Suicidio assistito. Fnomceo: “Il medico di fronte al fine vita lenisce il dolore, non uccide”
E lo fa attraverso la palliazione e terapia del dolore per le quali lo Stato deve prevedere più risorse. Si esclude quindi il coinvolgimento attivo e diretto del medico nel processo suicidario. Questa la linea dei medici, emersa dai lavori di un convegno nazionale sul tema organizzato dall'Omceo di Parma dopo la sentenza “Cappato - Dj Fabo”.
18 OTT - Il suicidio assistito non deve essere necessariamente medicalizzato, ciò non toglie che il professionista continuerà a restare vicino al malato in tutte le fasi che il diritto all'autodeterminazione gli consente, fino a dopo la morte, certificandola. Questa la linea dei medici emersa a Palazzo Soragna, Parma, durante il convegno Nazionale “Il suicidio assistito tra diritto e deontologia. La legge, il consenso e la palliazione”, organizzato sotto l’egida Fnomceo, dall’Omceo Parma e dal Gruppo di lavoro su Suicidio Assistito e Eutanasia della Consulta Nazionale Deontologica, dopo la recentissima sentenza della Corte Costituzionale che si è pronunciata sulla non punibilità dell’aiuto all’interruzione della vita in situazione di grave sofferenza personale, fisica da malattia ad esito infausto, riguardo al caso Cappato Dj Fabo.
“Il medico ha per missione quella di combattere le malattie, tutelare la vita e alleviare le sofferenze. Quello del suicidio assistito è quindi un processo estraneo a questo impegno. Un compito ricco di un'esperienza millenaria ma anche moderna poiché incarna nell'agire professionale i principi della Costituzione (Art. 32 in primis). Siamo in una società pluralista e la nostra posizione è quella di curare tutti senza discriminazione alcuna secondo scienza e coscienza, a prescindere da credi religiosi, filosofici, culturali, rispettando il diritto del cittadino all'autodeterminazione anche nei casi di suicidio, così come previsto dalla Corte Costituzionale. Ma se è un alto diritto la possibilità di scegliere autonomamente e liberamente sulla propria salute, assicurata dall'obiezione di coscienza, lo stesso principio deve poter valere anche per il medico che si considera fermo sostenitore della tutela della vita”, sostiene
Filippo Anelli Presidente Fnomceo.
“Quindi si vuole certamente rispettare la volontà di chi decide di porre fine alla propria esistenza ritenuta troppo penosa e non più degna di essere prolungata, nei limiti previsti dalla Corte Costituzionale, ma si chiede anche di lasciare la nostra categoria estranea a questo atto suicidario. Il medico non abbandonerà mai a se stesso il paziente, assicurerà sempre le cure si palliative per contenere il dolore sino alla sedazione profonda e sarà presente fin dopo il decesso, che certificherà, ma non compirà l'atto fisico di somministrare la morte - continua Anelli -. Il problema è poi chi raccoglierà il consenso? E chi lo aiuterà a morire?".
“Una legge dello Stato dovrà trovare una terza persona (come ad esempio un pubblico ufficiale) per raccogliere la volontà suicidaria, e quanto a chi fisicamente aiuterà il malato a morire, forse è ragionevole supporre che debba essere il paziente stesso a poterlo decidere, a scegliere ad esempio un fratello, il coniuge, un genitore, ma non il medico, a meno che non lo faccia nella posizione di amico o parente del richiedente, non certo nel ruolo di professionista della salute”, conclude Anelli.
18 ottobre 2019
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