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Se la valvola (cardiaca) è difettosa, la responsabilità è di tutta l’équipe che ha seguito l’intervento, compreso il pre e il post


La Cassazione ribadisce (ordinanza 31966/2918) che se la protesi è difettosa ne rispondono, oltre alla struttura ospedaliera, tutti i medici che compongono l'equipe e non solo il primario che ha deciso l'impianto e scelto il dispositivo e ha allargato l'area delle responsabilità a tutti i componenti il team sanitario. dalle fasi antecedenti l'intervento  in cui sono rientrate anche le scelte relative ai prodotti da utilizzare. L'ORDINANZA.

13 DIC - Protesi difettosa? Non solo il primario e l’azienda ospedaliera sono responsabili, ma tutta l’équipe che ha seguito l’intervento, dal pre al post operatorio. Così la Cassazione (ordinanza 31966/2018) ha rinviato alla Corte d’Appello che aveva limitato le responsabilità la sua sentenza perché tenesse conto, appunto, della responsabilità d’équipe, peraltro più volte affermata dalla stressa Cassazione.  

Il fatto
La vicenda nasce da un intervento di sostituzione di due valvole, quella mitralica e quella aortica, impiantate da un’équipe chirurgica, al quale seguì un triennio di numerosi accertamenti, più ricoveri, altri tre interventi chirurgici, alcune complicanze e un lungo periodo di riabilitazione.

Ritenuti responsabili delle complicanze i medici e l’azienda ospedaliera sono stati chiamati in giudizio per risarcimento del danno biologico, del danno morale ed esistenziale e delle spese mediche subite dalla paziente e per il risarcimento del danno morale subito dal coniuge e dai suoi due figli.

La Corte d'appello ha accolto parzialmente il ricorso della paziente e condannato l'azienda ospedaliera e uno dei medici al pagamento di una parte della somma richiesta.

La sentenza
La Cassazione ha ribadito il principio che se la protesi è difettosa ne rispondono, oltre alla struttura ospedaliera, tutti i medici che compongono l'equipe e non soltanto il primario che ha deciso l'impianto e scelto il dispositivo e ha allargato l'area delle responsabilità a tutti i componenti il team sanitario. dalle fasi antecedenti l'intervento (comunque tecnicamente corretto), in cui sono rientrate anche le scelte relative ai prodotti da utilizzare.

La Cassazione ha ricordato nella sua ordinanza che “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile” e quindi non era onere del danneggiato dimostrare che il medico “avesse consapevolezza della provenienza e della irregolarità dell'acquisto delle valvole, spettando piuttosto al sanitario provare di avere esattamente adempiuto alla propria obbligazione ovvero che l'inadempimento era stato determinato da causa a lui non imputabile”.

Non si discute la “corretta esecuzione o meno dell'operazione medico-chirurgica di installazione della protesi”, ma «quali siano gli obblighi di diligenza e di prudenza a carico di ciascun componente dell'equipe medica, a fronte della scelta di impiantare quella specifica valvola, risultata difettosa”.
Ora la Corte d’Appello dovrà tenere conto degli accertamenti della Ctu secondo cui:

“a) il malfunzionamento della valvola fu causato proprio dalle sue caratteristiche;

b) si trattava di un prodotto innovativo, anche se non sperimentale;

c) tale sua caratteristica accentuava l'onere di dimostrare di avere adottato tutti gli accorgimenti necessari ad accertare che fosse il prodotto più adatto da impiantare;

d) non era “impossibile” per gli operatori apprezzare in sede di esecuzione chirurgica la presenza di alterazioni valvolari del tipo di quelle identificate nel caso in esame”.

Il medico, in quanto componente dell'equipe, “era tenuto a un obbligo di diligenza concernente non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull'operato e sugli errori altrui, in quanto tali rilevabili con l'ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio”.

“Dal professionista che faccia parte sia pure in posizione di minor rilievo di una equipe – chiarisce ancora la Cassazione - si pretende pur sempre una partecipazione all''intervento chirurgico non da mero spettatore ma consapevole e informata, in modo che egli possa dare il suo apporto professionale non solo in relazione alla materiale esecuzione della operazione, ma anche in riferimento al rispetto delle regole di diligenza e prudenza ed alla adozione delle particolari precauzioni imposte dalla condizione specifica del paziente che si sta per operare”.

Per quanto riguarda invece il mancato riconoscimento del risarcimento del danno per gli altri tre interventi e numerosi ricoveri seguiti all'impianto della valvola difettosa, la Cassazione chiarisce che, secondo i principi che regolano la responsabilità sanitaria “avendo i ricorrenti allegato e provato la ricorrenza di un inadempimento ‘qualificato’ (valvola difettosa) tale da comportare di per sé, in assenza di fattori alternativi ‘più probabili’ la presunzione della derivazione dei successivi interventi e ricoveri dalla condotta inadempiente, spettava ai convenuti l'onere di fornire una prova idonea a superare tale presunzione secondo il criterio generale di cui all'art. 2697, comma 2, c.c.”.

Tocca infatti al paziente che chiede il risarcimento del danno “provare la relazione causale che intercorre tra l'evento di danno e l'azione o l'omissione mentre spetta alla controparte (medico o struttura sanitaria) dimostrare il sopravvenire di un evento imprevedibile ed inevitabile secondo l'ordinaria diligenza”.

In questo caso “essendo rimasta oscura la causa degli interventi successivi al primo, spettava ai convenuti dimostrare il verificarsi di una causa imprevedibile ed inevitabile che aveva reso necessari gli ulteriori interventi sulle valvole impiantate alla paziente”.

13 dicembre 2018
© Riproduzione riservata

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