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Clima e salute. Partiamo dalla sanità, con progetti green

di Grazia Labate

Perché non ci si mette al lavoro per formare in tutte le Regioni squadre di Medici Sentinella, capaci di fare sorveglianza e monitoraggio sugli effetti climatici sulla salute; perché il nucleo di valutazione presso il Ministero, che valuta i progetti di nuove costruzioni ospedaliere, non ne contempla anche la congruità rispetto al verde? Non possiamo perdere altro tempo, se vogliamo possiamo tentare di giocare la carta di fare dell’Italia un grande progetto di sviluppo sostenibile da lasciare in eredità alle generazioni future

28 SET - “Noi ragazzi vi guardiamo. Se ci deluderete ancora, non vi perdoneremo mai” ce lo ha chiesto ieri Greta Thunberg nel suo discorso al Climate Action Summit per chiedere alla politica di ascoltare la scienza e costruire un’altra idea di progresso, in cui la risposta alle questioni climatiche e l’impostazione di un nuovo sistema economico sociale siano costruiti insieme.
 
E dalla scienza voglio partire.

Il Rapporto 2019 dell’ Ispra (il centro studi del ministero dell'Ambiente) e il Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente (Snpa) sul consumo del suolo in Italia, è stato presentato la scorsa settimana al Senato. A leggerlo con attenzione si apprende che quasi la metà della perdita di suolo nazionale dell'ultimo anno si concentra nelle aree urbane: il 15% in quelle centrali e semicentrali, il 32% nelle fasce periferiche e meno dense.

La cementificazione avanza senza sosta soprattutto nelle aree già molto compromesse.  A Roma, ad esempio, il consumo cancella, in un solo anno, 57 ettari di aree verdi della città (su 75 ettari di consumo totale). In controtendenza Torino, che inverte la rotta e inizia a recuperare terreno (7 ettari di suolo riconquistati nel 2018).

Ogni italiano ha in "carico" oltre 380 m2 di superfici occupate da cemento o asfalto, un valore che cresce di quasi 2 metri quadrati ogni anno, con la popolazione che, al contrario, diminuisce sempre di più. 
Dalla maggiore presenza di superfici artificiali a scapito del verde urbano deriva anche un aumento delle temperature.

La differenza di temperatura estiva delle aree urbane rispetto a quelle rurali raggiunge spesso valori superiori a 2 gradi. Cementati 51 km quadrati di territorio nel 2018, Roma, con un incremento di superficie artificiale di quasi 75 ettari, è il comune italiano con la maggiore cementificazione, seguito da Verona (33 ettari), L'Aquila (29), Olbia (25), Foggia (23), Alessandria (21), Venezia (19) e Bari (18). Consumo del suolo, 2 milioni di tonnellate di CO2 assorbite in meno.

Negli ultimi sei anni l'Italia ha perso superfici che erano in grado di produrre tre milioni di quintali di prodotti agricoli e ventimila quintali di prodotti legnosi, nonché di assicurare lo stoccaggio di due milioni di tonnellate di carbonio e l'infiltrazione di oltre 250 milioni di metri cubi di acqua di pioggia che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde.

Il recente consumo, secondo la ricerca, produce anche un danno economico potenziale compreso tra i 2 e i 3 miliardi di euro all'anno dovuti alla perdita dei servizi ecosistemici del suolo, cioè i benefici che le persone ricevono dagli ecosistemi (supporto alla vita vegetale e animale, produzione di biomassa e materie prime, regolazione dei cicli idrologico e bio-geochimico e depurazione, archivio storico-archeologico e paesaggistico).
Il Ministro Costa, ha affermato che è ora di fare la legge sul consumo del suolo. C'e' necessità della norma, perché stiamo viaggiando a ritmi di 4 metri quadrati al secondo di territorio cementificato.

Inoltre occorrerà fare il raccordo fra le norme regionali e quella nazionale che si vuole adottare, giovandosi anche delle migliori idee che vengono dal territorio per poter arricchire la norma nazionale.

La conclusione dell’evento politico più rilevante dell’anno sulla crisi climatica: Il summit dell’Onu  a New York ha messo in evidenza le parole di Guterres che vuole dai leader mondiali piani concreti, non chiacchiere, e così oltre 77 nazioni hanno sottoscritto l’impegno di azzerare la crisi climatica entro il 2050.
Voglio ricordare che nell’incontro ministeriale di Milano G7salute, nel novembre 2017 è stata identificata una logica e una strategia per collegare le varie sfide che i nostri sistemi sanitari stanno affrontando attualmente e quelle che saremo chiamati a gestire nel prossimo futuro.

Per questo furono consultati esperti e parti interessate di diverse istituzioni, raccogliendo i loro suggerimenti e costruendo una mappa degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), e fornendo una chiave per sviluppare una strategia comune.
Furono focalizzati i seguenti obiettivi: SDG3 (buona salute e benessere), SDG10 (disuguaglianze ridotte), SDG11 (città e comunità sostenibili) e SDG13 (cambiamenti climatici).
Per la prima volta nella storia del G7, sono stati coinvolti non solo le agenzie specializzate, come il WHO, l’OIE, la FAO, l’OCSE, ma anche 700 scienziati ed esperti di ogni parte del mondo.

Tra le conseguenze economiche dei cambiamenti climatici, oltre ai danni diretti, vanno considerate quelli relativi ai costi del monitoraggio ambientale e della sorveglianza epidemiologica umana e veterinaria, nonché i costi connessi all’aumento dei casi di malattia correlati.
Per le forti interconnessioni con la tutela della qualità dell’acqua, dell’aria, del suolo e della biodiversità, con i settori strategici dell’agricoltura e delle filiere alimentari e dei servizi idrici, la mitigazione e la prevenzione degli impatti sulla salute non può essere delegata esclusivamente alle capacità e alle conoscenze del settore sanitario.

Oltre a misure di governance per la gestione integrata dei rischi ambientali per la salute, è necessario potenziare la formazione degli operatori di questi settori sui rischi emergenti.
L’efficacia di qualsiasi azione di prevenzione dipende dalla capacità dei decisori politici e degli operatori di garantire un’informazione accessibile, coerente e affidabile sui rischi per la salute e sulle possibilità di contrastarli.

I nuovi rischi ambientali richiedono l’adattamento dei sistemi di prevenzione ambientale e sanitari, attraverso la dotazione di infrastrutture tecnologiche e laboratoristiche adeguate, di protocolli e procedure per il monitoraggio ed il controllo dei patogeni emergenti, ma soprattutto per una gestione integrata del rischio.

La rilevanza sanitaria degli aspetti di vulnerabilità dei sistemi idrici rispetto ai cambiamenti climatici ha sollecitato specifiche iniziative del WHO e della Commissione Europea. Per questo sono state sviluppate le linee guida per la gestione dei servizi idrici negli eventi meteorologici estremi, che prevedono l’implementazione dei Piani di scurezza dell’acqua (PSA) per la valutazione e gestione dei rischi emergenti indotti dai cambiamenti climatici.
Al riguardo il Ministero della Salute ha promosso un progetto sperimentale anticipando l’attuazione della nuova direttiva europea sulla tutela della acque di uso umano.

La governance dei molti rischi per la salute dovuti al degrado degli ecosistemi e all’effetto sinergico con i cambiamenti climatici richiede un programma organico per il raggiungimento di obiettivi comuni.
In sanità pubblica oggi dobbiamo valorizzare il concetto di “One Health” e utilizzare un approccio condiviso da medici, veterinari ed altri professionisti per monitorare i rischi a cui l’uomo è esposto e le modalità per contenerli; inoltre, bisogna aggiornare le conoscenze sulla diffusione delle malattie fra gli uomini, gli animali, l’ambiente naturale e sociale in un contesto di globalizzazione e di mutamento del clima del pianeta.
Allora a che punto siamo nella formazione professionale di una rete territoriale di Medici Sentinella?
Ma anche quando pensiamo agli invesitimenti strutturali in sanità come li progettiamo, con quali impianti, in quali contesti territoriali ed urbanistici?
 
Tutto ciò chiama in causa la capacità di ripensare anche gli investimenti in sanità, dalla costruzione di nuovi presidi alla ristrutturazione di quelli esistenti, tentando una ricerca armonica ed in sintonia con il territorio, l’ambiente e la salute più generale dei cittadini.
 Lanciata nel 2015 alla conferenza sul clima di Parigi, la Health Climate Challenge è un'iniziativa per l’assistenza sanitaria senza danni, per mobilitare le istituzioni sanitarie di tutto il mondo a svolgere un ruolo leader nell'affrontare il cambiamento climatico. Sappiamo che il cambiamento climatico sta già esacerbando una vasta gamma di problemi di salute in tutto il mondo. The Lancet  ha definito il cambiamento climatico la più grande minaccia per la salute del 21° secolo.

Al fine di proteggere la salute locale e globale dai cambiamenti climatici, il mondo deve spostarsi verso un'economia basata su energia pulita, rinnovabile e sana e nel contempo ristabilire un più equilibrato rapporto tra uomo - territorio - natura. Una transizione verso un'economia di energia pulita, di riequilibrio del suolo, e del verde, gioverà sia al clima, che alla salute delle persone.

L'assistenza sanitaria può contribuire a questa transizione decarbonizzando i suoi consumi energetici, le operazioni e la catena di approvvigionamento, riducendo la sua impronta climatica in linea con l'ambizione dell'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici ed ora della risoluzione dell’ONU.
Anche l'assistenza sanitaria è in prima linea nei cambiamenti climatici. 

Gli ospedali, i centri sanitari e i fornitori di assistenza sanitaria sono i primi soccorritori in caso di eventi meteorologici estremi e devono costruire la resilienza per rimanere operativi e servire le loro comunità durante le catastrofi climatiche.
Ad oggi, oltre 190 istituzioni che rappresentano gli interessi di oltre 17.500 ospedali e centri sanitari di oltre 28 paesi, hanno aderito alla Health Climate Challenge e si sono impegnate a intraprendere azioni significative.

Entro il 2019, i partecipanti alla Challenge si erano impegnati a ridurre le proprie emissioni di carbonio di oltre 16 milioni di tonnellate , l'equivalente di un anno di emissioni di carbonio da 4 centrali a carbone, di risparmiare circa 1,7 miliardi di dollari USA in costi sanitari correlati all'inquinamento atmosferico. I partecipanti riferiscono inoltre di aver risparmiato 381 milioni di dollari grazie all'efficienza energetica e alla generazione di energia rinnovabile.
 
La sfida e il suo impegno si basano su tre pilastri principali:

1) Mitigazione : riduzione dell'impronta di carbonio delle cure sanitarie e / o promozione di cure sanitarie a basse emissioni di carbonio.
2) Resilienza - Prepararsi agli impatti di condizioni meteorologiche estreme e al carico mutevole delle malattie.
3) Leadership - Educare il personale e il pubblico promuovendo le politiche per proteggere la salute pubblica dai cambiamenti climatici.
 
 
Molti dei partecipanti iniziali hanno fissato ambiziosi obiettivi di mitigazione del 30% o più di riduzione del carbonio. Tuttavia, tutti gli ospedali, i centri sanitari e i sistemi sanitari di ogni parte del mondo sono incoraggiati a partecipare e contribuire a promuovere cure intelligenti a basse emissioni di carbonio. Spostandosi verso sistemi sanitari a basse emissioni di carbonio, l'assistenza sanitaria può mitigare il proprio impatto sul clima, risparmiare denaro e dare l'esempio.  Il settore sanitario può aiutare a forgiare una visione di un futuro con ospedali sani, persone sane che vivono su un pianeta sano.

In questo momento cruciale, è giunto il momento di agire per proteggere la salute pubblica dai cambiamenti climatici. Qualsiasi ospedale, sistema sanitario o organizzazione sanitaria può partecipare alla Sfida Health Challenge Climate Challenge. Molte strutture sanitarie europee, dalla Germania alla Francia, dai paesi del nord europa agli U.K. vi hanno aderito noi solo con la Società italiana di ingegneria ed architettura.
Possiamo pensare anche con progetti verdi più semplici e meno costosi di recuperare un equilibrato rapporto tra strutture sanitarie e natura. Gli Healing gardens: guarda l’albero e guarisci .

Considerati alla stregua di un palliativo delle cure mediche per gran parte del XX° secolo, gli healing gardens o giardini terapeutici stanno oggi tornando alla grande attenzione, tanto da essere considerati – secondo l’American Society of Landscape Architects – parte integrante e indispensabile nella costruzione di più dell’80% dei nuovi ospedali in USA.

Pare infatti che ai malati come alle persone sane bastino solo 3-5 minuti di esposizione alla vista di un paesaggio dominato da alberi, fiori e giochi d’acqua per iniziare ad abbattere i livelli di stress, ansia, rabbia o dolore ed entrare in uno stato di rilassamento;a queste conclusioni portano diversi studi effettuati con la misurazione delle variazioni di parametri fisiologici come la pressione sanguigna, la tensione muscolare, l’attività elettrica del cervello o le pulsazioni cardiache. Quindi con l’healing garden affrettare la guarigione o migliorare la qualità della vita delle persone malate è possibile.

In tutto il mondo si raccolgono dati per comprendere quali caratteristiche debbano avere questi spazi verdi che curano: ormai viene ripreso un po’ ovunque lo studio pubblicato nel1984 sulla rivista Science dallo psicologo ambientale Roger Ulrich (Texas A & M University). Ulrich definisce la natura come una ‘distrazione positiva’ ed è stato il primo a utilizzare i criteri severi della sperimentazione scientifica per quantificare gli effetti sulla salute della presenza di un giardino o anche solo di una vista panoramica sul parco in un luogo di cura.

Le sue ricerche hanno registrato tempi di guarigione più brevi, minore utilizzo di antidolorifici e inferiore incidenza di complicanze post-operatorie per i pazienti reduci da interventi chirurgici che ne potevano godere, rispetto a quelli la cui finestra di corsia dava ad esempio su un muro di mattoni. O i famosi monoblocchi di cemento o gli ospedali a torri.

Un giardino terapeutico deve essere uno spazio verde specificamente progettato sulle esigenze fisiche, psicologiche, sociali, delle persone cui è destinato, siano esse in ospedali, in ospice, in residenze che si occupano di anziani o di malati terminali o addirittura in strutture che accolgono bambini.
Dunque per healing garden si intendono tutti quegli spazi verdi studiati per promuovere il benessere psico-fisico degli individui che lo utilizzano. Non si tratta di magia o credenze, alla base di queste teorie ci sono numerosi studi in Italia, Europa ed oltreoceano.

A Milano: il nuovo Policlinico di Boeri avrà un giardino terapeutico, sul tetto. Alberi e piante sul tetto dell’Ospedale più antico di Milano, un
giardino “alto” pieno di verde concepito per dare benessere ai pazienti, alle loro famiglie, ai cittadini del territorio, inizierà l’attività sanitaria, nel 2022.
Tutto ciò non stupisce: l’Architetto del Bosco Verticale ha sempre propugnato l’integrazione del verde e costruito collegando parchi e giardini delle diverse aree della città, concetto-chiave del concept proposto anche per la riqualificazione degli scali ferroviari milanesi caduti in disuso.
 
 
Perché Ospedali verdi? Grazie a studi clinici, relazionava nel 2017a Pistoia Francesco Ferrini, presidente della Scuola di Agraria dell’Università di Firenze, in occasione del Convegno “Vestire il Paesaggio”, i ricercatori hanno scoperto che la frequentazione da parte dei pazienti (o anche la semplice vista dalla finestra della propria stanza) di spazi con alberi e piante accorcia i tempi di degenza, stimola le difese immunitarie, combatte la depressione da ricovero, allevia lo stress. Per questo all’estero si progettano nuovi ospedali circondati da spazi verdi o con grandi giardini al loro interno. (Henry Ford West Bloomfield Hospital, Austin Dell Children’s Hospital, Henry and Jeanette Weinberg Center for Developmental disabilities, ecc). 
 
“Il Giardino Alto – sottolinea Stefano Boeri – costituisce una novità nel panorama internazionale delle strutture sanitarie. 6mila metri quadrati di verde, spazi di gioco, sosta e contemplazione che confermano quanto il verde e gli alberi siano coadiuvanti nelle terapie e nella qualità della degenza ospedaliera” e costituiscano un polmone d’ossigeno per tutto il territorio.

Queste modalità ormai sono da tempo attecchite anche in Giappone.  Sarà perché il Giappone, nelle classifiche sulla longevità mantiene il primo posto, sta di fatto che il Giappone è diventato centrale nelle riflessioni che accompagnano le scienze della vita. Dalla genetica alla cardiologia, dall’immunologia alla nutrizione fino all’edilizia sanitaria. Dopo secoli di emarginazione, la cultura del Sol Levante ha sedotto il pensiero europeo e si è radicata in maniera profonda. I ricercatori studiano, curiosi, gli stili di vita per provare a spiegare come mai i giapponesi, in media, trascorrano i primi 75 anni della loro esistenza in condizioni di salute perfette. Senza mettere piede in ospedale. 

Chissà, si dicono, forse dipende dal cibo, o forse da abitudini come l’hanami, l’usanza di godere della fioritura dei ciliegi e trovare un equilibrio con la natura. Prendiamo Okinawa, uno dei luoghi della Terra dove si concentra il numero più alto di centenari e ultracentenari. Come fanno lì ad arrivare a una veneranda età in uno stato eccezionale di salute fisica e mentale? E perché in quell’isola ci si ammala assai meno di diabete o aterosclerosi, di cancro o Alzheimer? Perfino l’osteoporosi ha un’incidenza più bassa.
Una parte del mistero viene spiegata con l’alimentazione, che si ispira alla filosofia dello Ishoku-dogen, «il cibo è come una medicina». La gente mangia poco, ha l’abitudine di alzarsi da tavola quando è sazia solo all’80% si nutre di vegetali, tanto pesce, riso, alga kombu.

Ma una sorta di terapia può venire dal cosiddetto bagno nella foresta: si traduce all’incirca così l’espressione shinrin-yoku, un’esperienza diffusa tra i giapponesi. Milioni di persone vanno a fare un tuffo di un paio d’ore nel verde nella speranza di alleviare lo stress e regalarsi buonumore. Non è una forma di attività fisica o un’escursione avventurosa, si tratta semplicemente di entrare in contatto con la natura. Lo stato di rilassamento che ne consegue, è ineguagliabile. Uno studio del 2010 ha fornito dati misurabili: nei volontari, dopo il bagno nella foresta, c’erano concentrazioni minori nella saliva di cortisolo, l’ormone dello stress, battiti cardiaci più regolari e una pressione arteriosa inferiore.
 
E un immunologo, Qing Li, ha scoperto che salgono addirittura i livelli di alcuni linfociti attivi contro i virus. Le ricerche vanno avanti, ma un dato è certo tutto ciò che si costruisce o si ristruttura si cerca di avvolgerlo in un universo silvestre che integri al meglio uomo e natura migliorando altresì l’ossigenazione climatica.

Una revisione di vari studi (del 2007, da parte di scienziati spagnoli e norvegesi) ha concluso che i panorami naturali hanno un effetto positivo sulla salute maggiore di quelli urbani, nel senso che vedere un prato o alberi e giardini fa sparire prima la fatica mentale, lo stress, rispetto alla vista di case e grattacieli.

Per tornare a noi allora perché non deve essere possibile aderire alla Sfida Health Challenge Climate Challenge. Perché non ci si mette al lavoro per formare in tutte le Regioni squadre di Medici Sentinella, capaci di fare sorveglianza e monitoraggio sugli effetti climatici sulla salute; perché il nucleo di valutazione presso il Ministero, che valuta i progetti di nuove costruzioni ospedaliere e in accordo con le regioni anche quelli di ristrutturazione, non ne contempla anche la congruità rispetto al verde che possono contenere sia per migliorare gli aspetti climatici che gli effetti sulla salute; perché non si studiano dei meccanismi premiali tra ambiente, infrastrutture e salute che favoriscano progetti green per infrastrutture, impiantistica sanitaria e arredo verde. Non possiamo perdere altro tempo, se vogliamo possiamo tentare di giocare la carta di fare dell’Italia un grande progetto di sviluppo sostenibile da lasciare in eredità alle generazioni future.

Grazia Labate
Ricercatore in economia sanitaria già sottosegretario alla sanità

28 settembre 2019
© Riproduzione riservata


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