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Coronavirus. Il ruolo della Medicina del lavoro per l’applicazione del protocollo di intesa tra le Parti Sociali

di Domenico Della Porta

Le azioni del Protocollo saranno concretizzate con la partecipazione centrale della “Medicina del Lavoro”, da un lato attraverso i Medici Competenti, consulenti privilegiati dei Datori di Lavoro, che insieme al Servizio di Prevenzione e Protezione  dovranno esercitare una precisa attività Informativa, ma anche nella regolamentazione delle modalità di accesso dei dipendenti e delle persone e fornitori esterni alle aziende, nonché nella gestione degli spazi comuni.

17 MAR - Solo la completa adesione, come già è avvenuta, dei Medici Competenti e dei Medici del Lavoro delle ASL che non svolgono attività di vigilanza, consentirà la corretta e tempestiva applicazione del “Protocollo Condiviso” in materia dalle Parti Sociali sabato scorso con la mediazione del Governo.
 
Nel documento, che resta un “atto di intesa” promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri, vengono elencati 13 punti da tener presente e implementare, non solo in tutte le attività produttive, ma anche nel comparto sanità, per conciliare il lavoro in presenza dell’epidemia da nuovo Coronavirus.
 
“Abbiamo accolto con soddisfazione tale iniziativa, ha dichiarato Filippo Anelli, presidente FNOMCeO, in quanto vengono rimarcati, in questo particolare momento, compiti ben precisi finalizzati a rafforzare e chiarire ulteriormente percorsi di prevenzione e protezione per gli operatori sanitari.”
 
Le azioni del Protocollo saranno concretizzate con la partecipazione centrale della “Medicina del Lavoro”,  da un lato attraverso i Medici Competenti, consulenti privilegiati dei Datori di Lavoro, che insieme al Servizio di Prevenzione e Protezione (SPP), dovranno esercitare una precisa attività Informativa, tra l’altro obbligatoria, quando si registrano sostanziali mutamenti nell’organizzazione dei processi lavorativi, come sta accadendo soprattutto nelle strutture sanitarie, ma anche nella regolamentazione delle modalità di accesso dei dipendenti e delle persone e fornitori esterni alle aziende, nonché nella gestione degli spazi comuni, dall’altro dei Medici del Lavoro delle ASL, non coinvolti nelle attività di vigilanza, ma chiamati ad assicurare, ove presenti,  assistenza con sportelli informativi.
 
Giovanna Spatari, Presidente della Società Italiana di Medicina del Lavoro (SIML) in una lettera aperta ha richiamato l’attenzione, tra l’altro, sul punto 12 del cd Protocollo Condiviso (Sorveglianza Sanitaria/Medico Competente/RLS) in cui ci sono misure che riguardano, appunto, in modo specifico le attività professionali dei medici competenti.
 
“Spiace notare, sottolinea la presidente Spatari, che mentre in tutto il Paese i medici del lavoro competenti stanno già collaborando attivamente con i datori di lavoro, i servizi di prevenzione e protezione aziendali, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e la sanità pubblica, né le parti sociali né il governo abbiano sentito l’esigenza di consultare nel merito la Società Italiana di Medicina del Lavoro, unica voce scientifica e maggior associazione dei medici del lavoro italiani che, se coinvolta, avrebbe fornito il suo supporto immediato e veloce, come sempre è stato. Va qui sottolineato che non da adesso, ma dal primo apparire dell’epidemia, ha aggiunto il vertice  SIML, i medici del lavoro italiani, in funzione di medici competenti, hanno lavorato al fianco dei datori di lavoro, dei lavoratori e della sanità pubblica ben oltre i loro doveri, come oggi in Italia stanno facendo tutti i medici. I medici del lavoro italiani sono da settimane quotidianamente e duramente impegnati in tutti gli ambienti di lavoro (non solo in quelli sanitari) per implementare le misure di regolamentazione utili al contrasto della diffusione del SARS-CoV-2, rispettando quanto disposto dalle autorità sanitarie nazionali e territoriali, in relazione all’evoluzione dello scenario epidemiologico e dell’esigenza primaria di contenere la diffusione dell’epidemia in atto.”
 
Nella lettera della SIML viene condivisa con quanto indicato nel “Protocollo” la scelta obbligata di sospendere le visite periodiche in considerazione della necessità di evitare assembramenti e contatti tra la popolazione generale che ha condotto a una rigida regolamentazione anche nell’accesso agli ambulatori di medicina generale, di continuità assistenziale e dei pediatri di libera scelta nonché, in molte regioni, degli ambulatori sanitari specialistici pubblici e privati che non erogano prestazioni di emergenza/urgenza, prevedendo gli accessi all’utenza solo in casi particolari.
 
“Rientra in questo scenario l’attività di sorveglianza sanitaria svolta dai medici del lavoro competenti, ha aggiunto la professoressa Spatari, che si potrà continuare a svolgere, ma in locali idonei e nel rispetto delle precauzioni igieniche necessarie. Poiché non in tutti gli ambulatori in cui operano quotidianamente i medici del lavoro competenti tali norme possono essere rispettate, si ritiene necessario che i datori di lavoro e/o le autorità sanitarie pubbliche si facciano quantomeno carico di fornire ai medici del lavoro competenti i necessari dispositivi di protezione individuale (come peraltro è già stato fatto, in diverse regioni, con i medici di medicina generale). È necessario rammentare, infatti, che l’approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale nel nostro Paese è estremamente complesso in questa fase, soprattutto, per i liberi professionisti, quali sono, generalmente, i medici del lavoro competenti che operano nelle aziende non sanitarie. Quanto alla sorveglianza sanitaria ex D.lgs 81/08, in linea con quanto fatto dalle strutture sanitarie pubbliche per la riduzione dei contatti (perfino gli interventi chirurgici non urgenti sono stati rimandati in molte regioni) si ritiene che almeno fino al perdurare dell’emergenza essa sia limitata alle prestazioni “urgenti” e cioè alle visite preventive, a richiesta e al rientro dopo malattia, che nel contesto emergenziale rappresentano l’attività sanitaria prioritaria (come peraltro riconosciuto anche dal citato protocollo d’intesa). Le visite periodiche non urgenti potrebbero senz’altro essere recuperate, senza alcun effetto pregiudizievole per la salute dei lavoratori, quando l’attuale emergenza sarà cessata.”
 
Anche l’attività di sorveglianza sanitaria nelle aziende, infatti, deve uniformarsi alle indicazioni delle autorità sanitarie nazionali e locali, soprattutto al fine di ridurre la mobilizzazione non necessaria di lavoratori negli ambienti di lavoro, abbattendo il rischio di diffondere ulteriormente l’infezione in ambito professionale e comunitario.
 
“Quanto ai comitati per la verifica delle azioni intraprese, previsti nel protocollo di intesa con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, la Società Italiana di Medicina del Lavoro, ha concluso la Presidente, ritiene indispensabile anche il coinvolgimento dei medici competenti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione aziendali.”
 
Domenico Della Porta
Esperto FNOMCeO Gruppo di Lavoro Prevenzione e Sicurezza Operatori Sanitari

17 marzo 2020
© Riproduzione riservata

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