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I tre presidenti “multitasking”. Capisco motivi e ragioni. Ma forse sarebbe meglio se facessero solo i senatori a tempo pieno

di Ivan Cavicchi

Non ero tra quelli scandalizzati per il doppio incarico di presidenti di Ordine e di parlamentari. Ma oggi, a un anno dalla loro entrata in Senato, fossi in loro, sceglierei di fare il senatore a tempo pieno  restituendo agli Ordini, ai Collegi, ai sindacati, alle nostre categorie maggiore autonomia di movimento e di progettualità facendo con loro una alleanza di ferro

17 MAR - Ho letto con curiosità e simpatia  le interviste che Quotidiano Sanità ha fatto ai “tre presidenti senatori” (Mandelli, Silvestro e Bianco) ad un anno dalla loro elezione in Parlamento, elezione che, per alcuni di loro fu oggetto di forti polemiche interne. Allora pensai che pur condividendo le ragioni di coloro  che proponevano di distinguere le rappresentanze per evitare sovrapposizioni e promiscuità dei ruoli, (logica di Montesquieu non diversa da quella  per la quale oggi propongo un ripensamento del titolo V), l’ambiguità di fondo dei presidenti multitasking  restava irriducibile: sono le corporazioni che estendono lucidamente la loro rappresentanza entrando nelle istituzioni parlamentari o sono i presidenti che estendono lucidamente il loro potere personale  nelle istituzioni parlamentari attraverso le corporazioni?
 
Oggi  a distanza di un anno mi sento di dire la mia. Pur avendo delle idee ho rispettato le scelte secondo me personali dei presidenti multitasking ed ho soprattutto  osservato i loro comportamenti istituzionali, le loro grida e i loro silenzi, ma anche le loro difficoltà a muoversi in contesti istituzionali  in cui la sanità resta  sostanzialmente deparlamentarizzata. Il titolo V non riguarda solo il rapporto ministero/regioni.
 
La cosa comune a tutte e tre le interviste è il ruolo della conoscenza e dell’esperienza professionale  nei confronti della politica. Che uso ha fatto la politica di tale conoscenza? E quali effetti essa  ha avuto  sulle scelte della politica? Il primo segnale negativo è venuto quando si è trattato di nominare le presidenze delle Commissioni di merito, la conoscenza professionale non è stata sufficiente a convincere la politica ad affidare delle presidenze ai nostri presidenti (forse escludendo il caso di Mandelli che ha scelto di stare in Commissione Bilancio, a differenza di Bianco e Silvestro entrambi nella Commissione Sanità).
 
La ragione secondo me, non è solo legata agli equilibrismi dei partiti ma da come sono percepiti  coloro che hanno una estrazione comunque corporativa, vissuti probabilmente come rappresentanti di interessi di parte. In questo caso gli stereotipi e i pregiudizi, ammesso che siano esistiti, non sono stati sconfitti. Quanto agli effetti  sulle scelte di politica sanitaria il discorso è più complesso. Nei confronti delle politiche sanitarie il Parlamento,  alla fine, rispetto a Governo e Regioni ha un ruolo di secondo piano per cui i parlamentari, per quanto multitasking, al massimo possono testimoniare delle opinioni che però non sono mai vincolanti.
 
Ciò nonostante mi sarei aspettato dai nostri presidenti che le loro conoscenze ed  esperienze, a parte essere “in qualche modo” espresse in Commissione e in qualche dichiarazione, guidassero e arricchissero  il dibattito politico. Ma questo non mi sembra sia avvenuto. Al volo alto si è preferito  il volo radente. In occasione della nota sulla sanità al Def che controriformava il sistema pubblico  i nostri presidenti  si sono trovati incastrati tra i doveri delle loro appartenenze politiche verso le larghe intese e  gli interessi e  i diritti che il provvedimento metteva in gioco dei loro elettori. Il risultato è che intere categorie non hanno avuto da loro nessuna autonoma dritta strategica dimostrando con il silenzio il rischio più grande che il multitasking comporta, quello di ridurre l’autonomia delle organizzazioni di riferimento, di ingessare la dialettica politica, di  controllare il dissenso sociale concentrando tutto su “il nostro agente all’Avana” per citareGraham Greene.
Situazioni analoghe a queste si sono riscontrate in altre occasioni legate ad esempio al dibattito su grandi questioni quali i costi standard, la  sostenibilità che non può essere ridotta alla pur importante questione del reintegro dei 2 miliardi di ticket, il blocco dei contratti, le condizioni  gravi della diseguaglianza, il decadimento del servizio pubblico, il titolo V su cui incombe un inquietante silenzio ecc. Ma l’aspetto che mi ha colpito di più delle tre interviste, secondo dato comune, e  che è la conseguenza del volo radente, è il ridursi di fatto dei nostri presidenti senatori ,  e non per colpa della politica , a dei semplici lobbisti .
 
Alla domanda “quali sono i provvedimenti più importanti ...approvati nel corso dell’anno? O a quella “quale tappe per il futuro” tutti i tre rispondono restando tutto sommato nel loro orticello, senza comprendere che quella  è una logica corporativa  che non giova in primo luogo all’orticello stesso finendo oltretutto per  apparire come assurde priorità. Con tutta la simpatia,  a contesto dato,  mi si deve spiegare quale priorità riveste la riforma dell’Ordine e dei Collegi? Mi si deve spiegare come mai non si punta il dito sulle vere priorità, per esempio quelle del mercato del lavoro per gli infermieri che   come dice il Nursind ormai sono meno delle badanti in Italia? Come mai la grande questione della responsabilità professionale  è ancora nonostante tutto in alto mare? Per quale ragione non si è fatto un lavoro politico per ricomporre il conflitto che sta diffondendosi ovunque  tra medici e infermieri?
 
Lo dico  in modo amichevole e a margine, ma quando, anche in contesti difficili, dei presidenti  avanzano proposte  che riguardano  le istituzioni che essi presiedono, è difficile per la gente non pensare a “proesidatus pro domo sua”. Anche io penso che Ordini e Collegi debbano essere riformati, ma  penso anche  che siamo nel tempo in cui il presidente del Consiglio, vuole abolire il Senato, contenere i costi della politica e della pubblica amministrazione, abolire il Cnel, dismettere le caserme, per cui  temo che gli “organi sussidiari”, se non chiariti e fortemente giustificati nelle loro funzioni, potrebbero essere percepiti come un modo  per finanziare delle lobby con i soldi pubblici (anche se non è vero, visto che si autofinanziano).
Che dire in conclusione ai nostri presidenti senatori? Dalle vostre interviste il bilancio che voi fate   francamente non mi pare esaltante. Se fossi in voi non mi limiterei  a vendere aspiratori come l’agente all’Avana, volerei più alto e perché no …sceglierei  di fare il senatore a tempo pieno  restituendo agli Ordini, ai Collegi, ai sindacati, alle nostre categorie maggiore autonomia di movimento e di progettualità facendo con loro  una alleanza di ferro. Ma so che per voi non è facile e vi capisco. Come ho già avuto modo di dire, se si hanno santi in Paradiso ci si aspetta da loro dei miracoli e se i miracoli non vengono alla fine si finisce per cambiare  santo.
 
Ivan Cavicchi

17 marzo 2014
© Riproduzione riservata

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