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Infermieri, l’intenzione di lasciare il posto di lavoro mette a rischio la sicurezza delle cure

di Marina Vanzetta

30 GIU -

Gentile Direttore,
l’intenzione di lasciare il posto di lavoro – intention to leave – è un fenomeno nazionale ma non solo, in costante aumento. Uno studio condotto nel 2019 nel nostro Paese su circa 4000 professionisti evidenziava che il 35,5% degli infermieri intendeva lasciare il lavoro e di questi, il 33,1% la professione infermieristica. L’intenzione di lasciare si concretizza di fatto in abbandoni. Anche quando non culmina con l’abbandono genera comunque stanchezza, affaticamento, disagio, malessere nel professionista, nel gruppo e più in generale nell’ambiente di lavoro.

Documentata dalla letteratura nazionale e internazionale, come ha evidenziato, in una recente intervista rilasciata a “L’Infermiere Online” il Prof Gianluca Catania dell’Università degli Studi di Genova, l’intenzione di lasciare impatta pesantemente anche sugli esiti e la qualità delle cure. Basti pensare all’interruzione della continuità dell’assistenza, alla diminuzione della soddisfazione dei pazienti, all’allungamento dei tempi di attesa, alla compromissione della relazione che per gli infermieri è tempo di cura. Un quadro, dunque, complessivamente preoccupante e che sottende la presenza negli ambiti operativi, di molti fattori favorenti questa intenzione.

Tra questi, sottolinea Catania, l’insoddisfazione lavorativa che nasce da carichi di lavoro elevati, una retribuzione non adeguata a ruoli e funzioni, la mancanza di crescita professionale e di opportunità, l’esaurimento emotivo, la mancanza di supporto da parte di dirigenti, colleghi e dall’organizzazione in generale.

Che fare allora per contenere il fenomeno?

Bisogna mettere in campo azioni che trattengano gli infermieri e garantiscano alle organizzazioni, al sistema più in generale una stabilità delle risorse. È irrinunciabile migliorare le condizioni di lavoro, rendere i carichi di lavoro gestibili, migliorare la retribuzione, favorire opportunità di sviluppo professionale, coinvolgere gli infermieri nei processi decisionali, favorire un migliore senso di appartenenza. Non ultimo promuovere un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata degli infermieri attraverso iniziative aziendali e locali.

La “presa in carico” del professionista da parte delle organizzazioni fa davvero la differenza in termini di esiti delle cure perché come ebbe a dire Frederick Herzberg, psicologo statunitense, “La vera motivazione viene dal successo, dallo sviluppo personale, dalla soddisfazione sul lavoro e dal riconoscimento”.

Marina Vanzetta

L’Infermiere Online



30 giugno 2023
© Riproduzione riservata

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