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I medici, il Pnrr e la partecipazione (per ora mancata) alle scelte

di Ivan Cavicchi

Se si ragionasse con la logica del capitale professionale i medici, ma non solo, potrebbero chiedere al governo ben altro che un tavolo sul personale ma soprattutto potrebbero chiedere al governo ciò che più sta a cuore alla Fnomceo vale a dire una forma di governo partecipato della sanità

20 MAG - L’altro giorno, sul manifesto l’onorevole Nico Stumpo, Deputato Gruppo Leu, componente della XII Commissione Affari Sociali della Camera, ha ritenuto necessario confutare alcune mie perplessità sulla missione 6 (PNRR).
 
Le perplessità erano quelle relative alle case di comunità ma soprattutto sull’assistenza domiciliare che, da quello che si legge, non prevederebbe assunzioni di personale.
 
L’onorevole Stumpo ha risposto così:
• con i fondi europei è possibile finanziare gli investimenti e non le spese per il personale,
• l’art.5 del regolamento del recovery plan vieta espressamente la copertura delle “spese ricorrenti,
• all’Italia è stata concessa una deroga di 6 anni per l’assunzione del personale con l’obbiettivo di portare l’adi (assistenza domiciliare integrata) al 10%.
 
Non sarò io a sminuire l’importanza della deroga per l’adi tuttavia vorrei far notare che non basta un 10% per scongiurare il pericolo di appaltare l’assistenza domiciliare al privato.
 
A parte ciò ho replicato testualmente così: che il Recovery plan, soprattutto per la sanità, non consideri tra gli investimenti il lavoro professionale è un errore madornale. Il ministro Speranza avrebbe dovuto battersi per considerare il personale in sanità in conto capitale non come spesa corrente, una battaglia che però non ha fatto. Il capitale della sanità è il personale.
 
Riproposto, ma questa volta dalla pandemia, torna quindi in pista di nuovo il mai risolto vecchio conflitto : il lavoro professionale in sanità è una spesa o un capitale?
 
Nel frattempo proprio ieri una serie di sigle sindacali hanno chiesto al ministro Speranza “un tavolo che affronti le politiche del personale e le relative ricadute sindacali”. (QS, 18 maggio 2021)
 
A leggere la loro nota il problema di fondo che la missione 6 non risolve è la famosa cronica carenza di personale per cui il loro obiettivo sembra quello di convincere il governo a spendere più soldi per assumere più personale. Cioè a “investire” più spesa pubblica sul lavoro affrontando la questione dei concorsi, del precariato, degli adeguamenti retributivi e dei contratti .
 
Pochi giorni prima (QS, 14 maggio 2021) l’intersindacale medica cioè un altro gruppo di sigle sindacali con una presa di posizione ha posto un altro problema quella del rapporto tra “professione medica e progetto di riforma”. Il timore chiaramente espresso è quello della miopia riformatrice del governo a causa delle quale la professione medica rischierebbe la regressione e la marginalizzazione.
 
Un rischio che a leggere la missione 6 non è per niente teorico. Le indicazioni sull’assistenza territoriale ad esempio sembrano a “medico assente” come se prossimità, domiciliarietà ecc fosse solo una questione di infermieri o come se l’unico problema per le case di comunità fosse quello di mettere il medico di medicina generale e il medico specialista nella stessa stiva. L’idea di integrazione per contiguità. (sic!)
 
Ancora qualche giorno prima questa volta la Fnomceo ha inviato una lettera molto allarmata al ministro Speranza (QS, 11 maggio 2021) tirando fuori la “questione medica” cioè la necessità di definire il ruolo, l’identità, e le competenze professionali di questa professione.
 
Evidentemente anche la Fnomceo, rispetto alla missione 6, ha il timore che, alla fine, a pagare un prezzo addirittura di svalutazione professionale quindi di marginalizzazione, siano proprio i medici e, a giudicare dall’euforia malcelata in casa Fnopi sembrerebbe proprio così. Per la Fnopi Il sogno di una sanità senza medici con la missione 6 sembra finalmente alla portata di mano. Ora non resta che autorizzare gli infermieri a prescrivere farmaci ed è fatta.
 
La Fnomceo non nasconde le sue riserve sul clima ostile che la missione 6 ha creato nei confronti della professione e meno che mai nasconde le sue perplessità sull’impostazione decisamente low profile della missione 6 indicando le grandi contraddizioni storiche che senza nessun intervento riformatore resterebbero invarianti rendendo impossibile un ripensamento e un rinnovamento della professione .
 
Sulla questione medica vorrei precisare alcune cose:
• essa è un sintagma che riassume i tanti problemi che in un modo o nell’altro cooperano e si sovrappongono tra di loro con un effetto finale che arriva a snaturare il ruolo medico mettendo in crisi una professione e una prassi quindi per estensione il sistema che su essa si basa e non certo a vantaggio del cittadino malato. La pandemia come ha ben sottolineato la Fnomceo per tante ragioni ha riproposto con urgenza la “questione medica”, nel senso che la pandemia ha proposto la necessità di ridefinire il lavoro, le prassi, i rapporti tra professioni, le loro definizioni giuridiche, i loro rapporti di cooperazione, le storiche organizzazioni del lavoro, perfino i contratti e le convenzioni, cioè la pandemia rispetto alle professioni ha fatto emergere la necessità di un intervento riformatore sul lavoro a tutto campo.
 
• le proposte del PNRR ignorano del tutto queste problematiche riformatrici esse non si pongono neanche il problema ed è questa la ragione per la quale soprattutto i medici, al di la dei loro schieramenti sindacali, rischiano di aggravare e non risolvere la loro crisi professionale.
 
Quindi riassumendo abbiamo in pista:
• una intersindacale medica che vuole più assunzioni e più retribuzioni a lavoro invariante quindi senza porsi il problema della questione medica
• un’altra intersindacale medica che al contrario pone prima la questione medica quindi un problema di riforma della professione e in subordine tutto il resto.
 
La prima (più filo governatrice dell’altra) faccio notare, che:
• non contesta la strategia low profile del governo ma solo l’insufficienza di alcune misure para-ospedaliere,
• ignora ciò che ci ha ricordato l’onorevole Stumpo e cioè che il lavoro in sanità è spesa corrente e quindi non rientra nella missione 6.
 
Per cui se il governo volesse “benignamente” soddisfare le loro richieste le dovrebbe finanziare con la legge di bilancio quindi incrementare la spesa corrente.
 
Secondo me bene che vada, considerando il contesto economico, questa prima intersindacale si ritroverà di nuovo alle prese con le “mollichelle” rispetto alle quali vi prego riguardatevi il mio articolo su Qs del 13 novembre 2017. Il problema politico vero è che la questione medica esiste e le mollichelle valgono di fatto come una adesione alle politiche del governo quindi involontariamente vale come una avallo della questione medica stessa. Vale così poco la professione per scambiarla con delle elemosine?
 
La seconda che, al contrario della prima contesta il low profile della strategia di governo si ritrova una missione 6 che nonostante la pandemia continua a considerare il lavoro come spesa, la professione medica come marginale, e che non fa mistero di puntare le sue carte su altre professioni apertamente concorrenti.
 
Conclusione
A me in questa pandemia pur comprendendo i ben noti collateralismi soprattutto di certi sindacati, pare una follia che il fronte dei medici si divida proprio sul lavoro, presentandosi al governo con due giudizi sul PNRR tanto diversi e quindi con rivendicazioni tanto difformi. Il lavoro deve unire chi lavora non dividere.
 
E’ innegabile che esiste una “questione medica” e che la missione 6 sia ampiamente inadeguata a rispondere dopo la pandemia ai problemi gravi della sanità, per cui mi sembra una follia che non si riesca a trovare nella professione, almeno su queste due indiscutibili evidenze, una convergenza.
 
Se, come ho risposto all’onorevole Stumpo, si considerasse il lavoro non più una spesa ma un capitale forse per i medici ma anche per il governo sarebbe tutto più facile. Le questioni relative al mercato del lavoro e ai contratti si salderebbero a quelle relative alla questione medica e, entrambi, rientrerebbero a pieno titolo nell’ambito del recovery plan.
 
Affrontare la questione medica significherebbe sul piano politico qualificare il capitale professionale e attraverso questa qualificazione accrescere le utilità del sistema nella sua interezza e quindi le contropartite per chi lavora.
Investire nel capitale professionale oltre ad essere anche una questione di assunzioni o di crescita delle retribuzioni, diventa anche una questione di crescita delle capacità e delle abilità professionali, una nuova formazione, prassi rinnovate e tutto a vantaggio del malato.
 
A questo punto niente mollichelle. Se si ragionasse con la logica del capitale professionale i medici, ma non solo, potrebbero chiedere al governo ben altro ma soprattutto potrebbero chiedere al governo ciò che più sta a cuore alla Fnomceo vale a dire una forma di governo partecipato della sanità .
 
Ma per fare questo al governo “sul grugno” bisogna che tutti i medici uniti dicano che la missione 6 va reimpostata perché la sua ispirazione strategica non va bene essendo palesemente inadeguata nei confronti delle criticità vecchie e nuove del sistema.
Con la missione 6 per i lavoratori della sanità è come fare le nozze con i proverbiali fichi secchi.
 
Ivan Cavicchi

20 maggio 2021
© Riproduzione riservata


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