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Libera professione per tutte le professioni sanitarie: un diritto e un’opportunità

di Saverio Proia

Consentendolo, oltre a riconoscere l’effettiva pari dignità tra le professioni sanitarie e sociosanitarie di cui alla legge 3/18, si segnerebbe sempre più la condizione reale di categoria specifica del comparto sanità e delle stesse professioni e, facendo emergere quote consistenti e reali di prestazioni sanitarie e sociosanitarie comunque effettuate “in nero”, così da contribuire ad un aumento delle entrate della fiscalità generale ed anche delle stesse Aziende sanitarie

10 FEB - Un’altra sentenza favorevole emessa dal giudice Ermanno Cambria, Presidente della Seconda Sezione Lavoro del Tribunale di Roma, in riferimento ad una causa intentata da 28 professionisti sanitari dipendenti dall’ASLRM3 dopo che ai ricorrenti era stato negato dall’amministrazione la possibilità di svolgere attività libero professionale,  promossa dal Segretario territoriale della UILFPL Pino Conforzi, condanna il SSN, per ora nella sua articolazione  della ASL in questione, ma si presume che altre cause saranno promosse in altre Aziende sanitarie, a sostenere le spese per l’iscrizione al proprio ordine professionale per gli infermieri dipendenti e, ovviamente, anche per le ostetriche e per le altre professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione di cui alla legge 251/00.
 
La ratio del provvedimento adottato dal magistrato risiede nel fatto che per i professionisti ricorrenti, in quanto operano con rapporto di esclusività con l’Azienda, sia compito di quest’ultima sostenere le spese di iscrizione al competente Ordine professionale e addirittura condanna lo stesso Ente al pagamento delle quote di iscrizione a ciascun ricorrente per gli ultimi cinque anni.
 
Potrebbe divenire opinione ricorrente della magistratura, dopo l’iniziale sentenza del Tribunale di Pordenone, il fatto che l’iscrizione all’ordine professionale sia un onere obbligatorio di competenza del datore di lavoro se il professionista ha un rapporto di esclusività con esso a meno che lo si autorizzi a svolgere altre attività libero professionali, come è già consentito alla dirigenza medica e sanitaria.
 
L’onere economico per l’intero SSN potrebbe essere rilevante essendo le dotazioni organiche delle Aziende sanitarie composte in maggioranza dai professionisti sanitari in questione; sarebbe, pertanto, il momento giusto e maturo per affrontare la questione del diritto all’esercizio della libera professione anche per queste professioni.
 
Sono stati presentati anche in questa Legistratura vari disegni di legge, per esempio quelli della senatrice Paola Boldrini, del senatore Sileri, dell’onorevole Vito De Filippo, che propongono la regolamentazione dell’esercizio della libera professione per gli infermieri, le ostetriche e le altre 19 professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione; in sede di approvazione della legge di bilancio l’onorevole Elena Carnevali riuscì con convinzione e tenacia a portare sino all’ultimo miglio un emendamento con il medesimo obiettivo ma trovò ostacoli dai soliti noti il che non impedì che l’Assemblea della Camera adottasse un ordine del giorno “Atto Camera Ordine del Giorno 9/02790-bis-AR/046 presentato dall’onorevole Luca Rizzo Nervo, co-firmatari gli onorevoli Elena Carnevali, Paolo Siani, Giuditta Pini, Micaela Campana e Schirò Angela” che …omissis… “impegna il Governo a valutare l'opportunità di predisporre nel primo provvedimento utile l'emanazione di una norma che consenta, alla luce anche delle considerazioni sopraesposte e, come richiesto da tutti i sindacati del comparto sanità, che estenda il diritto all'esercizio della libera professione intramuraria a tutti i dipendenti del Servizio sanitario nazionale, appartenenti alle professioni sanitarie infermieristiche-ostetrica, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione ed alla professione sociosanitaria di assistente sociale.”
 
L’esercizio della libera professione per i dipendenti del SSN non è certamente il male assoluto ma, laddove è stato ben regolamento ed attuato ad iniziare dalla Regione Emilia-Romagna, è divenuto una risorsa positiva per il sistema, i cittadini e gli operatori,i Legislatori in questione sono partiti dalla considerazione cheè giusto e correttamente equo costituzionalmente estendere il diritto alla libera professione intramuraria alle professioni di cui alla legge 251/00 per le motivazioni di seguito descritte.
 
L’origine del diritto alla libera professione, diritto o privilegio?
Il diritto ad esercitare alla libera professione intra ed extra moenia era originariamente riservata ai dipendenti del SSN medici, odontoiatri e veterinari nonché a quegli psicologi che erano stati già equiparati ai medici psichiatri in virtù delle leggi 431/68 e 515/71; a seguito di un intervento dell’Autorità Antitrust e di un ricorso al TAR per  la differenza di trattamento tra psicologi psicoterapeuti e i medici psicoterapeuti,  spinse l’allora Ministro alla Sanità on. Rosy Bindi ad estendere tale diritto a tutti i profili professionali dell’allora personale sanitario laureato, ricompreso nella qualifica di dirigente sanitario (farmacista, biologo, chimico, fisico e psicologo)  anche se per loro  non vi era nessun esercizio libero professionale riconosciuto per via legislativa o per via giudiziaria.
 
Le modifiche successive introdotte al d.lgs. 502/92, sempre su proposta del Ministro Bindi, riformarono profondamente lo status della dirigenza sanitaria con l’articolo 15 e seguenti, stabilendo all’art. 15-quater che i dirigenti sanitari, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato, con i quali sia stato stipulato il contratto di lavoro o un nuovo contratto di lavoro in data successiva al 31 dicembre 1998 sono assoggettati al rapporto di lavoro esclusivo  prevedendo però  la possibilità, a domanda con periodicità annuale, di passaggio al rapporto di lavoro non esclusivo.
 
Al comma 5 del medesimo articolo si dispone che “I contratti collettivi di lavoro stabiliscono il trattamento economico aggiuntivo da attribuire ai dirigenti sanitari con rapporto di lavoro esclusivo ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nei limiti delle risorse destinate alla contrattazione collettiva”: quindi l’articolo precisa che tale trattamento economico aggiuntivo compete al personale in possesso della qualifica di dirigente sanitario.
 
È evidente che il suddetto diritto ad esercitare la libera professione non è intrinseco alle caratteristiche della qualifica dirigenziale bensì è una componente, un diritto appunto, di quella determinata professione sanitaria.
 
La disparità incostituzionale con le altre professioni sanitarie, figlie di un dio minore.
Mentre gli esercenti le  professioni  sanitarie infermieristiche e di ostetrica, quelle tecniche, della riabilitazione e della prevenzione nonché la professione sociosanitaria di assistente sociale  all’interno del rapporto di lavoro di dipendenza con il SSN a tempo pieno non possono svolgere attività libero professionale salvo:
- quella esercitata a mero supporto all’attività libero-professionale intra moenia della dirigenza medica e sanitaria;
- oppure la può svolgere in modalità di rapporto di lavoro a tempo parziale, se regolarmente autorizzata, qualora non vi sia conflitto di interessi, dall’Azienda Sanitaria anche come prestazione occasionale;
- infine, le c.d. prestazioni aggiuntive, con gli ultimi decreti estesi a tutte le professioni sono assimilabili a prestazioni libero professionali, acquistate dall’Azienda di dipendenza o da altra Azienda oppure RSA, cioè una struttura privata.
 
È ormai noto e consolidato che le sopraelencate professioni sanitarie e sociosanitarie siano state oggetto e soggetto di una radicale, discontinua se non dirompente rispetto al passato, evoluzione formativa ed ordinamentale, che non ha eguali in paragone con le altre professioni, in un percorso temporale di quasi trent’anni realizzato dai Governi e dalle Legislature che si sono succeduti, quasi sempre all’unanimità di voto o tuttalpiù a larghissima maggioranza che ha prodotto:
 
- il riconoscimento di uno specifico e distinto campo di autonomia professionale che concorre nel trinomio “prevenzione, cura e riabilitazione” ad attuare il diritto alla salute individuale e collettiva, di cui all’art. 32 della Costituzione ed alle indicazioni dell’OMS;
 
- di conseguenza il superamento e quindi l’abolizione del rapporto di subordinazione ed ausiliarietà di queste professioni rispetto alle altre, medici compresi;
 
- la formazione, non più svolta a livello regionale, bensì negli Atenei con il medesimo percorso delle altre professioni (laurea, laurea magistrale, master, dottorato di ricerca, specializzazione);
 
- il medesimo impianto ordinistico delle altre professioni sanitarie e sociosanitarie realizzato dalla legge 3/18.
 
 
L’evoluzione normativa sopradescritta ha fatto sì che queste professioni siano state inserite nel medesimo alveo delle altre professioni intellettuali e liberali, nella comune e classica accezione.
 
 
Ne consegue che la negazione e quindi il non riconoscimento all’esercizio del diritto alla libera professione per gli infermieri dipendenti del SSN come per gli altri esercenti le  professioni sanitarie infermieristiche-ostetrica, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione nonché la professione sociosanitaria di assistente sociale è palesemente incostituzionale in quanto tra queste professioni e le altre  professioni  sanitarie dal punto di vista ordinamentale  non vi c’è differenza salvo che le prime a maggioranza sono collocate contrattualmente tra il personale dei livelli e le altre nell’area dirigenziale, anche se a larghissima maggioranza svolgono attività di dirigenza con incarico professionale e non con incarico gestionale.
 
Non solo per le suddette motivazioni professionali ma anche e soprattutto per il nuovo quadro epidemiologico e demografico e la conseguente rimodulazione dell’organizzazione del lavoro sanitario e sociosanitario nel SSN, sarebbe quanto mai  necessario ed opportuno che si intervenga con una norma, si augura, varata dal nuovo Governo nazionale  per regolamentare l’esercizio della libera professione del personale dipendente infermieristico - ostetrico, tecnico-sanitario, riabilitativo e della prevenzione  nonché di assistente sociale del comparto sanità.
 
L’esercizio della libera professione per tali professioni, quindi, potrebbe essere svolto sia nei confronti di cittadini che di strutture private, come nelle strutture di appartenenza che in altre, previo accordo tra le parti datoriali e dovrebbe essere oggetto di contrattazione e conseguente regolamentazione aziendale.
 
Si potrebbe in questa norma istituire un’indennità di esclusività che, al contrario di quella corrisposta alle professioni della dirigenza medica e sanitaria finanziata dall’erario pubblico, sia autofinanziata da una quota della parte spettante alle aziende sanitarie per l’attività libero professionale di tali professioni e sempre regolamentata dalla contrattazione integrativa.
 
Questa auspicabile ed attesa norma se approvata, porrebbe anche il cittadino o meglio l’individuo, come recita l’articolo costituzionale 32, nella medesima parità costituzionale di diritto alla libera scelta di assistenza in regime di intra-moenia non solo del medico o dello psicologo…di propria fiducia ma anche dell’infermiere, della ostetrica, del fisioterapista, della logopedista…di fiducia, libera scelta che la platea di oltre dieci milioni di iscritti ai vari fondi sanitari integrativi renderebbe già possibile senza ulteriori oneri economici per un sesto degli italiani.
 
Infine, oltre a riconoscere l’effettiva pari dignità tra le professioni sanitarie e sociosanitarie di cui alla legge 3/18 segnerebbe sempre più la condizione reale di categoria specifica del comparto sanità e delle stesse professioni e, facendo emergere quote consistenti e reali di prestazioni sanitarie e sociosanitarie comunque effettuate “in nero”, così da  contribuire ad un aumento delle entrate   della fiscalità generale ed anche delle stesse Aziende sanitarie.
 
Saverio Proia

10 febbraio 2021
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