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Mammografie inutili per ridurre mortalità? Per i radiologi è un messaggio “pericoloso e fuorviante”


La Società Italiana di Radiologia Medica punta l’indice contro il recente articolo del British Medical Journal che mette in dubbio l’utilità della diagnosi precoce mediante screening mammografico per ridurre la mortalità del tumore mammario. “Riteniamo molto pericoloso diffondere messaggi fuorvianti sull’inutilità della diagnosi precoce”.

19 FEB - Il Presidente della Società Italiana di Radiologia Medica, Carlo Faletti, punta fermamente l’indice contro il recente articolo del British Medical Journal (Miller AB, et al. BMJ. 2014 Feb 11;348:g366) che mette in dubbio l’utilità della diagnosi precoce del tumore mammario mediante screening mammografico, sostenendo che quest’ultimo non ridurrebbe la mortalità. 
“Ritengo indispensabile – ha dichiarato Faletti, che è anche primario di radiologia al CTO di Torino - rispondere a notizie che potrebbero ingenerare false apprensioni in un Paese noto in tutto il mondo per essere stato uno dei primi a organizzare lo screening mammografico con doppia lettura del medico radiologo, con ottimi risultati riconosciuti recentemente anche dalla American Roentgen Ray Society quale esempio da proporre”.
 
A tale scopo il Dott. Faletti ha richiesto e ottenuto una risposta articolata da parte degli esperti di un importante settore diagnostico quale appunto quello di senologia. ).“Riteniamo molto pericoloso diffondere messaggi fuorvianti sull’inutilità della diagnosi precoce, evento che consente una chirurgia sempre meno aggressiva e trattamenti sempre più attenti al benessere complessivo della donna”, affermano in una nota congiunta i medici Pietro Panizza (IRCCS Istituto Nazionale Tumori – Milano), Presidente della Sezione di Senologia di SIRM, e Francesco Sardanelli (IRCCS Policlinico San Donato), che contestano risolutamente quanto pubblicato dal British Medical Journal.
 
Nel merito basta sottolineare che lo studio - condotto da Anthony Miller dell'Università di Toronto - considera gli effetti di indagini mammografiche effettuate tra 20 e 25 anni fa. “Senza polemizzare sulla qualità della mammografia di screening di alcuni studi canadesi del passato, sarebbe come se volessimo discutere delle prestazioni, dei consumi e degli standard di sicurezza delle automobili attuali sulla base di quelle disponibili nei primi anni Novanta, ovvero basate sulla tecnologia degli anni Ottanta”. Continuano i due esperti: “Non ha senso, soprattutto se consideriamo che la mammografia nel frattempo è diventata digitale (come la fotografia!), riducendo la dose di radiazioni e consentendo un’analisi “per strati” della mammella (tomosintesi) che aumenta la sensibilità diagnostica per i tumori e riduce la richiesta di approfondimenti diagnostici in assenza di malattia, come recentemente dimostrato anche da studi condotti in Italia”.
 
Tutti i medici impegnati nella lotta al tumore mammario sanno che: 1) la mammografia permette la diagnosi di tumori mammari di dimensioni inferiori a quelli che sarebbero diagnosticati aspettando che il tumore diventi palpabile; 2) anche con le più avanzate terapie attuali, il tumore più piccolo implica maggiori probabilità di guarigione e l’utilizzo di trattamenti chirurgici, radioterapici e farmacologici meno aggressivi rispetto a quelli necessari per tumori più grandi.
 
Lo studio canadese solleva inoltre il problema della sovradiagnosi, ossia della possibilità di diagnosticare tumori maligni a lenta crescita che non avrebbero necessitato di terapie. La proporzione calcolata dagli autori è del 22%. “Anche accettando questa stima, ne deriverebbe che ogni circa 5 donne alle quali viene diagnosticato un tumore mammario nel corso dello screening, una andrebbe incontro a trattamenti non necessari a vantaggio delle altre quattro che si gioverebbero dei vantaggi della diagnosi precoce. Un bilancio sociale senz’altro a favore della mammografia”, concludono Panizza e Sardanelli.

19 febbraio 2014
© Riproduzione riservata

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