenze”, le retoriche o meglio le mancate proposte espresse da entrambe le coalizioni politiche circa le problematiche strutturali del SSN: sia per quanto attiene alla dimensione istituzionale che a quella organizzativa del nostro SSN. Gli errori commessi anche in precedenti decenni non sono stati valorizzati, non si ha la forza di ammettere dove sono stati fatti e si continuano a fare errori. Ancora una volta mettendo in discussione uno dei fondamentali principi organizzativi: ossia dagli errori bisogna apprendere.

La dimensione istituzionale

Il primo elemento da considerare è quello dei rapporti istituzionali tra stato centrale e regioni e tra regioni e enti locali.

Le differenze sono in questo caso apparentemente più evidenti perché il centro destra è a favore dell'autonomia differenziata a cui tuttavia è propensa, anche se in forma più contenuta, l'Emilia Romagna e le altre coalizioni no. L' opposizione, intesa in senso lato, dunque lotta contro la riforma Calderoli con cui si vuole concedere poteri esclusivi alle Regioni ma non tiene in nessun conto che l'attuale regolazione tra regione e enti locali (comuni e città metropolitane.) è già impostata a un neocentralismo regionale che schiaccia la partecipazione dei territori e quindi dei diretti rappresentanti dei cittadini.

Dunque, una proposta compiutamente alternativa dovrebbe non solo contrastare l'autonomia differenziata ma prevedere anche a legislazione vigente una nuova distribuzione di poteri all' interno delle singole Regioni che diano un ruolo di rilievo ai Comuni singoli o associati anche a costo di riabilitare le Province.

ll modello di governance proposto e la definizione della linea di comando

Il modello di governance attualmente in vigore, a cui va attribuito la maggior responsabilità del bunout e della fuga dei sanitari è tipicamente top down. Un modello verticale in cui il potere è concentrato nel direttore generale che risponde all'assessore alla sanità e che a sua volta sceglie i suoi stretti collaboratori e nomina dirigenti di struttura e capidipartimento.

Un meccanismo a catena che premia i dirigenti più fidelizzati e che frequentemente sono cresciuti nelle segreterie dei diversi partiti, trasformati purtroppo molto spesso in veri e propri centri di impiego. Non infrequentemente si fa politica e si sale nella scala gerarchica con la sicurezza che poi verranno gli incarichi. In sanità si è così spesso passati dal ruolo di militanti delle varie commissioni sanità a quello di direttore generale o primario con una trasversalità che non risparmia nessuno nonostante i continui e mai rispettati richiami al merito da parte dei diversi schieramenti.

Una vera "riforma del merito" dunque ridurrebbe i margini di manovra dei partiti che perderebbero così la possibilità di premiare i più fedeli; un'attività che oggi rappresenta una delle ragioni d' essere principali di queste organizzazioni post- moderne spesso ridotte a partiti personali o centri di potere in mano a piccole lobbies che hanno perso, o almeno sembrano, la capacità di avere sguardi e strategie di lungo periodo e di confrontarsi con la realtà.

I modelli organizzativi

L'organizzazione dovrebbe essere finalizzata a implementare efficienza e finalità delle aziende e presidi sanitari partendo dalla premessa che il contesto lavorativo del SSN è fortemente dipendente dalla qualità di chi ci lavora e da quanto si fa per mantenere alta tale qualità.

E la qualità nella moderna medicina è un processo che nasce dal basso e che deve essere facilitato dall' alto e non il contrario.

Questo assunto dovrebbe tradursi in una pratica clinica che valorizza la capacità di creare sinergie con gli altri professionisti, lavorando gomito a gomito e condividendo valori, diritti e doveri. Una sinergia che valorizza la creatività e non il conformismo che premia l'iniziativa e non la ingabbia in rigidi schemi di osservanza comportamentale.

Anche qui una rivoluzione culturale che si fa carico della “miseria professionale” in cui versano oggi medici e infermieri.

Un unico contratto di filiera

Serve un nuovo contratto per tutto il personale sanitario. Un contratto unico di filiera e non uno spezzatino di norme, tagliate su misura per ogni professione per rimarcarne la separazione dalle altre, è l'unico modo per creare team professionali capaci di fronteggiare la complessità della diagnosi e della cura.

Anche su questo aspetto governo e opposizione parlano la medesima lingua orientata non a dare le uniche risposte razionali possibili, ma a non scontentare i vertici delle diverse professioni sanitarie che su tale separatezza hanno costruito carriere e fortune negli ordini e negli organismi sovraordinati della professione.

Il rapporto pubblico-privato

In sanità la catena del valore dell'assistenza ospedaliera non ha più tra i suoi nodi i nosocomi pubblici, se non in qualche sempre più rara situazione.

Alla progressiva dequalificazione delle strutture pubbliche ha fatto da controcanto il sempre più marcato rafforzamento degli ospedali privati, religiosi, o a convenzione obbligatoria.

Si guardi come esempio emblematico la regione Lazio dove le uniche vere eccellenze sono ormai il Policlinico Gemelli e il Bambino Gesù, dove si concentrano attenzione e finanziamenti mentre il resto viene abbandonato al proprio destino.

Anche questo è un processo di smarcamento tra pubblico e privato che è stato incoraggiato senza defezione da giunte di destra e di sinistra. Le convenzioni addomesticate, gli sgravi fiscali, l’applicazione impropria di DRG, il caos organizzativo nelle strutture pubbliche, una burocrazia imperante, sono tutti fattori che favoriscono il solo privato a discapito del pubblico.

La politica ha saputo fare le sue scelte e si è anche garantita luoghi di cura adeguati in caso di necessità come si evince dalla amara constatazione che solo Gianni Agnelli scelse di farsi curare alle Molinette e non in una clinica privata.

Il rapporto o meglio la collaborazione tra pubblico privato costituisce un elemento di forza, se regolamentato e governato, per il buon funzionamento del SSN. Le sinergie pubblico privato e anche la divisione di certi compiti, non solo quelli costosi e poco “remunerativi” come i Pronto Soccorso, sono vitali per un SSN che deve adeguarsi ai cambiamenti scientifici e funzionali, alle nuove patologie e alle diverse aspirazioni dei cittadini. Sinergie tra pubblico e privato esito di una programmazione e monitoraggio sistematico sono poi utili anche per evitare di incrementare le disuguaglianze in salute fra chi può comprarsi la prestazione e chi non ha le risorse e le capacità per farlo, oltre ad incrementare innovazione nella relazione di cura.

E’ possibile e urgente ridefinire la relazione pubblico/privato in un SSN rivisto e rilanciato.

Conclusioni

Il SSN non può e non deve morire per il bene dei cittadini e del nostro Paese, così come non può aspettare la coalizione più buona o più capace e per questo è necessario un impegno e un investimento forte della politica, dei decisori pubblici, dei cittadini e anche delle lobbies più o meno organizzate indipendentemente dalle loro colorazioni o appartenenze.

Roberto Polillo

Mara Tognetti



26 ottobre 2023
© Riproduzione riservata


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