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Quando è l’ideologia a far male alla salute. Il valore guida del denominatore del rapporto tra percentuale di spesa sanitaria e Pil

di Paolo Da Col

E’ solo quando il PIL tornerà in stabile e consistente crescita (oltre lo zero-virgola), grazie a nuove politiche anticicliche, che potremo realizzare servizi sanitari solidi, efficaci ed universalistici

31 OTT -

Le risorse per il Ssn e l’entità della ricchezza generale del Paese sono espresse nel numeratore e denominatore del rapporto matematico tra percentuale di spesa sanitaria e valore del PIL. I due valori da molto tempo sono bassi, entrambi vittime di un’ideologia economica che domina la politica, impone scelte che impoveriscono il Paese e generano il sottofinanziamento del SSN. Per salvare il nostro SSN, il nostro welfare e la ricchezza del Paese urge allontanarsi dall’attuale dilagare del neo/ordoliberismo. E’ solo quando il PIL tornerà in stabile e consistente crescita (oltre lo zero-virgola), grazie a nuove politiche anticicliche, che potremo realizzare servizi sanitari solidi, efficaci ed universalistici. Coloro a cui sta a cuore la sorte del SSN dovrebbero saper riconoscere i danni causati da questa ideologia, capire che nel rapporto tra percentuale di spesa sanitaria e valore del PIL è quest’ultimo ad essere decisivo nella partita, e per questo merita massima attenzione.

Lo scopo di questa nota è integrare i molti utili contributi già apparsi su QS in merito al problema del sottofinanziamento del nostro Ssn e del rischio della sua sopravvivenza. Premessa la mia totale adesione ai tanti che considerano il 6,1 % del PIL per la sanità assolutamente insufficiente e pericoloso, la mia attenzione si rivolge qui al problema della ultradecennale, costante tendenza a bassi valori di PIL, il numero che è il denominatore del rapporto “percentuale di spesa sanitaria / PIL”.

E’ infatti questo denominatore, che quantifica la ricchezza del Paese (oggi pari a circa 1.700 mld €), a guidare la questione: innanzitutto dal PIL dipendono le risorse da destinare alla sanità o in altri servizi di settori della PA; poi dalle scelte delle diverse politiche allocative. Provo a spiegarmi con un esempio banale (mi scuso con chi sa): supponiamo di avere 1.000 miliardi e di impiegarne per un nobile scopo il 6,5%, ovvero 65 miliardi. Poniamo ora che quei 1.000 diventino 900: per mantenere i 65, occorrerà impiegare il 7.2%. Questa più alta percentuale ci permette di rallegrarci ? No, perché il denominatore indica che siamo più poveri. Al contrario, poniamo invece che buone politiche portino i 1.000 a 1.100: per mantenere i 65 basterebbe impiegarne il 5,9%, percentuale che per i frettolosi potrebbe apparire scandalosamente ridotta, ma in realtà le maggiori risorse assicurerebbero quei 65 o, a pari percentuale, ben 6,5 miliardi in più.

Dunque determinante è l’entità del denominatore, la sua variazione nel tempo. A questo segue la questione di quanta parte di esso si decide di allocare in un settore od in un altro. Ma la vera domanda è se quegli ipotetici 65 miliardi bastano per fare quello che ci serve. Se usciamo dalla metafora e torniamo al nostro caso, al SSN, la risposta è inevitabilmente “no”. Più che richiamare l’attenzione della classe politica sul contenuto valore percentuale di spesa sanitaria, molto di più a mio parere servirebbe stigmatizzare che il PIL da troppo tempo soffre, e servono urgentemente interventi e misure economiche radicalmente differenti, in grado di innalzare il valore del PIL-denominatore 1, fonte da cui trarremo più risorse per il numeratore. Così potremo affrontare meglio la cresciuta domanda di salute e il SSN si salverà solamente se si amplia il “paniere generale” da cui prelevare le risorse “giuste” per il SSN.

Anticipo le conclusioni di questa nota: abbiamo bisogno di avere un Paese, oltre che un SSN, più ricco, e per questo occorre innanzitutto liberarsi dall’ideologia che guida e impone da anni politiche economiche procicliche, opposte a quelle che oggi ci servono. Abbandoniamo questa ideologia che nega il valore della sanità pubblica ed impedisce la nostra crescita economica 1.

L’andamento del PIL e della spesa sanitaria dal 1995 al 2021 è riassunto nei grafici della prossima figura 1

La curva del nostro prodotto interno lordo (riquadro in alto a sinistra) è cresciuta continuamente dal 1995 al 2007, per poi scendere e mai più tornare a quei valori. Disastroso si presenta il triennio 2009-2012. Si precisa che il nostro PIL del 2007 era di 1.795. mld € e nel 2022 è rimasto a 1.767.mld €. (a prezzi correnti). Questi valori sovrapponibili indicano che siamo divenuti via via sempre più poveri. Da decenni la ricchezza del Paese non cresce. Nel 2020, a causa del lockdown pandemico, il PIL è precipitato a 1.573 mld € (come noto, il reddito è uno dei primi determinanti sociali della salute), valore simile addirittura a quello del 1998. Conclusione: abbiamo perso vent’anni di crescita economica, il Paese si è oggettivamente impoverito.

Gli andamenti della spesa sanitaria (riquadro in alto a destra) sono sostanzialmente simmetrici: le risorse continuano a crescere fino al 2009-2010, quando la curva si appiattisce o cala lievemente. Le piccole percentuali di variazione di entrambi i parametri tra anno ed anno sono simili. Dunque, quando non cresce il PIL, non cresce il SSN; più povero è il Paese, più povero rimane il SSN. Nel riquadro in basso ho accostato la curva del PIL e le barre della spesa sanitaria per una più immediata visione d’insieme. I numeri danno precisa contezza di quanto detto sopra e del disastro del triennio 2010-2012. Ancora, merita soffermarsi sulla divergenza nel 2020 tra crollo del PIL ed impennata della spesa sanitaria (epoca di pandemia), evento significativo perché coincide con la sospensione delle rigide regole di bilancio della UE. Con la pandemia è crollato un dogma e si è preso atto che “quando si deve, si può” (sforare). Ritengo che questa “eresia” dovrebbe continuare ad essere praticata anche oggi, nella perdurante crisi economica e sofferenza del SSN.

La previsione futura del nostro PIL è delineata nella Nadef 2023. A pagina 16 del documento si trovano i dati tendenziali del nostro PIL nominale (in miliardi di €): 1.946,5 (2022) ; 2.050,6 (2023) ; 2.130,5 (2024) ; 2.203,1 (2025); 2.274,0 (2026). Questi timidi segnali di crescita progressiva sono dovuti alla realtà produttiva e a far calare l’indebitamento netto (scenderà da -9,0% (2021) a -2,5% (2026). Difficile così nutrire speranze per una maggiore vitalità futura del nostro SSN. Eventuali simulazioni operate con varie percentuali di quei PIL crescenti e realisticamente possibili grazie ad eventuali scelte massimamente espansive (es. 6,5%, 6,8%, 7% ) dimostrerebbero che con quegli incrementi vicini a “zero virgola” ci sarà ben scarsa possibilità per significativi aumenti delle dotazione per il SSN. Così le risorse rimarranno dunque sempre sproporzionate ai bisogni. La mia tesi si basa appunto sul fatto che è il PIL “basso” a doverci far preoccupare, non solamente una “bassa” percentuale di spesa sanitaria del PIL. Dato che nel rapporto entrambi i valoro sono bassi, non ci potrà essere che miseria per tutti. Ma la salvezza non potrà venire dal solo numeratore, bensì dal denominatore.

Per completezza, merita ricordare, con fonti ufficiali (Ufficio Studi della Camera), i trend della spesa sanitaria: “Con riferimento alla dinamica della spesa sanitaria, la NADEF stima una spesa per il 2023 pari a circa 134,7 miliardi, che si riduce nel 2024 a 132,9 miliardi (- 1,3 per cento) in conseguenza di una riduzione dei costi del personale e alla definitiva cessazione di quelli legati alla struttura commissariale per l'emergenza COVID. Essa risale nel biennio successivo, attestandosi a 136,7 miliardi nel 2025 (+2,8 per cento) e a 139,0 miliardi nel 2026 (+1,7 per cento)). In rapporto al PIL, dopo un valore del 6,6 per cento nell'anno in corso, si stima nel triennio successivo un valore del 6,2 per cento in ciascuno degli anni 2024 e 2025, che scende infine a 6,1 nel 2026.”

Attenzione: l’orribile calo della percentuale a 6,1 era in realtà già programmato nel DEF 2022, predisposto dal precedente Governo e approvato dalla precedente maggioranza parlamentare: dal 7.4% del 2020 (122,7 mld - spesa avvenuta in epoca COVID) si scendeva al 6.2% del 2025 (129,5 mld; valore previsionale, a crisi epidemica superata). La posta di bilancio dell’attuale Governo per il 2025 è pari a 135,1 mld che, nei fatti, è quindi di 6 mld superiore (se non siamo alla salvezza, siamo perlomeno alla riduzione del danno).

Sappiamo che le cose si sono ora complicate a causa dell’inflazione. Le conseguenze per la sanità sono ben spiegate qui 1: i 128 mld nominali programmati per il 2024 dal precedente Governo valgono ora (valori di inflazione 2023) 110,6 mld. I 134 miliardi annunciati dal Ministro Schillaci, 115 mld. I soldi realmente spendibili sono/saranno quindi molti, molti di meno di quelli delle tabelle delle NADEF. In ogni caso, avremo 5 mld in più - non di meno - rispetto a quanto programmato in precedenza. Ciò non basterà certamente a soddisfare domanda e bisogni ed è certo che la gente avrà meno soldi per spese sanitarie private, per cui aumenteranno le persone prive di cure. Dalla stessa fonte riporto le previsioni di spesa per due determinanti sociale della salute: le prestazioni sociali, che passano da circa 406,9 miliardi del 2022 (nda: 20,9% del PIL) a 471,7 nel 2026 (nda: 20,7% del PIL); le pensioni, da 317,4 miliardi del 2023 (nda: 15,4% del PIL) a 361,2 miliardi nel 2026 (nda: 20,9% del PIL). Anche per questi elementi, le politiche di austerità non consentiranno sostanziali progressi positivi (vedi i milioni di titolari di bassissime pensioni, o di soggetti deboli che necessitano di buona protezione sociale).

Per recuperare risorse nella gestione del SSN, molti invocano giustamente la possibilità di agire su efficienza, sprechi, appropriatezza, ed altro, ma quanto ricavato realisticamente da questi provvedimenti, pur doverosi in ogni ASL, non consentirà nel lungo periodo la salvezza del SSN. Ricordiamoci però che una sanità pubblica, non liberista, può e deve mirare sempre prima all’efficacia (quindi il sistema gestionale non può che essere lievemente ridondante) che all’efficienza.

Ed arrivo al tema cruciale, pur potendone trattare solo per linee essenziali per esigenze di spazio. Come già anticipato, oggi soffriamo del lungo dominio incontrastato di un’ideologia a cui da decenni la politica si è sottomessa 3-8. L’incessante propaganda l’ha resa accettabile e l’ha resa percepita come ottimale soluzione, irrinunciabile, contro “l’imputato numero uno”: la spesa pubblica. Il mercato, non lo Stato ci può salvare, afferma il neo/ordoliberismo e servono forti vincoli restrittivi nei bilanci pubblici. Da status di ideologia ora è teologia intoccabile, come mai avvenne per quelle del secolo scorso, per cui sarà difficilissimo liberarsene. Ricordiamoci che il suo fine è il pareggio di bilancio, “valore” positivo assoluto; l’austerità è il suo mezzo. Non si pone come obiettivo prioritario il benessere sociale, la salute della popolazione, come voluto dalla nostra Costituzione 9. Si autoafferma come scelta ideale per risolvere invece la priorità dei “mali” delle economie (debito pubblico, inflazione), individuando il “mercato” quale migliore soggetto equilibratore. La presenza dello Stato e ogni spesa per il welfare in grado di generare debito pubblico sono giudicati inaccettabili. Ne consegue che ogni individuo deve provvedere a se stesso. Oso una personale semplificazione: questa ideologia sancisce la vittoria del capitale sul lavoro, elimina la lotta di classe e la protezione dello Stato a favore dei più deboli. Ma il discorso qui si fa lungo e complicato; merita però rifletterci.

Se consideriamo i risultati di questa ideologica “austerity therapy”, somministrataci ad alte dosi negli ultimi anni, oltre ai danni esaminati nella figura 1, altri gravissimi sono ogni giorno osservabili, anche se si stenta a trovare chi ne spiega le cause: le presunte “malattie” economiche (deflazione-inflazione, debito pubblico, ecc.) anziché guarite sono peggiorate, a fronte di “effetti collaterali” pesantissimi: SSN e welfare sono più deboli, mentre dal 2007 al 2021 la povertà assoluta è triplicata come numero di individui (da 1,7 a 5,5 milioni) e raddoppiata come numero di famiglie (da 0,8 a 1,9 milioni), attenzione: anche qui la curva si impenna nel 2011.... . Ogni anno aumentano le persone che rinunciano alle cure per difficoltà di accesso ai servizi pubblici e/o impossibilità a sostenere spese private. Il ceto medio è stato quasi distrutto. La recentissima riforma (Legge 33) per la nonautosufficienza, che riguarda 10 milioni di concittadini (dieci), non è finanziata. Resta alto il tasso di disoccupazione (giovanile !!), bassi i salari, con moltissimi “working poor”, in un tessuto industriale pesantemente (irreversibilmente?) indebolito1. Stanno aumentando le disuguaglianze sociali e di salute, e la tenuta sociale del Paese è sempre più a rischio, anche per le ridotte possibilità a curarsi delle fasce più vulnerabili. Tutto questo lo dobbiamo alla tenace e caparbia applicazione di questa ideologica austerità “terapeutica”.

Domando: quale medico proseguirebbe con un tale accanimento terapeutico, magari a dosi crescenti, e con lui quale paziente, noti i nulli benefici e i catastrofici effetti avversi ? Quando si sente il refrain “spendere poco perché di più non ce lo possiamo permettere”, noi sanitari dovremmo saper smentire questa affermazione in base a conoscenze precise, dimostrandone l’assunto ideologico unilaterale, spiegando le possibili scelte alternative, smascherando le decisioni errate che, senza lungimiranza, ledono gli interessi dei cittadini per il bene della salute individuale e collettiva (Legge 833). A mio parere, ogni persona a cui sta a cuore il SSN dovrebbe conoscere le alternative all’austerità, come proposte da comunità scientifiche non conformiste-ortodosse1. Draghi ha spiegato che il debito può essere “buono” se finalizzato a “cose buone” (qui: fare più salute per tutti). Spendere in sanità rappresenta un investimento, non un costo o spesa, con buon ritorno degli investimenti, come prospettato nell’ultimo rapporto Censis, in cui il moltiplicatore stimato della spesa sanitaria pubblica è 1,8 (ovvero, la spesa di un euro genera un ritorno di 1,8 euro). Infine, insistiamo convinti che tra rispetto dei diritti delle persone (soprattutto dei fragili) o dei bilanci vogliamo prevalga sempre il primo, e dobbiamo pretendere che il diritto alla salute rimanga incondizionato9. E’ solo per ideologia che si può affermare che ciò è “insostenibile”, mentre invece la “sostenibilità” può essere assicurata, basta voler seguire altre vie. Occorre più forte e diffuso dissenso contro l’austerità e la straripante propaganda del mainstream che sostiene questa ideologia e diffonde le voci degli “austeritologi” (sostenitori dell’austerità, categoria molto diffusa) senza contraddittorio.

Siamo chiamati tutti ad esercitare continuo spirito critico verso questa temibile ideologia, che fa male alla salute del Paese e alla sua economia. Ricordiamoci che è dal “PIL-denominatore” e dalla sua stabile crescita, ben più che dalla sua quota frazionale per la sanità, che con netta priorità dipendono le sorti del nostro SSN.

Paolo Da Col,
Medico

Bibliografia

  1. https://goofynomics.blogspot.com/ ed anche https://asimmetrie.org/
  2. https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/nama_10_gdp__custom_8006709/bookmark/table?lang=en&bookmarkId=dcdf13dd-20b7-41c2-bd12-087ecf6f5823
  3. Nicholas Wapshott. Keynes o Hayek. Lo scontro che ha definito l’economia moderna. Feltrinelli, 2011.
  4. John M. Keynes. Prosperità. Chiarelettere, 2019
  5. Uscire dalla crisi con Keynes. https://keynesblog.com/uscire-dalla-crisi-con-keynes/
  6. Sergio Cesaratto. Sei lezioni di economia. Conoscenze necessarie per capire la crisi più lunga (e come uscirne). Imprimatur, 2017
  7. https://www.pensierocritico.eu/neoliberismo-culturale.html
  8. https://www.treccani.it/enciclopedia/neoliberismo
  9. Francesco Pallante. Il diritto alla salute. Sopra tutto. Salute Internazionale. https://www.saluteinternazionale.info/2023/09/il-diritto-alla-salute-sopra-tutto/



31 ottobre 2023
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