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La pandemia impone un ripensamento della nostra deontologia medica 

di Antonio Panti

Prima della pandemia la discussione deontologica si era avviata con grande enfasi e il confronto trovava alimento nella valutazione della relazione tra medico e paziente quale unico punto d'appoggio dell'agire medico. Invece la pandemia ha fatto emergere ciò che molti sospettavano: la medicina si appoggia su molteplici stekholder, tra i quali primeggiano il medico e il cittadino, ma che comprendono gli amministratori, i finanziatori e i produttori di beni. Tutti influiscono sulle scelte del medico, perché la medicina è inserita a pieno titolo nella catena produttiva del paese

21 APR - Nel tempo felice quando non c'era la pandemia i medici discutevano sulla opportunità di modificare il Codice Deontologico. Ora che si comincia a tirare le somme di questo doloroso sovvertimento appare realmente necessario ripensare a molti articoli del Codice, per quanto, nel postcovid il massimo impegno sarà dedicato a riformare il servizio sanitario (personalmente non sono così ottimista) il che riguarda la politica, purché illuminata dalla riflessione culturale su quel che la società si aspetta dalla sanità e su quali tutele siano indispensabili a fronte di quante risorse.
 
Tuttavia, nel mentre che si pon mano al servizio, i medici non potranno esimersi dalla revisione del Codice; già due sentenze della Corte Costituzionale, sul suicidio assistito e sui limiti del potere disciplinare degli Ordini, la rendevano obbligatoria. L'affermazione che niente sarà più come prima può sembrare eccessiva ma è certo che la medicina e con essa la professione hanno subito un grosso scossone.
 
Prima della pandemia la discussione deontologica si era avviata con grande enfasi e il confronto trovava alimento nella valutazione della relazione tra medico e paziente quale unico punto d'appoggio dell'agire medico. La medicina della scelta, cioè il basare la clinica sull'autonoma decisone del medico, capace di introiettare tutti i complessi problemi economici e gestionali della sanità, avrebbe dovuto fondarsi o, meglio, rifondarsi sull'intesa tra il medico, autore primo e unico della medicina, e il cittadino, principio della stessa. Questa intesa avrebbe risolto ogni problema: l'intendance suivrà.
 
Invece la pandemia ha fatto emergere ciò che molti sospettavano: la medicina si appoggia su molteplici stekholder, tra i quali primeggiano il medico e il cittadino, ma che comprendono gli amministratori, i finanziatori e i produttori di beni. Tutti influiscono sulle scelte del medico, perché la medicina è inserita a pieno titolo nella catena produttiva del paese.
 
Non riesco a sottrarmi al sospetto che le decisioni sulla "riforma della sanità" discenderanno più da esigenze politiche ed economiche che prettamente sanitarie. Mentre agli eroi si ergono monumenti già si commettono gli stessi errori causa del loro eroico comportamento.
 
Ma alcuni insegnamenti sono chiari. La deontologia al tempo della globalizzazione pone duramente la necessità di affidare la tutela della salute a un servizio pubblico, finanziato da tutti, equilibrato tra esigenze locali e conduzione centralizzata.
 
Si pone anche con forza la questione ambientale. Non ha senso intervenire quando i danni sono manifesti. La tutela dell'ambiente è un compito primario della professione e, collegata a questa, l'enfasi sulla promozione della salute. Il Codice Deontologico dovrà sopperire alla mancanza di norme relative ai "medici sentinella dell'ambiente", all'approccio "one health", all'intreccio di competenze tra medicina clinica e igienistica. Anche gli obblighi dei medici durante le calamità e il limite del rischio sostenibile nell'interesse di tutti richiedono una revisione del Codice. Occorre prevedere esplicitamente l'obbligo di collaborare all'attuazione dei provvedimenti di sanità pubblica
 
Finora si è discusso sul piano teorico della medicina virtuale e ora ci troviamo a dover utilizzare quotidianamente le tecnologie ICT con tutti i problemi politici e etici che ne conseguono. Vengono al pettine tanti nodi su cui si discettava astrattamente e ora sono immediati. L'urgenza rende inevitabili soluzioni che sembravano finora impossibili di cui gli aspetti deontologici debbono essere discussi e definiti.
 
Si potrebbe pensare che la questione fondamentale sollevata dalla pandemia sia quella dei limiti delle risorse e quindi delle scelte tragiche. Sono convinto che questo antico e drammatico dilemma abbia origine nei limiti fisici e economici dello sviluppo dei servizi medici ma che in realtà trovi soluzione nell'appropriatezza clinica. Le decisioni più ardue sul piano etico, quando nascono dalla giusta misura delle possibilità di cura nel rispetto della dignità della persona, restano ardue e impegnative ma almeno escono dal cono d'ombra del sospetto di disumanità e di cinismo economico.
 
Il documento della SIAARTI pone problemi ineludibili anche se chiunque spera di non doverlo mai applicare. E' chiaro che il criterio dell'ordine di arrivo non è sufficiente e che ai medici servono criteri di appropriatezza clinica e extraclinica che consentano di prendere decisioni in condizioni di estrema carenza. Il Codice non può ignorare la discussione sul cosiddetto triage longitudinale.
 
Infine, un'ultima questione. L'articolo 32 della Costituzione afferma che la tutela della salute è "diritto dell'individuo e interesse della collettività". Quella "e" è una banale congiunzione che pone sullo stesso piano l'individuo e la collettività, il diritto e l'interesse. Non vi è dubbio che negli ultimi decenni l'attenzione sia stata posta con grande enfasi sull'individuo e basti pensare alle questioni di fine vita, alla tutela dei fragili e degli indigenti, all'uguaglianza delle prestazioni, in una parola all'empowerment del cittadino.
 
La pandemia ha portato nuovamente alla ribalta la comunità e i suoi interessi di tutela della salute che sovrastano quelli individuali e richiedono solidarietà e la massima equità distributiva.
 
C'è da chiedersi se la norma costituzionale non vada invertita dopo la lezione che impartisce la pandemia. Forse sarebbe meglio dire che il diritto è della collettività e che la soddisfazione di questo porta come conseguenza l'interesse dell'individuo. Un altro nodo deontologico non da poco.
 
Antonio Panti 

21 aprile 2020
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