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Cari colleghi, il medico del tempo che fu, non tornerà più

di Antonio Panti

Quando il futuro è inaffidabile e la speranza svanisce nel timore dell'arretramento economico e sociale, è facile colorare di nostalgica bellezza il passato, stabile e affidabile. Nasce allora il desiderio di riconquistare quel ruolo sociale che esisteva o, meglio, si immagina esistesse

05 GEN - Ascoltando molti colleghi, compresi alcuni Dirigenti, si ha l''impressione che siano molto attaccati al ricordo del medico del buon tempo che fu.
 
Quando il futuro è inaffidabile e la speranza svanisce nel timore dell'arretramento economico e sociale, è facile colorare di nostalgica bellezza il passato, stabile e affidabile. Zygmunt Baumann ha definito retrotopia questa sorta di utopia inversa, il timore di perdere benessere e prestigio perché le abilità così faticosamente acquisite sembrano aver meno valore sul mercato.
 
Nasce allora il desiderio di riconquistare quel ruolo sociale che esisteva o, meglio, si immagina esistesse. Tramonta l'attesa di una società che sappia collegare il benessere individuale con quello collettivo. Ognuno cerca soluzioni personali ai problemi comuni; si è persa la progettualità politica e esplode l'anarchia del libero mercato.
 
Perché tutto questo? Di recente (giugno 2017) il NEJM ha pubblicato i risultati di un'indagine effettuata in alcuni paesi di lingua inglese dalla quale emerge che oltre il 50% dei medici soffre di burn out. L'inchiesta sostiene che la "distruzione creatrice" del capitalismo, quella che ha sostituito i fiaccherai con gli autisti aumentando i posto di lavoro, potrebbe, al contrario, avere effetti negativi sulla forza lavoro medica.
 
"I medici inglesi sono al massimo livello di frustrazione per le condizioni professionali attuali, ma sono ottimisti rispetto al potenziale della tecnologia di migliorare la cura del paziente"; così l'editoriale del NEJM che conclude sostenendo che "the physicians are neither victim nor villain but human".
 
Le cause di questo burn out sono identiche nei paesi industriali. La difficoltà della relazione  per scarsità di tempo e per la trasformazione del paziente in un dis-informato internauta, spesso conflittuale col medico; l'eccessivo divario tra aspettative e realtà rispetto ai successi della medicina moderna; la deriva economicistica e aziendalistica dei servizi medici con la conseguente burocratizzazione che spiazza il medico sul piano psicologico; la introduzione delle tecnologie cognitive in una metodologia fondata sull'interpretazione intuitiva del caso; la centralità del paziente al posto di quella del medico o almeno della relazione, il che svilisce il ruolo professionale.
 
Sullo stesso tema si è svolto nello stesso periodo (maggio 2017) un seminario promosso dalla McCann Emea, una società internazionale specializzata nelle analisi e nel marketing sanitario. Dove Charlie Buckwell, presidente del gruppo, ha sottolineato come  sia "necessario un nuovo paradigma della trasformazione per aiutare i medici a affrontare con successo una realtà così differente". La cosiddetta "centralità del paziente", invocata come panacea di tutti i mali della sanità, sposta il fuoco delle dinamiche relazionali, spesso soggette alla minaccia risarcitoria, perché il privatissimo spazio del rapporto tra medico e paziente è invaso da mille stekeholders.
 
La Dr.sa Geraldine Strathdee, direttore del centro di salute mentale nel NHS, sostiene che "la medicina è una cartina di tornasole di quel che accade nella società. "I medici, afferma Hilary Gentile, esperta in rischio clinico nel sistema USA, "si sentono spogliati della loro competenza a curare in un'azienda sanitaria diventata commerciale".
 
Insomma, conclude l'inchiesta del NEJM, "occorre aiutare i medici a reclamare la loro posizione di leader nella cura del paziente rendendo liberi i dottori di focalizzare il loro tempo, che di per sé non ha prezzo, sulla cura".
 
La società oscilla tra la considerazione dei medici quali "divinità in camice bianco" e, al contrario, quali inutili esecutori di algoritmi, pericolosi e superpagati.
 
I medici, comunque, sono capaci di autocritica e di porre attenzione alla sicurezza del paziente. Gentile e Rodney WJ Collins (direttore regionale McCaan EMEA), concludono con tre consigli. Il primo, ai gestori dei servizi sanitari, di aiutare i medici a riguadagnare autorità sui pazienti valutando la produttività non sulla singola prestazione ma sul risultato in una visione olistica della salute; il secondo umanizzando la tecnologia verso la condivisione delle cure; infine predisponendo percorsi multi professionali delle cure.
 
La tecnica non elimina il bisogno di medico, anzi la sua umanità appare sempre più insostituibile. I medici, concludono gli editorialisti, vorrebbero esercitare la professione con gli stessi ideali per i quali la hanno intrapresa. I medici non sono alla fine del loro ruolo ma debbono trasformarsi da esperti della salute in professionisti del benessere, da possessori di conoscenze a trasmettitori di saperi e da specialisti del particolare a esperti dell'uomo.
 
I medici hanno molte ragioni dalla loro parte ma queste non bastano e, se è diffuso un motivato burn out, la risposta delle organizzazioni mediche è carente, legata a schemi desueti e a quel rimpianto del passato di cui parla Baumann. Inoltre, a queste motivazioni comuni di una crisi epocale, in Italia si sovrappone il consueto pressapochismo e la mancanza di un progetto politico. Keynes ha detto che non è impossibile avere idee nuove, difficile è disfarsi delle vecchie. E nascono le retrotopie di cui parla Baumann.
 
Eppure una  professione che si fonda sull'analisi della realtà dovrebbe almeno provarci.
 
Antonio Panti

05 gennaio 2018
© Riproduzione riservata

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