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Pillola del giorno dopo e obiezione di coscienza. Ecco il documento integrale del Cnb


Per 15 membri del Cnb, l’obiezione di coscienza in caso di contraccettivi di emergenza va riconosciuta anche ai farmacisti. Di opinione opposto 9 membri. In 25 concordano che comunque, anche laddove il diritto all’obiezione di coscienza per il farmacisti fosse approvato per legge, la stessa legge dovrà comunque tutelare il diritto della donna ad accedere al farmaco. Ecco il documento completo approvato da 25 membri del Cnb lo scorso 25 febbraio.

15 MAR - Era stato anticipato nelle settimane scorse, ed ecco oggi, in versione integrale, il documento che registra tutte le posizioni all’interno del Comitato nazionale di bioetica in relazione alla possibilità che un farmacista possa negare il farmaco contraccettivo d'emergenza  per motivi di coscienza. Un diritto che va riconosciuto, secondo 15 membri del Cnb (Adriano Bompiani, Cinzia Caporale, Roberto Colombo, Francesco D’Agostino, Bruno Dallapiccola, Antonio Da Re, Lorenzo d’Avack, Maria Luisa Di Pietro, Anna Gensabella, Aldo Isidori, Assunta Morresi, Andrea Nicolussi, Laura Palazzani, Vittorio Possenti, Rodolfo Proietti) che ritengono i ruolo del farmacista assimilabile a quello degli “operatori sanitari” e che pertanto, in analogia a quanto avviene per altre figure professionali sanitarie (l. n. 194/1978 e l. n. 40/2004), debba necessariamente essere riconosciuta anche a questa categoria professionale il diritto all’obiezione. Non la pensano così invece altri 9 membri del Cnb (Luisella Battaglia, Stefano Canestrari, Silvio Garattini, Laura Guidoni, Claudia Mancina, Alberto Piazza, Lucetta Scaraffia, Monica Toraldo di Francia, Giancarlo Umani Ronchi), per i quali tale riconoscimento su piano legislativo non è possibile.

In particolare, per i primi i punti che avvalorano il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza sono i seguenti:
- il foglietto illustrativo del farmaco cita, tra gli altri, l’effetto di impedire l’impianto di un embrione eventualmente già presente nell’utero materno ed è quindi considerato abortivo da chi ritiene che la gravidanza abbia inizio a partire dalla fecondazione.
- Come sottolineato dal presidente della Fofi, Andrea Mandelli, nel corso dell’audizione al Cnb, “il farmacista è un operatore sanitario in base alla normativa vigente e anche, se non interviene ovviamente nel processo di diagnosi e indicazione della terapia, ha tuttavia una sua competenza specifica per quanto attiene al farmaco nei confronti del cittadino, prova ne sia che è tenuto al controllo della ricetta”.
- In ogni caso, anche chi non appartiene alla categoria del personale sanitario può legittimamente richiamarsi all’obiezione di coscienza.
- La distinzione tra partecipazione diretta o indiretta non ha rilevanza morale in quanto entrambe le azioni contribuiscono ad un eventuale esito abortivo in una catena di causa ed effetti senza soluzione di continuità: anche il ruolo meno diretto (la dispensazione del farmaco, previo esame e controllo della ricetta) è pur sempre un anello decisivo della catena che porterà alla possibile eliminazione farmacologica dell’embrione.
- poiché nella maggioranza dei casi il medico, consultato a distanza di poco tempo dal rapporto sessuale, non è in grado di diagnosticare un pericolo concreto per la salute della donna derivante dall’eventualità di una ipotetica gravidanza, ma solo di stabilire se nelle condizioni di salute in cui la donna gli si presenta non vi siano controindicazioni obiettive all’assunzione del farmaco. La ricetta, quindi, non costituisce un’indicazione terapeutica vera e propria.

Per il fronte opposto, pur riconoscendo “l’assoluta correttezza deontologica ed etica del farmacista che invochi la clausola di coscienza”, si presenta tuttavia “assai più complesso il problema concernente un eventuale riconoscimento legislativo al farmacista del diritto di obiettare” e “non si può assimilare la figura del farmacista a quella del medico”. A rendere impossibile il riconoscimento legislativo del diritto intervengono una serie di elementi quali:
-    il fatto che il farmacista si limiti a garantire l’efficienza della farmacia, senza alcun coinvolgimento giuridico sulla prescrizione e a volte senza neppure conoscere personalmente chi assumerà il farmaco
-    - Se si riconoscesse sul piano legislativo al farmacista il diritto all’obiezione di coscienza gli si conferirebbe una duplice facoltà: da un lato, di censurare l’operato del medico, dall’altro, di interferire nella sfera privata e più intima della donna impedendone di fatto l’autodeterminazione. In entrambi i casi si deve rilevare come si crei una lesione dell’altrui diritto.
- Non si tratta di negare alcun diritto al farmacista, ma di prendere atto dell’impossibilità di garantire con assoluta certezza il prioritario diritto della paziente. Anche considerato, ricordano i 9 membri del Cnb, che lo stesso presidente della Fofi, Andrea Mandelli, ha confermato il timore che, in determinate situazioni, potrebbe crearsi la completa impossibilità della donna di accedere al farmaco. “La prospettiva che ogni farmacia possa prevedere che nel proprio organico sia sempre a disposizione almeno un farmacista non obiettore appare, in concreto, di difficilissima attuazione”, scrivono i 9 membri del Cnb, secondo i quali “il riconoscimento legislativo dell’obiezione di coscienza del farmacista finirebbe di conseguenza per avallare una sorta di obiezione di coscienza della farmacia”, che sarebbe “assolutamente inaccettabile perché le diverse tipologie di farmacie svolgono in ogni caso un servizio pubblico.

Il documento ha comunque ricevuto l’approvazione di 25 membri del Cnb, perché i 24 membri sopra citati (a cui si aggiunge Riccardo Di Segni, pur non concordando con le due posizioni di maggioranza) hanno condiviso che anche laddove il diritto all’obiezione di coscienza per il farmacisti fosse approvato per legge,, la stessa legge dovrà comunque tutelare il diritto della donna ad accedere al farmaco.
Contro il documento si è invece schierato Demetrio Neri, che in una delle 4 postille poste a fine documento, sottoscritta da Grazia Zuffa, afferma che “l’appello alla libertà della propria coscienza è, sul piano morale, del tutto insindacabile”, ma “quando l’obiettore esce dalla sfera della propria coscienza individuale al fine di testimoniare pubblicamente la sua obbedienza a un dovere che egli considera superiore rispetto a quello impostogli dalla legge, si entra su un piano di discorso differente da quello etico e deontologico. Su questo piano, infatti, si chiede non certo il permesso di disobbedire – comportamento che resta pur sempre possibile, per quanto oneroso possa essere –, quanto l’autorizzazione a farlo senza incorrere nelle sanzioni eventualmente previste dalla legge. Si può dire che, così facendo, l’obiettore depotenzia il valore simbolico di “resistenza al potere” connesso a ogni atto di obiezione per chiedere invece che l’ordinamento rimetta all’individuo la scelta tra comportamenti alternativi egualmente legittimi”. Tuttavia “ciò sarebbe in palese contraddizione con la natura stessa del principio democratico cui essi si appellano. Se infatti fosse consentito ad ognuno di infrangere le leggi per motivi pertinenti alla propria coscienza – ed essendo i dettami della coscienza potenzialmente infiniti – verrebbe meno ogni tutela della legalità e la stessa convivenza civile diverrebbe impossibile”.

Sul documento si sono invece astenuti Salvatore Amato ed Emma Fattorini, il primo perché, spiega nella postilla a sua firma, “dal parere non emerge con chiarezza cosa pensiamo della natura e dei limiti dell’obiezione di coscienza e neppure l’identità del farmacista esce dalle nebbie di una vaga ambiguità”. “Il legislatore – osserva ancora Amato, non ci fornisce una definizione dell’obiezione di coscienza, ma si limita a individuare alcune situazioni tipiche” e sulla base di questo il Cnb ha costruito un’analogia con la figura professionale del medico, l’analogia con l’aborto chimico. Tuttavia, secondo Amato, le discussioni e le argomentazioni susseguite nel corso del confronto hanno evidenziato che “le analogie erano molto sottili e non abbastanza evidenti”.

Fattorini non motiva la sua astensione, si unisce però ad Antonio Da Re e Andrea Nicolussi nel sottolinea la necessità di una riflessione più approfondita tenuto conto che il rischio, “tanto più in previsione della messa in commercio di nuovi farmaci con possibili effetti abortivi o comunque impeditivi dello sviluppo dell’embrione”, è che “questi soggetti deboli sarebbero privati addirittura di quella assistenza minima e di quelle regole procedurali che pure sono previste dalla legge n. 194 del 1978” e che la donna venga “lasciata sola nell’assunzione sbrigativa del farmaco”.

L’ultima postilla porta la firma di Riccardo Di Segni, che pur avendo dato parere favorevole al documento, “condividendone le conclusioni”, non si riconosce in nessuna delle due posizioni. “Da una parte ritengo che esista un diritto all'obiezione; dall'altra valuto con attenzione le osservazioni di chi nega questo diritto, ma non uso queste osservazioni, come fanno i loro sostenitori, per negare il diritto al riconoscimento legislativo dell'obiezione, quanto per considerarlo un diritto ‘debole’, non assoluto, che deve cedere davanti a un diritto che ritengo più forte, che è quello dell'utente di avere il farmaco prescritto dal medico. Come hanno spiegato i rappresentanti dei farmacisti – continua Di Segni -, in questo Paese la teoria si scontra con la realtà organizzativa, per cui effettivamente in determinate zone il rifiuto di uno o più farmacisti può significare la reale indisponibilità del farmaco. Ritengo a questo punto che, pur riconoscendo in generale il diritto all'obiezione, laddove, per ragionevoli motivi organizzativi sia impossibile reperire il farmaco in situazioni di urgenza in una determinata area, il diritto del paziente sia prevalente e pertanto non sia consentito esercitare il diritto all'obiezione all'unico farmacista dell'area”.
 

15 marzo 2011
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