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infermieri. È possibile integrare professione pubblica e privata?

di Luca Sinibaldi

24 SET - Gentile Direttore,
i colleghi Fabio Stanga e Gianluca Raineri praticano da qualche tempo e di buona lena l’arte della provocazione, stimolando un dibattito a distanza a mio giudizio molto interessante, portando ancora più allo scoperto quello che per molti anni nel settore infermieristico è rimasto piuttosto silente…forse deserto: il lavoro autonomo. Essendo da sempre un lavoratore dipendente (e del pubblico impiego), colgo queste provocazioni ed il corteo di riflessioni e annotazioni tecnico-legali, come un vero e proprio aggiornamento sul tema.
 
Ma al contempo trovo sorprendente, da una parte questa sensazione di novità, dall’altra il fatto che gli infermieri che lavorano in regime di autonomia appaiano, anche nell’immaginario collettivo, piuttosto sui generis. E d'altronde…la storia della nostra professione, se messa a confronto con altre professioni, narra di una sottovalutazione anche di questa dimensione. Con il DLgs. 30/03/2001 n. 165 (T.U. sul Pubblico Impiego) si esclude il dipendente pubblico, (fatte salve alcune particolari situazione che sostanzialmente non evadano il principio di “esclusività del rapporto di lavoro pubblico”), dalla possibilità di svolgere altre attività a scopo di lucro o di impresa a fini di lucro. Ma prima di quel decreto, nonostante il rapporto di esclusività fosse già normato dal ’57, i medici “danzavano” piuttosto allegramente tra pubblico e privato, tra regime di lavoro dipendente e regime di lavoro autonomo. Fu così che tra il 2001 e il 2003, negli ospedali italiani (perché difficilmente succedeva il contrario) giravano medici disperati, messi davanti al dramma di un’ineludibile scelta: “fuori o dentro”? Tutti a fare i conti sulla convenienza di mantenersi gli impegni lavorativi nei vari ambulatori sparsi sul territorio: farli diventare l’unica attività portante o rimanere tra le calde e rassicuranti (ma meno remunerative) mura dell’ospedale?
 
Nel frangente, ricordo che i pochi infermieri che lavoravano in regime autonomo non facevano certo i signori, a nostro confronto. Erano tempi in cui vincere un concorso nel pubblico non era affatto un terno al lotto. Eppure, gli infermieri in libera professione si presentavano ai convegni fieri, piuttosto raggruppati. Si alzavano in piedi in mezzo alla platea per fare il loro intervento ed esordivano: “Sono un infermiere che lavora a domicilio in libera professione…” e la platea si ammutoliva, gli sguardi si incrociavano, i relatori drizzavano le orecchie e prendevano in mano la penna. Perché certo, da sempre (questa è la mia impressione) chi tra noi aveva scelto la libera professione ha dovuto librarsi in aria come un salmone che fa salti contro corrente per raggiungere una meta istintiva: l’autonomia professionale. Tipi tosti questi!
 
Il dibattito al quale, quindi, mi riferisco, ai tempi della disoccupazione infermieristica, ai tempi della fuga all’estero dei giovani infermieri italiani, ai tempi in cui la sofferenza per il demansionamento si acuisce e diventa insopportabile per l’accertata emancipazione culturale, questo dibattito verte sui termini di rivendicazione di autonomia, riconoscimento sociale ed economico. Sui termini di comprensione della necessità di una svolta strategica che veda riunire le diversità, all’interno del mondo infermieristico e non già la loro suddivisione in rischiosi livelli di privilegio e sotto privilegio. Sui termini di saldatura coraggiosa tra pubblico e privato, tra regime di lavoratore dipendente e libero professionale, in un arco di impresa unico per intenti, per obiettivi sanitari generali, ma rispettosi delle specificità. Siamo qui, tutti in attesa di un sacrosanto rinnovo di contratto. E ci sono in gioco poste vecchie e reazionarie, che vedono ancora possibile e lecito un concetto di compartimentazione deprimentemente trasversale ai settori, piuttosto che sfruttare quella trasversalità proprio per riunire le diverse forme di rapporto di lavoro, al contrario ciascuna rigorosamente incardinata alla specificità professionale.
 
Gli infermieri libero professionisti ci impongono una riflessione che non può più essere rimandata e alla quale ogni professione sanitaria deve dare oggi una risposta: è possibile integrare pubblico e privato all’interno di un unico pacchetto di obiettivi che portino a riorganizzare il SSN? Perché… l’articolo 32 della nostra costituzione ha ragione, il sistema è e deve rimanere universalistico e fondamentalmente pubblico, ma pensare che tutto possa essere retto da mattoni di spesa pubblica, sappiamo oggi più che mai, quanto sia utopico. Casomai, ci sarebbe da scegliere (ad esempio nel settore inferieristico) quale tipo di privato fare entrare a sostegno del sistema pubblico. Un privato capace di sostenersi e sostenere senza far prevalere l’aspetto concorrenziale ma piuttosto di porsi sul piano del privato rapporto col cittadino, beneficiando di quel privilegio che lo stato dovrebbe riservargli, la costituzione di impresa con oneri e burocrazia ridotti al minimo.
 
Aggiungo, come post scriptum, una precisazione: io non sono dottore.
 
Luca Sinibaldi
Infermiere di Medicina Generale 

24 settembre 2015
© Riproduzione riservata

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