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Riforma degli Ordini. Vera riforma o solo restyling?

di Luca Benci

Se ci sono voluti settanta anni per mettere mano al sistema ordinistico, lo sguardo corto operato dal legislatore rischia di fare passare altrettanto tempo prima di una nuova modifica e di non permettere al sistema di avere ordini professionali all’altezza delle sfide che attendono le professioni stesse e la sanità italiana

12 GIU - Dopo molti anni di dibattito sugli ordini professionali e sul loro ruolo il Senato ha approvato, all’interno del ddl Lorenzin – “Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali, nonché disposizioni per l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute” -, una riforma degli ordini delle professioni sanitarie (ora Atto Camera n. 3868).
 
La scelta è stata quella di intervenire con la forma della novella legislativa e quindi modificando parzialmente il sistema sostanzialmente definito dalla normativa del 1946 (D.Lgs cps 233).
 
In realtà il ddl Lorenzin abroga tre dei quattro capi legislativi lasciando immutata solo la parte sull’organo giurisdizionale speciale della Commissione centrale delle professioni sanitarie.
 
La nuova costruzione normativa appare, a una prima analisi, sostanzialmente ripetitiva dello schema legislativo del 1946. All’articolo 1,  del capo I, rubricato “Degli Ordini delle professioni sanitarie”, si legge testualmente che “sono costituiti gli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, dei veterinari, dei farmacisti e dei biologi” (questi ultimi “promossi” professione sanitaria da altra norma del ddl Lorenzin.)
 
Già il primo comma del primo articolo si presenta come la mera riproposizione della normativa vigente dove al posto dei biologi – non esistevano -  trovavamo i “Collegi delle ostetriche”. Le altre professioni sanitarie - quelle che la normativa previgente definiva “sanitarie ausiliarie” - vengono aggiunte successivamente. Scelta che è difficile da capire dato che la novità più rilevante di tutto l’impianto è proprio la trasformazione in Ordini dei vecchi Collegi professionali e, soprattutto, il riconoscimento di albi e ordini delle professioni che ne erano prive. Il riconoscimento, dovuto e tardivo, arriva dopo la completa inapplicazione delle previsioni della inapplicatissima legge 43/2006 che disciplinava proprio l’istituzione degli ordini professionali per le professioni sanitarie.
 
La nuova normativa vedrà quindi la conferma degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, dei veterinari, dei farmacisti e dei biologi. Cambia nome il Collegio Ipasvi in “Ordine delle professioni infermieristiche” che terrà due soli albi quello degli infermieri e degli infermieri pediatrici e vedrà invece la migrazione definitiva degli assistenti sanitari; il Collegio delle ostetriche diventa “Ordine della professione ostetrica”, mentre il Collegio dei tecnici sanitari di radiologia medica, oltre a cambiare nome, diventa un megacontenitore di figure professionali, e assumerà la denominazione di “Ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione” con il compito istituzionale di tenere ben venti albi professionali.
 
Gli Ordini professionali saranno suddivisi, curiosamente, ancora in province. Si legge, infatti, nell’articolato, che gli ordini saranno costituiti nelle “circoscrizioni geografiche corrispondenti alle province vigenti al 31 dicembre 2012” con la possibilità di accorpamenti attraverso un procedimento concertato. La reviviscenza delle defunte province stupisce. Dopo provvedimenti legislativi e, forse, costituzionali che ne cambiano pelle e nome, un provvedimento normativo successivo ne resuscita l’ambito.
 
Ricordiamo che in realtà due province  - Trento e Bolzano – esistono ancora con lo stesso nome, dieci hanno cambiato “etichetta” diventando Città metropolitane, altre lo diventeranno per disposizione regionale. Sulle 106 province preesistenti, oggi, “di fatto” ne contiamo 25. Il ddl Lorenzin sugli Ordini professionali non tiene conto di questa evoluzione e retrodata l’ambito territoriale alle vecchie province. La scelta stupisce, in effetti, a maggior ragione in virtù di una maggioranza politica che ha fatto dell’accorpamento delle decisioni verso il centro e il depotenziamento delle autonomie locali e delle regioni stesse un tratto caratterizzante della propria politica.
 
Gli ambiti provinciali in sanità sono residuali, gli interlocutori sono regionali e nazionali. Anche gli accorpamenti delle aziende sanitarie, in molte regioni, non corrispondono più all’ambito provinciale. Si pensi alle Marche e al Molise (aziende uniche regionali), alla Toscana (aziende interprovinciali), al Friuli Venezia Giulia, all’azienda sanitaria della Romagna (quattro province) e al dibattito sull’azienda unica in Sardegna. La suddivisione negli ambiti territoriali ex province appare decisamente anacronistica e mantenuta con gli occhi rivolti al passato.
 
Gli organi degli Ordini
Gli Ordini professionali avranno gli stessi organi – assemblea, consiglio direttivo con relative cariche, revisori dei conti – a livello provinciale e gli stessi organi – consiglio nazionale, comitato centrale e relative cariche – a livello nazionale. L’unica novità si registra per gli Ordini professionali che devono tenere più albi professionali: la commissione di albo. In realtà l’istituto è già operante per gli ordine dei medici (con la commissione di albo degli odontoiatri). Novità dunque per gli altri due ordini professilonali multialbo: il futuro Ordine delle professioni infermieristiche il nuovo ordine delle professioni tecniche, della riabilitazione e della prevenzione. Per il resto i compiti attribuiti agli organi storici rimangono sostanzialmente invariati.
 
Le commissioni di albo
Gli ordini professionali delle professioni sanitarie avranno quindi, oltre al Consiglio direttivo, la commissione di albo sullo schema di quanto era già previsto dagli attuali ordini dei medici. Le commissioni di albo sono quindi, negli ordini multialbi, un organo degli ordini professionali a cui vengono attribuiti importanti tra i quali i procedimenti disciplinari, la rappresentanza esponenziale della professione, contribuire presso le autorità locali ai provvedimenti che possono interessare la professione.
 
Le commissioni di albo – a livello ex provinciale e nazionale – per la professione medica corrispondono agli eletti medici nel consiglio direttivo mentre vengono costituite (sono una conferma, come abbiamo visto) per la professione odontoiatrica. Solo con successivo decreto ministeriale verranno istituite le commissioni di albo – ex provinciali e nazionali – delle professioni infermieristiche e delle professioni tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.
 
Per l’ordine degli infermieri si suppone che la soluzione possa essere identica a quella medica e quindi trovare la sola istituzione della commissione di albo degli infermieri pediatrici. Per il nuovo ordine omnibus dai venti albi, come vedremo, le commissioni di albo potranno rappresentare una vera criticità del sistema.
 
Il nuovo Ordine omnibus delle professioni tecniche, della riabilitazione e della prevenzione
La scelta del legislatore sembra dunque orientata a creare un Ordine dalle caratteristiche mai viste in precedenza. Sulle ceneri del Collegio dei tecnici sanitari di radiologia medica nascerà dunque, per incorporazione, il nuovo Ordine dei “tecnici sanitari di radiologia medica, e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione”. Ai tecnici di radiologia va, quindi, l’onore delle armi e mantengono – unica professione – il riferimento preciso alla figura professionale nel nome dell’Ordine, mentre le altre diciotto figure professionali sono chiamate come il riferimento della legge 251/2000 nella generale denominazione di “professioni sanitarie tecniche” (tra cui rientrerebbero però anche i tecnici di radiologia…), “professioni sanitarie della riabilitazione” e delle “professioni della prevenzione”.
 
Alle diciannove “storiche” professioni dovremo aggiungere, per esplicita previsione proprio dello stesso ddl Lorenzin, la figura dell’osteopata promossa come professione sanitaria “profilata” con un riconoscimento decisamente anomalo e che abbiamo già criticato.
Un ordine, un consiglio direttivo, venti albi professionali e venti commissioni di albo. Scelta a dire poco ardita che pone immediati interrogativi sul suo funzionamento.
 
Non sappiamo come saranno costituite le commissione di albo in questo ordine omnibus in quanto il ddl Lorenzin rinvia a un successivo decreto ministeriale. Una cosa è certa: questo Ordine rischia di essere un organismo elefantiaco e pletorico se consideriamo che le commissioni di albo avranno almeno tre/cinque elementi  e potremo quindi avere – un consiglio direttivo ex provinciale di quindici elementi, di venti commissioni di albo con ben cento elementi complessivi, e tre (più uno) revisori dei conti. Il tutto sia per il livello ex provinciale che nazionale.
 
Si potranno cioè avere realmente enti di rappresentanza istituzionale con oltre cento eletti? Se questa previsione sarà confermata il rischio di paralisi istituzionale sarà, per questo ordine, incardinato nella stessa legge di istituzione. Se consideriamo il numero di circa cento ex province il numero dei rappresentanti ordinistici che a vario titolo gestiranno l’Ordine rischiamo che a livello nazionale complessivamente ci potranno essere diecimila persone! E’ realmente questa l’intenzione del legislatore?
 
Le funzioni degli Ordini professionali
Le attribuzioni agli ordini appaiono sostanzialmente immutate rispetto alla normativa di settanta anni orsono. I cambiamenti sono quasi impercettibili. Il legislatore ha ripercorso pigramente lo schema dell’attuale normativa introducendo dei puri correttivi che solo a una lettura attenta possono palesarsi: una certa terzietà nei procedimenti disciplinari, l’espressa previsione della redazione di un codice deontologico, la previsione delle Federazioni regionali e poco altro di diverso rispetto alla normativa vigente.
 
Il codice deontologico
Una delle novità da registrare è la previsione dell’attribuzione alle Federazioni nazionali di emanazione del “codice deontologico” che deve essere approvato dai Consigli nazionali. Quindi anche in caso di Ordini che tengono più albi (medici, infermieri, tecnici-prevenzione-riabilitazione) il codice deontologico sarà unico. L’attribuzione alla Federazione nazionale, implicito ma non dichiarato nell’attuale normativa (che in realtà di codice deontologico non parla affatto) serve da un lato a dare omogeneità all’esercizio professionale e anche a evitare – dichiaratamente – il pluralismo dei codici stessi.
 
Come è noto vi sono Ordini dei medici che al livello ex provinciale (Bologna e Ferrara per esempio) che non applicano l’ultimo codice Fnomceo (2014) ma il penultimo (2006). Recentemente il Collegio Ipasvi di Pisa ha scelto di disapplicare un articolo del codice della Federazione Ipasvi (2009). La previsione normativa dell’attribuzione alla Federazione nazionale di emanazione del codice deontologico riferito a “tutti gli iscritti agli Ordini territoriali” (ex province) intende evidentemente combattere il fenomeno di quello che può essere definito pluralismo deontologico.
 
Per gli ordini multialbo possono  sussistere problematiche dalla previsione di un unico codice per tutti gli appartenenti agli albi. In realtà non si evincono particolari problemi gli ordini dei medici e neanche per gli ordini delle professioni infermieristiche mentre maggiori criticità sussistono per l’Ordine dai venti albi e dalle venti professioni. La norma specifica che il codice, in questi casi, deve definire “le aree condivise tra le diverse professioni, con particolare riferimento alle attività svolte da équipe multiprofessionali in cui le relative responsabilità siano chiaramente identificate ed eticamente fondate”.
 
La previsione normativa rischia una sostanziale inapplicazione nel momento in cui le venti professioni sono non omogenee tra di loro e in cui, più che il rischio di sovrapposizioni e distinzioni, vi è una sostanziale estraneità nell’esercizio professionale. Si pensi all’inesistente rapporto che può intercorrere tra il podologo e il tecnico della perfusione cardiovascolare giusto per esemplificare.
 
A ben vedere il legislatore tenta di attribuire ai codici deontologici – nel caso degli ordini multialbo – un compito che il codice di per se non avrebbe laddove prevede di fare “definire aree condivise tra le diverse professioni” con il dichiarato scopo di identificare le “attività svolte da équipe multiprofessionali” e le relative responsabilità che devono essere “chiaramente identificate ed eticamente fondate”.
 
Un conto è cristallizzare i principi etici che devono essere riferiti all’esercizio professionale altro è conferire una sorta di valenza regolamentare agli strumenti deontologici con il dichiarato scopo di dirimere eventuali sovrapposizioni e aree grigie. Ricordiamo che per queste professioni il codice deontologico è uno dei criteri previsti dalla legge per determinare il “campo proprio di attività e responsabilità” dell’esercizio professionale.
 
Il sistema elettorale
Se per le funzioni si può forse comprendere il low profile del legislatore, che si trova a istituire nuovi Ordini al termine di un dibattito ventennale dove spesso si è invocata la soppressione degli ordini stessi, non si comprende invece lo sguardo corto sulla mancata ridefinizione dei sistemi elettorali degli Ordini.
 
Il dibattito sui meccanismi elettorali non è secondario e attiene direttamente all’esercizio della democrazia e lo vediamo nel dibattito sulle elezioni politiche e sulle considerazioni della Corte costituzionale sulla legge c.d.Porcellum e nel pronunciamento che ci sarà sulla legge c.d. Italicum. Il principio generale è relativo alla vicinanza del corpo elettorale agli eletti: quanto più gli eletti sono espressione del corpo elettorale e quanto più sono rappresentativi in ossequio al principio costituzionale della “sovranità” che appartiene “al popolo”.
 
Queste poche ovvie note sono indispensabili per ricordare l’arcaico meccanismo di rappresentanza previsto dalla normativa del 1946 e che il DDL Lorenzin lascia inalterato visto che il sistema resterà elettivo per il livello ex provinciale e solo per il consiglio direttivo e per i revisori dei conti. Le fondamentali scelte sulle cariche erano e rimarranno sottratte al corpo elettorale.
 
Sarà poi il consiglio direttivo a distribuire le cariche di presidente, vicepresidente, segretario e tesoriere. Solo i presidenti di Ordine voteranno il livello centrale – chiamato ancora comitato centrale a riprova dell’assoluto restyling e non di una vera riforma – di quindici persone e solo le quindici persone voteranno i vertici. Sarebbe come se i cittadini italiani votassero solo per il consiglio comunale e non anche per il livello nazionale che, sia pure con le leggi modeste degli ultimi anni (e anche incostituzionali) sono chiamati a eleggere. Il livello nazionale, il più influente e politicamente il più visibile, rimane lontanissimo dal corpo elettorale dei professionisti di cui non era e non sarà diretta espressione.
 
Il legislatore deve porre rimedio  - esiste ancora il bicameralismo perfetto…- a un sistema elettorale che non ha ragione di esistere che da l’impressione di avere dei vertici “nominati” e non eletti. Gli Ordini professionali si rivitalizzano in primo luogo facendoli diventare la vera “casa” dei professionisti che se ne sentono direttamente rappresentati.
 
E’ necessario inoltre che il nuovo sistema elettorale prevede al terzietà del seggio elettorale – non può essere presieduto dal presidente uscente (spesso ancora candidato) – e alla tutela della minoranza.
 
Altro non possiamo dire in questa fase in quanto lo stesso disegno di legge rimanda a un atto normativo della Conferenza Stato Regioni il sistema elettorale, il regime delle incompatibilità, il limite dei mandati. Anche questa scelta non è condivisibile. Queste non sono decisioni che devono essere prese per via amministrativa: è il legislatore che deve stabilire queste norme che sono fondamentali per un ente di rappresentanza. Sottrarsi alla scelta significa sottrarsi alla decisione. Un sistema elettorale e il regime delle incompatibilità qualificano positivamente o negativamente un ente di tale natura e non può essere rimesso altro che alla volontà del legislatore.
 
Conclusioni
Il ddl Lorenzin più che una riforma si prefigge un mero ammodernamento dell’istituzione ordinistica che non si vede attribuire nuove reali funzioni e che non supera alcune criticità come  quelle elettorali che abbiamo evidenziato.
 
Anche la mancata previsione del superamento dell’anacronistico organo giurisdizionale speciale della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie doveva essere superato a favore della giurisdizione amministrativa del complesso Tar-Consiglio di Stato.
Non ci sono motivi per il mantenimento di uno pseudo organo giudicante.
Per la professione medica e la professione odontoiatrica non cambierà sostanzialmente niente.
 
Per la professione infermieristica e per la professione ostetrica ci sarà l’agognato riconoscimento della trasformazione dei vecchi enti “Collegi” in “Ordini”. Da un punto di vista simbolico è un deciso passo in avanti nella valorizzazione del ruolo.
 
Per le professioni tecniche, della riabilitazione e della prevenzione vi è il riconoscimento importante della costituzione degli albi temperato però dalla previsione di un unico Ordine, che abbiamo chiamato omnibus, che presenta delle evidenti criticità. La costituzione di albi può permettere di combattere meglio, per alcune figure, pensiamo ai fisioterapisti, quell’abusivismo professionale che alligna in molti settori.
 
Per tutte le figure prive di albo è comunque un passo in avanti nell’uscita dal limbo a cui l’inerzia legislativa li aveva lasciati.
Discorso a parte deve essere fatto per i tecnici sanitari di radiologia medica che si vedono da un lato riconosciuti come “Ordine” dall’altro inseriti nell’ordine omnibus perdendo la loro autonomia di ordine unico.
 
I biologi si vedono “promossi” come professione sanitaria e vedono inserito il loro Ordine nel novero delle professioni sanitarie similmente agli psicologi che sono per volontà dell’articolo 7 dello stesso articolato.
 
Il restyling operato dal ddl Lorenzin non convince proprio nel suo riproporre gli stessi difetti dell’attuale vetusta normativa dell’immediato dopoguerra.
 
Se ci sono voluti settanta anni per mettere mano al sistema ordinistico, lo sguardo corto operato dal legislatore rischia di fare passare altrettanto tempo prima di una nuova modifica e di non permettere al sistema di avere ordini professionali all’altezza delle sfide che attendono le professioni stesse e la sanità italiana.
 
Luca Benci
Giurista

12 giugno 2016
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