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Decreto 70. Urge riforma che preveda non solo ospedale per intensità̀ di cura, ma anche una “rete” gestita da chi cura il paziente

di Francesco Medici

È nostra opinione che il Decreto 70 vada rivisto e vada integrato con il decreto della medicina territoriale (che va modificato) al fine di stabilire una volta per tutte qual è il flusso del paziente e permettere ai DEA di primo e secondo livello di poter gestire non solo l’entrata dei pazienti ma soprattutto la loro dimissione a domicilio o nel territorio. Abbiamo proposto uno schema di “flusso” che veda finalmente fare interagire le varie figure professionali per la migliore cura del paziente

16 OTT -

La scommessa è il “territorio”! Se ne sente parlare da sempre ed appare (per molti) la soluzione di tutti i problemi della sanità. Forse. “Certo se il paziente fosse curato nel “proprio letto” costerebbe meno e servirebbero meno letti in ospedale!” Un ritornello che si sente da tempo.

La sintesi anzi direi la conseguenza di questo “misunderstanding” è che la politica negli ultimi anni, per “riformare” il territorio a ISO risorse, ha depauperato le uniche strutture funzionati, ovvero gli ospedali, non risolvendo peraltro i problemi territoriali. (vedi Decreto Balduzzi che ha previsto 3.7posti letto per mille abitanti tagliando miglia di posti letto in tutta Italia). La novità di oggi rispetto a ieri è che alcune risorse sono state previste. Poche e insufficienti, ma ci sono.

In sintesi per dare corpo a esigenze vere ed a slogan meno veri nel PNRR si assumeva l’obiettivo di potenziare i servizi assistenziali territoriali per consentire l’effettiva applicazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, riducendo le disuguaglianze, e contestualmente costruendo un modello di erogazione dei servizi condiviso ed omogeneo sul territorio nazionale.


Leggiamo su quotidianosanita.it “PNRR: i tagli degli obiettivi e la coerenza dei dati... “
“Pertanto per erogare servizi universalmente accessibili, integrati, centrati sulla “persona” in risposta alla maggioranza dei problemi di salute del singolo e della comunità̀ nel contesto di vita, il SSN dovrebbe perseguire la pianificazione, il rafforzamento e la valorizzazione dei servizi territoriali tramite lo sviluppo di strutture di prossimità̀, il potenziamento delle cure domiciliari e l’integrazione tra assistenza sanitaria e sociale, che promuova lo sviluppo di équipe multidisciplinari.”

Questo era quanto scritto nel PNRR, vedi DM 77.

Ma qualora dovesse veramente cambiare la assistenza territoriale, dovesse realizzarsi anche solo in parte quanto previsto (e finanziato nel PNRR) come dovrebbe cambiare l’ospedale? Quali le ripercussioni?

I PS/DEA sono a nostro avviso la cartina di tornasole del SSN/SSR, dopo la pandemia, oggi più̀ di ieri, sono “esplosi” in tutta Italia indici di una sanità nel suo complesso inadeguata. Il pronto soccorso è per i cittadini la sola “porta aperta del SSN” H/24/7 su 7 per 365 giorni all’anno, che rappresenta nella loro mente la sola a dare una risposta immediata.

Si è più̀ volte detto che una sanità territoriale funzionante risolverebbe il problema, ma questo è vero in parte.

Abbiamo tre tipi di accesso in PS:
- Congrui: Rete ictus, rete IMA, Politrauma, Scompenso (respiratori, cardiaco, nefrologico ect);
- Incongrui: Prestazioni ambulatorie o diagnostiche ritenute dal cittadino urgenti (quando non si vogliono aspettare le “liste di attesa”);
- Incongrui ma obbligati: Prestazioni a pazienti che potrebbero essere curati a casa ma non trovano la disponibilità̀ delle famiglie o una rete di assistenti sociali (funzione solo in parte vicariata dal terzo settore).

Se si analizzano i problemi dell’iperafflusso ai PS, si vede che i problemi sono soprattutto nei DEA di I e di II livello e che il problema non è mai nel gestire l’emergenza, ma nel ricoverare i pazienti una volta arrivati a diagnosi. Questo succede per due motivi: i posti letto nei reparti ospedalieri sono insufficienti; i reparti non riescono a riallocare i pazienti nel territorio a fine cura.

Dopo queste premesse potrebbe essere utile proporre, contrariamente a quanto detto fino ad oggi, di dover “centralizzare” e non decentrare alcune funzioni. Tuttavia, nel centralizzare dobbiamo differenziare e fare un’effettiva chiarezza operativa. Deve passare il concetto che il paziente può̀ anche essere centralizzato, ma poi, a diagnosi fatta, deve essere trasferito secondo le sue necessità assistenziali in un modello assistenziale per “intensità̀ di cura”.

Reparti a intensità̀ di cura sono:
- Alta intensità̀: DEA I e II livello secondo modelli già sperimentati
- Media intensità̀: DEA I livello – Ospedale comunità̀ – Hospice
- Bassa intensità̀: Ospedale di comunità̀, Casa della comunità̀
Ovvero un’intensità̀ di cura dentro e/o fuori dall’ospedale. Una rete gestita da chi ha in carico in quel momento il paziente.

I DEA di primo e secondo livello, così come costruiti dal decreto ministeriale 70/15, devono essere potenziati permettendo inoltre di avere reparti flessibili/modulari, ovvero reparti che si aprono solo all’occorrenza (secondo il modello dell’ospedale flessibile).

Che sia per un PEIMAF, per le sindromi influenzali o per una nuova pandemia, poco importa: solo nei DEA di I e II livello possono essere curate le patologie complesse, le pluri patologie e i casi clinici più̀ complessi, dove è necessario il supporto di più̀ specialisti (Neurochirurgia, Chirurgia toracica, Radiologia interventistica, Stroke unit), presenti spesso solo nei DEA di II livello.

Nei casi più̀ complessi, solo dopo una diagnosi che preveda una presa in carico multi-specialistica e possa avvalersi di specifiche indagini, è possibile la riallocazione dei pazienti.

Ad oggi, nulla o molto poco si sta scrivendo sul riordino della rete ospedaliera. Nessun nuovo finanziamento è nelle leggi di bilancio recentemente approvate in linea di continuità̀ di comportamento anche tra governi di diverso colore. Riteniamo che vada aggiornato il Decreto 70 e soprattutto ridefiniti gli insufficienti 3,7 posti letto per mille abitanti.

Urge la riforma del Decreto 70 che potenzi la rete degli ospedali, perché́ le liste di attesa chirurgiche, anche prima della pandemia, sono sempre più̀ imbarazzanti, costringendo all’uso dell’“out of pocket”, che è arrivata ai 34 miliardi di euro.

Possiamo immaginare che le tabelle che hanno previsto solo una determinata percentuale di posti letto per disciplina chirurgica si siano dimostrate notevolmente sbagliate? O dobbiamo pensare che AGENAS voglia spingere per il privato?

Urge la riforma del Decreto 70, perché́ gli ospedali con la legge 34 hanno costruito, correndo peraltro, posti di terapia intensiva e Sub intensiva, che oggi risultano inutili e quindi inutilizzabili, dove non si siano allestiti padiglioni, fiere o chiese, riempendoli di attrezzature costosissime che oggi prendono polvere. I DEA di I, ma soprattutto di II livello, devono essere appunto “riformati”: deve essere rafforzato ed integrato non solo il territorio, ma soprattutto l’ospedale.

L’Ospedale di Comunità̀ previsto dal Decreto 71 deve fungere da cerniera tra territorio e ospedale, permettendo di ricoverare solo nell’ospedale di rete secondo il richiamato sistema ad intensità̀ di cura.

Urge la riforma del Decreto 70 per integrarlo subito con il decreto 77 e con il PNRR.

Entrambi i decreti vanno modificati.

Dobbiamo prevedere, a supporto sia del dipendete ospedaliero e che del MMG e PLS, di assumere non solo medici ed infermieri, ma anche personale amministrativo specializzato per il SSN.

Non sembra nulla di nuovo, perché́ in gran parte del mondo è già̀ così.

Dovremmo prevedere nel nostro SSN una nuova figura professionale, una “figura amministrativa di reparto”, che coadiuvi medici ed infermieri nei reparti o negli ambulatori ad utilizzare nuovi mezzi tecnologici.

È assurdo che il SSN paghi un professionista medico, con una retribuzione oraria di almeno €. 60,00 all’ora, per fare adempimenti burocratici (cartella informatizzata, ricetta elettronica, certificazione INAIL, certificazione medica digitalizzata e quant’altro), lì dove questi compiti, ovviamente su indicazione del medico o del dirigente sanitario, possono essere svolti da un amministrativo, con una retribuzione di €. 12,00/20,00 euro ogni ora.

Se mancano medici ed infermieri, una soluzione è quella di farli lavorare di più̀ e meglio, sgravandoli da compiti amministrativi, che oggi assorbono almeno il 30% del “tempo medico”, specialmente per le funzioni dei MMG e dei PLS, sommersi da burocrazia.

Un modo per avere più̀ medici è anche quello di avere “medici che fanno solo i medici”: visitano, fanno diagnosi e curano, ma coadiuvati da figure a supporto che permettono la digitalizzazione dei processi di cura come prevedono normative subentranti.

Abbiamo medici e infermieri anziani che hanno grande difficoltà con tablet e computer: vanno aiutati e la formazione, in caso di applicazione di apparecchiature da parte del personale, è compito primario delle ASL o delle Aziende Ospedaliere.

Ci auguriamo che nelle nuove piante organiche dei nuovi Decreti ci sia anche questa nuova figura professionale.

Anche se avessimo un territorio più̀ performante, a nostro avviso, le attuali strutture ospedaliere dovrebbero essere comunque ristrutturate e potenziate. Secondo un modello proposto dalla Direzione aziendale della A.O. di Parma, le ASL e le A.O. dovrebbero fondersi dal punto di vista amministrativo/gestionale, creando un’azienda unica, che gestisca sia DEA di II che di I livello e conseguentemente ospedali di comunità̀ e case della salute di quel territorio (esempio in oggetto tutta la provincia di Parma).

Sola un’amministrazione unica potrebbe permettere una reale gestione a rete dei posti letto, ma anche il trasferimento di professionisti - medici ed infermieri soggetti a re- strizioni lavorative - da reparti a maggiore impatto a reparti territoriali.

Riteniamo che ad assistere i malati nelle Case della Salute debba andare non solo il medico medicina generale, ma anche l’equipe ospedaliera con l’attrezzatura trasportabile (ecografo, ECG, spirometria e strumenti necessari). L’ospedale “va al letto del malato” e non il “trasporto del malato in ospedale”, se non quando strettamente necessario.

È nostra opinione che il Decreto 70 vada rivisto e vada integrato con il decreto della medicina territoriale (che va modificato) al fine di stabilire una volta per tutte qual è il flusso del paziente e permettere ai DEA di primo e secondo livello di poter gestire non solo l’entrata dei pazienti ma soprattutto la loro dimissione a domicilio o nel territorio.

Questo potrà̀ avvenire solo e soltanto se si arrivasse ad una direzione del processo di cura unica e non frammentata tra diversi dei decisori politico amministrativi seguendo quello che è il modello della Regione Emilia-Romagna.

Abbiamo proposto uno schema di “flusso” del Paziente dal proprio domicilio, al più̀ idoneo luogo di cura, fino al suo rientro al domicilio o in strutture dedicate una volta risolto il problema di salute, su cui speriamo si apra una discussione.

Uno schema che veda finalmente fare interagire le varie figure professionali (medici dipendenti, medici convenzionati, infermieri) per la migliore cura del paziente.

Francesco Medici
Socio ASIQUAS, Medico di Direzione Sanitaria dell'A.O “San Camillo Forlanini”



16 ottobre 2023
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