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Turni e riposo. Regioni in ritardo sulle nuove norme. Non resta che chiedere le “35 ore settimanali”

di Andrea Bottega

Per evitare la procedura di infrazione europea il Parlamento ha ripristinato il diritto comunitario su orari e riposi già in vigore per tutti gli altri lavoratori. Ma finora nessuna regione si è adeguata e la scadenza è il 25 novembre. Che fare? Ecco alcune proposte concrete

18 OTT - In questo periodo il management delle aziende sanitarie è messo a dura prova dall’entrata in vigore (25 novembre 2015) della legge 161/2014 (legge europea 2013-bis) il cui articolo 14 abroga due norme derogatorie della direttiva comunitaria in tema di orari e riposi: il comma 13 dell'articolo 41 della legge 133/2008 e il comma 6-bis dell'articolo 17 del Dlgs 66/2003.
 
Per il solo personale sanitario del SSN pubblico da giugno 2008 era possibile derogare la durata massima di 48 ore dell'orario settimanale di lavoro (l'articolo 41 citato che riguarda solo la dirigenza sanitaria) e il riposo giornaliero di 11 ore ogni 24 lavorate (l'articolo 17, che invece si riferisce a tutto il ruolo sanitario compreso il comparto).
 
Queste deroghe, inserite sia dal governo di centrosinistra (governo Prodi) che di centrodestra (governo Berlusconi), sono servite a evitare le sanzioni amministrative (multe) frutto dei sempre più scarni organici delle aziende sanitarie che non consentivano il rispetto della normativa comunitaria.
 
A seguito dell’intervento di alcune sigle sindacali e al fine di evitare la procedura di infrazione il Parlamento ha ripristinato il diritto comunitario già in vigore per tutti gli altri lavoratori.
Tra l’altro la stessa legge 161/2014 dà delle indicazioni precise su come arrivare al rispetto dei diritti dei lavoratori, precisando che le regioni devono garantire i servizi “attraverso una più efficiente allocazione delle risorse umane disponibili sulla base della legislazione vigente”, prevedendo “appositi processi di riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture e dei servizi dei propri enti sanitari”.
 
Com’è ben noto non ci risultano regioni che abbiano provveduto in questo senso per questa finalità e pertanto ci troviamo all’approssimarsi della data del 25 novembre prossimo in una situazione identica se non peggiore dello scorso anno per via del protratto blocco del turn-over. Dal novembre 2014, inoltre, il fondo per il Servizio sanitario nazionale ha visto diminuire ulteriormente le risorse economiche a disposizione (Dl enti locali).
 
Il combinato disposto di minori finanziamenti, mancate riorganizzazioni, e il perdurare del blocco del turn over fa sì che oggi chi organizza il lavoro in sanità debba mettere in atto sperimentazioni di modelli di turnistica che mettono a dura prova il personale dipendente.
 
Vediamo il perché. Ogni turno di lavoro deve rispettare il risposo giornaliero (11 ore di riposo nelle 24 ore tra un turno e l’altro) e il riposo settimanale (35 ore cioè 24 +11 perché un diritto – il riposo settimanale di 24 ore – non può assorbire un altro diritto – le 11 ore di riposo giornaliero-) che può essere fruito entro 14 giorni. Sulla base di questi presupposti è quindi possibile sviluppare dei modelli di turno per il personale dei reparti aperti h24 (per esempio M-P-N-SN-R; oppure in base al profilo orario ipotizzando il turno notturno di 11.30 ore anche P-M-N-SN-R; oppure un turno di 12 ore; oppure un turno doppio M-M-R-P-P-N-N-SN-R; ecc.) e per il personale a copertura delle 12 ore (M-P) che difficilmente possono prevedere dei riposi doppi perché la prestazione lavorativa risulta diluita in più giorni rispetto magari ad altri modelli di turno. Con la tipologia di turno “europeo” i riposi settimanali sono per lo più singoli e se ne possono maturare circa 5, uno in più rispetto alle 4 settimane del mese, il quale servirà per il rientro a compensare il debito orario che si sviluppa.
 
Il riposo singolo, quale risposo settimanale di 35 ore, rende pressoché impossibile, salvo non ci siano dotazioni di personale adeguate, i rientri per le assenze improvvise ma anche spesso la fruizione di permessi previsti da leggi e contratti (i 3 giorni del permesso per handicap, i permessi per donazione sangue, i 3 giorni per il lutto o per motivi personali). Anche la formazione obbligatoria e facoltativa (8 giorni l’anno) diventa un problema perché non si può fare nell’intera giornata senza pregiudicare le ferie o il diritto al riposo settimanale. Le riunioni di reparto poi risultano anch’esse una problema perchè sono considerate giustamente orario di lavoro e vanno ad interrompere il riposo giornaliero.
 
Anche le assenze lunghe (malattia, infortunio o maternità, congedi di paternità) se non coperte tempestivamente portano a sospendere le ferie o il diritto al riposo. Ulteriore problema è rappresentato dal diritto alla mezz’ora di pausa durante il turno diurno, festivo e notturno che è prevista per tutti i turni superiori alle 6 ore e deve essere fruita interrompendo l’orario di lavoro e non dopo il turno (art. 8 D.lgs 66/2003).
 
Per le sale operatorie e per i servizi di emergenza c’è poi il problema dei turni di pronta disponibilità di cui si è già parlato. Vi è anche la possibilità di strutturare la copertura delle 24 ore con turni di 12 ore. Per questi c’è il problema dell’indennità prevista dal comma 3 dell’art. 44 CCNL 1999 che esplicitamente parla di personale “operante in servizi articolati su tre turni, a cui compete un’indennità giornaliera, pari a 4,49 euro. Detta indennità è corrisposta purché vi sia una effettiva rotazione del personale nei tre turni, tale che nell’arco del mese si evidenzi un numero sostanzialmente equilibrato dei turni svolti di mattina, pomeriggio e notte, in relazione al modello di turni adottato nell’azienda o ente”. Quindi, per questa indennità, servono tre turni e non due. La soluzione sarebbe la previsione di un terzo giorno quale risposo compensativo che farebbe scattare l’indennità.
 
Inoltre, in caso si adotti un turno di 12 ore, sorge il problema ai fini del debito orario, di come vengono computate le ore di assenza per permesso e malattia. Saranno contate sull’orario teorico (es. 6 ore su 6 giorni) oppure sul programmato (i turni di 12 ore)? E se è il programmato, i 3 giorni di permesso sono di 12 ore ciascuno? Si rischierà invece di andare in debito orario se l’assenza è considerata di 6 ore (orario teorico)?
 
A monte dei problemi della turnisitica c’è poi la definizione di orario di lavoro che richiede un chiarimento. L’orario normalmente si distingue in teorico (es. 7-14), validato (es. 7-14,15 con 15 minuti di consegna o vestizione) ed effettuato (es. 6,53-7,17). Ai fini del godimento delle pause e del riposo dovrebbe essere considerato l’orario effettuato e non il teorico o il validato. Per orario di lavoro, infatti, si intende “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue finzioni” (comma 2 art. 1 D.Lgs 66/2003) ed è innegabile che la timbratura effettiva sia la dimostrazione che il dipendente si trovi nel luogo di lavoro. Non è corretto pertanto, a parere dello scrivente, prevedere lo stacco di 11 ore di riposo sull’orario teorico o validato. Tale questione non è di poco conto perché condiziona molto gli orari della turnistica.
 
Anche la libera professione per la dirigenza medica e l’attività di supporto o l’acquisto di prestazioni (ex legge 1/2002) per il personale del comparto rientrano nell’orario di lavoro. Il personale che ha più rapporti di lavoro compatibili e autorizzati ha l’onere di comunicare ai diversi datori di lavoro l’ammontare delle ore in cui può prestare la propria attività lavorativa nel rispetto dei limiti indicati e fornire ogni altra informazione utile in tal senso. Ciò significa che i dirigenti medici rischiano di sforare le 48 ore settimanali (come media di almeno 4 mesi) e il riposo giornaliero. E chi fa l’intramoenia, cioè attività dentro la struttura pubblica, difficilmente potrà sfuggire al controllo del datore di lavoro.
 
Che cosa comporta il mancato rispetto di tali diritti? Una sanzione amministrativa a carico del dirigente responsabile (direttore di UO, Direttore del personale o Direttore Amministrativo in base all’organigramma aziendale e ai profili di responsabilità) fino a un massimo di 780 e 630 euro (violazione art. 4 e 7 del DLgs 66/2003) da moltiplicare per ogni evento e per il numero dei dipendenti coinvolti.  
 
Qual è dunque la soluzione per garantire i diritti dei lavoratori e il rispetto della legge? La risposta è alquanto semplice e disarmante: l’adeguamento delle dotazioni organiche. Ciò che si continua a non capire è che la tutela dei diritti ha un costo e che finora i servizi sanitari sono stati garantiti in barba al diritto comunitario sul lavoro e sulle spalle dei lavoratori. Se la nostra Costituzione prevede la garanzia di alcuni diritti in capo alla Repubblica bisogna che lo Stato se ne faccia completamente carico.
 
Se soffro di ipertensione o dolore alla schiena irradiato alla gamba e ho bisogno di una visita cardiologica o di una TAC lombosacrale e il primo posto disponibile è tra sei mesi, di fatto il diritto alla salute mi è negato. Se il mio datore di lavoro non rispetta il contratto e chiedo al giudice di avere il giusto pattuito e la prima udienza mi è fissata a distanza di un anno e mezzo, il diritto alla giustizia mi è negato.
 
I diritti costano e i tagli lineari alla spesa (come sta facendo anche questo governo) non incidono sulla spesa improduttiva ma sulla spesa tout court e quindi si traducono in tagli ai diritti. Il diritto ai riposi e alle ferie hanno la finalità di garantire la protezione della sicurezza e salute dei lavoratori, il recupero delle energie psicofisiche e la prevenzione degli infortuni, condizioni indispensabili per ogni attività lavorativa.
 
Che a questo governo non interessi la tutela dei diritti dei lavoratori è così evidente che si è pure permesso di rendersi ridicolo e prendere in giro gli stessi lavoratori pubblici: a difesa del blocco contrattuale ha dichiarato alla Corte Costituzionale che il valore economico del mancato rinnovo dei contratti per gli anni 2010-2015 è pari a 35 miliardi cioè 7 miliari l’anno mentre poi in legge di stabilità stanzia per il 2016 appena 200 milioni (circa 5-7 euro lordi al mese)! Inoltre i rinnovi risultano autofinanziati, in quanto le coperture sono previste dal taglio del personale. E magari anche si chiederà ai sindacati di sottoscrivere un contratto nazionale con la previsione di deroghe di cui al comma 3 dell’art. 14 del DLgs 161/2014.
 
Per quanto ancora si abuserà della pazienza dei lavoratori e per quanto ancora i lavoratori saranno disposti a portare pazienza? Che fare dunque? La mia proposta è di chiedere in contrattazione integrativa l’applicazione dell’art. 27 del CCNL 1999 (riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali); quindi attendere sei mesi, poi procedere alla segnalazione delle trasgressioni della norma sull’orario di lavoro al fine di arrivare a sanzioni amministrative di un certo valore che convincano i dirigenti ad assumere adeguato personale.
 
Dr. Andrea Bottega 
Segretario Nazionale Nursind


18 ottobre 2015
© Riproduzione riservata

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