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L’isolamento dei Medici di famiglia all’origine della crisi della medicina territoriale

di Roberto Polillo

La medicina del territorio ha mostrato la sua incapacità nell’affrontare la pandemia. Serve un cambio di marcia che passa inevitabilmente da una nuova collocazione del MMG nelle strutture di assistenza territoriale e che riaffermi, in modo netto e chiaro, il ruolo pubblico del sistema sanitario e dei suoi operatori.

11 NOV - La fragilità del nostro SSN di fronte alla pandemia è la diretta conseguenza del depauperamento del capitale a disposizione del contesto istituzionale sanitario.

Un disinvestimento di risorse materiali (strutture ospedaliere, personale e apparecchiature) e di risorse immateriali (modelli organizzativi delle cure primarie, gestione della cronicità, integrazione ospedale e territorio) che ha riversato quasi esclusivamente sulla componente sanitaria ospedaliera il gravoso fardello dell’assistenza ai malati COVID senza ovviamente dimenticare il sacrificio, pagato spesso con la propria vita, di moltissimi medici di famiglia  delle aree più investite dalla prima ondata del contagio.

La desertificazione delle strutture ospedaliere è talmente evidente da non meritare ulteriori commenti. Per anni le tanto invocate economie di scala hanno ridimensionato la rete ospedaliera e il personale dedicato pregiudicando ogni possibilità, in caso di necessità, di incrementare le attività senza compromettere i livelli di erogazione delle cure per altre tipologie di pazienti. Quello che si vede oggi è infatti la riconversione di tutte le divisioni ospedaliere in reparti COVID con impossibilità di trattare i malati affetti da altre patologie che dovranno aspettare tempi migliori: la mortalità per infarto è aumentata del 10% e la riduzione degli screening per neoplasie comporterà nei prossimi anni un significativo aumento delle patologie neoplastiche
Ancora più evidente il sottodimensionamento dei reparti di terapia intensiva su cui grava la carenza di personale specializzato (l’unico in grado di gestire pazienti intubati) che non potrà essere compensata in tempi breve e che sarà possibile solo incrementando in modo significativo i posti nelle scuole di specializzazione e valorizzando nei contratti pubblici e privati il ruolo degli anestesisti rianimatori e di tutti gli intensivisti.
Il disinvestimento di risorse immateriali è stato invece particolarmente significativo per quanto riguarda le cure primarie e la prevenzione. In tale settore un ruolo importante ha avuto la mancanza di una cultura dell’integrazione dei principali stakeholder del settore: le associazioni sindacali dei MMG.

Sarebbe stato necessario, già da tempo integrare i MMG all’interno delle strutture del distretto offrendo loro spazi adeguati, personale di supporto e dispositivi di protezione (la casa della salute) e invece si è perseguita la strada della creazione di aggregati informi di MMG (gli studi professionali all’interno di civili abitazioni) che hanno dimostrato la loro inidoneità a trattare pazienti potenzialmente contagiosi (come testimoniato da numerosi MMG comparsi sui mezzi televisivi),  non riuscendo così a dare  risposte insufficienti ai pazienti con sospetto COVID.

Questo dimostra, in modo lampante, il rifiuto di moltissimi MMG di eseguire tamponi in studi oggettivamente inidonei. Una valutazione condivisibile la cui risposta appropriata non è tuttavia non fare nulla, ma eseguire i tamponi utilizzando le strutture pubbliche, come poliambulatori e ospedali dismessi, rimaste irragionevolmente sottoutilizzate in tale emergenza. Un’ operazione semplice da realizzare che garantirebbe il supporto tecnico necessario e la separazione dei percorsi tra i diversi pazienti.

La mancanza di un efficace filtro territoriale, che comporta la presa in carico dei pazienti e non solo il loro invio a istanze superiori, ha determinato e sta determinando un iper afflusso di pazienti con sintomi respiratori ai pronto soccorso ospedalieri; e questo non solo per motivi soggettivi, legati al timore di finire in rianimazione, ma semplicemente perché i pazienti sanno che, nella grande maggioranza dei casi, il MMG (con alcune meritevoli eccezioni) non potrà fare nulla o quasi per loro e che forse non li visiterà nemmeno per il timore di contrarre l’infezione.

La scelta dei vertici dei MMG finora fatte di non avere alcun rapporto con le altre strutture assistenziali pubbliche, difendendo strenuamente il privilegio loro accordato di liberi professionisti, ha marciato di pari passi con l’illusione di potere essere professionisti autosufficienti nel contesto istituzionale sanitario. La realtà però è andata in altre direzioni e Il MMG ha mantenuto la sua dimensione solitaria da cui non ne è uscito certo con le UTAP e da cui non ne uscirà prendendo in dotazione un ECG, uno spirometro o un ecografo. Strumenti che peraltro richiedono una conoscenza approfondita delle relative patologie e che non sono possedute neanche da chi ha passato una vita in una divisone ospedaliera di medicina interna.

La medicina è integrazioni di saperi e di pratiche, è lavoro in team con il concorso dei diversi specialisti e tale lavoro, specie per chi tratta di cronicità, non può essere un’attività decontestualizzata dal resto. Il MMG può avere un ruolo solo se rinuncerà alla cosiddetta “medicina liberale” di spirito francese e accetterà la sfida di essere uguale e non dissimile dai colleghi che lavorano nei distretti o negli ospedali, inserito in un unico contratto di filiera che privilegi la funzione e non il ruolo.

La medicina territoriale è la grande assente dal panorama sanitario del paese e di questo la parte pubblica (Stato e regioni), che non ha rivendicato sufficientemente il proprio ruolo di tutela dei cittadini, ne porta intera la responsabilità. Un atteggiamento di cedevolezza verso istanze corporative che suona beffardo in raffronto alla durezza dei provvedimenti assunti nei confronti dei medici dipendenti, umiliati, vessati e deprivati di ogni potere contrattuale
Con il tempo si è creata la convinzione che i MMG fossero degli intoccabili e che il loro consenso dovesse essere perseguito ad ogni costo. Un atteggiamento incomprensibile che ci ha portato alla situazione attuale e che rischia di peggiorare se l’attuale governo non si smarcherà da questa condizione di sudditanza. Apprendiamo da QS che il ministro Speranza sta elaborando una ulteriore riforma del SSN. Non ci sembra un buon viatico quello di iniziare introducendo una variazione nominalistica delle strutture territoriale definite non più case della salute ma case di comunità, ma ancora peggio ci sembra l’accettazione che il MMG mantenga la sua anacronistica condizione di separatezza dal resto del distretto o, cosa intollerabile, che abbia la diretta gestione delle cure primarie.

Questo significherebbe rinunciare, aldilà di tante parole sulla difesa del sistema pubblico, alla supremazia del pubblico cedendo alla privatizzazione della medicina del territorio. Una situazione che inevitabilmente aprirebbe la porta alle cooperative direttamente gestite dal MMG. Un tentativo già avanzato ai tempi della 229 e che contribuimmo a sconfiggere convincendo il ministro Bindi a non cedere a tali inaccettabili pretese.

La medicina del territorio ha mostrato la sua incapacità nell’affrontare la pandemia. Serve un cambio di marcia che passa inevitabilmente da una nuova collocazione del MMG nelle strutture di assistenza territoriale e che riaffermi, in modo netto e chiaro, il ruolo pubblico del sistema sanitario e dei suoi operatori.
 

Roberto Polillo

11 novembre 2020
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