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Vaccini. Per vincere occorre convincere oltre che obbligare

di Antonio Cassone

Ecco perché l’obbligo vaccinale non può essere visto come una specie di toccasana che evita il costo e la fatica di informare, spiegare, far capire ed in sostanza offrire servizio utile a far accettare la vaccinazione. Non è una liberatoria dalla responsabilità

18 MAG - Gentile Direttore,
si discute molto in questi giorni di obbligo vaccinale per l’accesso al nido ed alla scuola elementare al fine di aumentare la copertura vaccinale scesa pericolosamente al di sotto di una soglia critica per il controllo di pericolose malattie infettive.
 
Da tempo, i massimi responsabili della sanità pubblica del Paese lo invocano, docenti universitari e collaboratori di testate giornalistiche lo supportano, talvolta con un pizzico di non insolito dogmatismo, in specie quando non hanno una specifica competenza della materia. Alcune Regioni hanno già investito sull’obbligo vaccinale per la frequenza al nido, altre sono in procinto di farlo.
 
L’epidemia di morbillo che in questo periodo ha colpito alcune regioni italiane dà forza al concetto. In questo contesto, viene spesso citata, ed ha acquisito dignità mediatica, la cosiddetta immunità di gregge (più correttamente definibile come immunità di comunità) che viene posta a sostegno razionale di una qualche forma di obbligo vaccinale, sia pure indiretto.
 
Il principio generale su cui si fonda l’immunità di gregge deriva dall’osservazione, apparentemente ovvia, che tanto maggiore è il numero di persone che si vaccinano tanto minore è il numero delle persone che rimangono suscettibili alla malattia e di conseguenza la probabilità che il batterio od il virus che causano la malattia sia presente nella popolazione.
 
L’immunità di gregge, bloccando la circolazione dell’agente infettante, protegge indirettamente l’intera comunità, anche i soggetti non vaccinati, in particolare quelli che per vari motivi non possono essere vaccinati o non si immunizzano dopo vaccinazione (neonati troppo piccoli per essere vaccinati, soggetti ipersensibili ad uno o più componenti vaccinali, malattie o trattamenti che provocano una diminuita capacita di generare immunità protettiva). Si tratta di un evento davvero straordinario della storia naturale della  vaccinazione, che può portare non solo all’eliminazione della malattia ma addirittura all’eradicazione dell’agente infettante (vedi vaiolo). L’obbligo vaccinale, aumentando il numero dei vaccinati, diventa un componente critico per la generazione dell’immunità di gregge e del beneficio che ne consegue ai non vaccinati.
 
Ne deriva quindi, per logico contrapposto, che senza l’immunità di gregge, l’obbligo vaccinale non sarebbe utile a quanti non possono, pur volendolo, vaccinarsi perché non sarebbero comunque protetti dalla malattia e la comunità trarrebbe scarso beneficio dal togliere ad alcuni la libertà di non vaccinarsi.
 
Ma come si genera l’immunità di gregge e quale copertura vaccinale è necessaria?  In particolare, è ottenibile con tutti i vaccini di cui si prospetta l’obbligo? Va innanzitutto premesso che è teoreticamente possibile generare detta immunità solo per vaccinazioni contro agenti trasmissibili. La vaccinazione antitetanica non genera immunità di gregge essendo l’agente del tetano, non trasmissibile (eccetto che nello specialissimo caso del tetano neonatale in cui esso è trasmesso dalla madre al neonato).
 
La generazione di immunità di gregge per gli agenti trasmissibili, che sono poi tutti gli altri contro cui ci vacciniamo, richiede che si verifichino almeno due eventi fondamentali: che il vaccino abbia una elevata efficacia nel prevenire la malattia ma anche, e soprattutto,  nel  bloccare la trasmissione del contagio nella popolazione. In altre parole, tanto più alta è la trasmissibilità dell’agente infettante tanto più alta deve essere la proporzione di persone vaccinate e protette dalla malattia ed alta  la capacità di bloccare la trasmissione dell’agente infettante.
 
I vaccini più comunemente impiegati e per i quali maggiormente si discute dell’obbligo vaccinale per la frequenza scolastica hanno differenze significative di efficacia contro la malattia e, assai più ampie differenze di capacità di impedire l’infezione e quindi la trasmissione e la frequenza del contagio.
 
Morbillo e pertosse sono due malattie trasmissibili che meglio illustrano questi concetti e conseguentemente le difficoltà ed i limiti al raggiungimento di una effettiva immunità di gregge, tale cioè da proteggere chi non si può o non si vuole vaccinare. In una popolazione non vaccinata, un soggetto nella fase contagiosa di queste due malattie, può infettare fino ad una ventina di persone in stretto contatto, le quali a loro volta possono fare altrettanto con i loro contatti, e cosi via, in una esplosiva, esponenziale sequenza di infezione e malattia. Con questa elevata trasmissibilità, come si porta al minimo possibile il numero dei suscettibili nella popolazione?
 
Consideriamo molto sinteticamente la sequenza di eventi attesi in un neonato che a partire dal terzo mese di vita riceva il vaccino della pertosse con i suoi richiami ed in un bambino di un anno che venga vaccinato contro il morbillo e rivaccinato quattro anni dopo.
 
Ci aspettiamo, per prima cosa, che sianoimmunizzati che cioè producano anticorpi e cellule linfocitarie della memoria immunologica, e che queste risposte li proteggano per lungo tempo dall’infezione. Lo sviluppo dell’immunità di gregge richiede infatti che il soggetto immunizzato non perda anticorpi e memoria immunologica troppo rapidamente, quindi sia persistentemente immune.
 
Questo non avviene in egual misura in tutti e due i bambini vaccinati. Infatti, il vaccino del morbillo, che rimane uno dei più efficaci, lascia si una percentuale di vaccinati non perfettamente immunizzati (attorno al 10%) ma quelli immunizzati lo restano a lungo negli anni perché il vaccino è costituito da una variante virale attenuata di persistente capacita immunizzante.
 
Ciò non si verifica nel bambino vaccinato contro la pertosse, sia per la minore efficacia degli attuali vaccini acellulari (fra il 70 e l’80%) sia per la perdita piuttosto rapida (pochi anni) di parte delle sopradette funzioni immunologiche protettive. Ancora più importante, mentre il vaccino contro il morbillo induce una immunità largamente associata a blocco della trasmissione, i vaccini anti-pertosse acellulari non sono in grado di bloccare efficacemente la trasmissione del batterio.
 
Morale di questa piccola storia vaccinale, applicata all’intera comunità: una buona immunità di gregge è ottenibile contro il morbillo alzando al massimo la copertura vaccinale (maggiore del 95%) perché le perdite di soggetti immunizzati sono poche ed il blocco della trasmissione del virus del morbillo è efficace.
 
Non lo è, con gli attuali vaccini, con la pertosse, quale che sia la copertura vaccinale, perché le perdite di immunizzati sono alte e la trasmissione del batterio all’interno della comunità non è impedita. Un bambino che non si è potuto vaccinare contro il morbillo sarà probabilmente protetto ma un bambino che non si è potuto vaccinare contro la pertosse (ad esempio, tutti quelli entro i due mesi di vita) sono a rischio di contrarre una malattia che può anche essere  letale in questa fascia di età.  
 
Per la pertosse, viene quindi meno la connessione logica fra obbligo vaccinale ed immunità di gregge e la protezione nella sopradetta fascia di età è di fatto possibile solo vaccinando le donne in gravidanza le quali, trasmettendo gli anticorpi al feto, lo proteggono nei primi mesi di vita.  Credo, però, che una donna in gravidanza, possa, e debba, essere persuasa a vaccinarsi contro la pertosse, di certo non obbligata.
 
Gli esempi che ho fatto dimostrano che l’immunità di gregge che consegue ad una alta copertura vaccinale, che a sua volta ci si aspetta consegua dall’applicazione puntuale dell’obbligo vaccinale, ha un impatto diverso sul potenziale di protezione della comunità, variabile a seconda della natura del vaccino, dell’agente infettante e della malattia che si vuole prevenire.
 
Può essere generata ed essere efficace per molte vaccinazioni ma non per tutte. Pertanto, l’obbligo vaccinale non può essere visto come una specie di toccasana che evita il costo e la fatica di informare, spiegare, far capire ed in sostanza offrire servizio utile a far accettare la vaccinazione. Non è una liberatoria dalla responsabilità.
 
Ad un genitore dubbioso che chiede il perché si debba vaccinare il proprio bambino che sta benissimo non si dovrebbe mai rispondere semplicemente perché è obbligatorio farlo. Provare a persuadere tutti a vaccinare i propri bambini, senza costrizione diretta o indiretta, può risultare una dura esperienza, talvolta frustrante, ma insostituibile.
 
Antonio Cassone
Membro dell’American Academy of Microbiology. Già Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità e Professore straordinario di Microbiologia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Perugia
 
 

18 maggio 2017
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