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Quando la rabbia degli infermieri è una virtù

di Luca Sinibaldi

09 LUG - Gentile direttore,
nello scrivere questa lettera misuro il peso della solitudine di molti, troppi infermieri di prima linea, talmente in prima linea da non essere ritenuti e ritenute le loro situazioni, culturalmente, politicamente e strategicamente affrontabili. Quelle centinaia di situazioni che alcuni dei più “illustri intellettuali” della nostra professione con cui ho avuto modo di parlare bollano immediatamente come “irrisolvibili” per tanto, il loro franco o meno esplicito consiglio, magari lasciato tra le righe di un discorso, è quello di “cambiare aria”.
 
Parlo di quei contesti in cui il famoso “demansionamento” ribattezzato in termine più tecnico “de professionalizzazione”, è quel demansionamento a largo spettro che coinvolge quindi non solo il vedersi attribuire reiteratamente mansioni non strettamente definite dal proprio profilo professionale piuttosto il ricatto di “azioni obbligate” che la scelta istintiva di chi fa l’infermiere non può che includere: il benessere delle persone di cui si fa carico!
 
Ho scritto (da arrabbiato) qui su questa testata, diverse lettere che Lei, gentilmente ha voluto pubblicare portandole all’attenzione del pubblico selezionato che scorre questo quotidiano. Lettere attraverso le quali ho cercato di portare alla luce le umiliazioni professionali, psicologiche e fisiche, alle quali taluni infermieri sono più sottoposti di altri. La questione infermieristica italiana, certo….è un mare nostrum che va dal mancato riconoscimento effettivo di quanto il profilo stesso sancirebbe, all’illusorio passaggio culturale da una propedeutica casereccia, gestita dalle scuole regionali ad una didattica universitaria (ruota di scorta forata di quella medica). E misuro anche la solitudine di questa analisi, perché molti degli “intellettuali consiglieri” interni alla professione, avendo probabilmente frequentato contesti più fortunati del mio e di altri come me, tendono a giudicare epidermicamente, assai poco oggettivamente, a partire dalla loro esperienza.
 
Rimangono quindi….stupiti, di tanta rabbia anzi, di questa rabbia se ne fa motivo di giudizio personale. E, come me, sono migliaia gli infermieri che non sanno andare oltre. E sono in genere quelli che non vivono le ali dorate del tecnicismo professionale, dell’ambito organizzativo…no. Sono quelle migliaia di infermieri grazie ai quali la sanità italiana riesce a fatica a sostenersi. Peccato che certi “consiglieri”, si dimenticano o… prendono troppo alla leggera, il classico esempio “mettiamo che le migliaia di infermieri impegnati al domicilio, nelle RSA, nelle medicine e chirurgie generali, nelle geriatrie decidessero di dire basta, che ne sarebbe dei pronto soccorsi, delle terapie intensive e di tutti gli altri luoghi professionali tecnocraticamente considerati eccellenze?”
 
Un regime tecnocratico ribadito anche dal nuovo modello di evoluzione delle competenze infermieristiche proposto dalla Federazione Nazionale IPASVI, con il quale, di tale tecnocrazia si farà meritocrazia. In questi anni di assoluta involuzione culturale (perché il sistema ECM è praticamente fallito, perché le università hanno sfornato giovani preparati ma sganciati dall’esperienza, perché “la vecchia guardia” è stata lasciata sola a se stessa ad annaspare tra le proposte più o meno allettanti dei vari providers per pagarsi un costoso e spesso inutile master) le Aziende hanno saputo essere tali solo per proteggere le posizioni e gli stipendi apicali ma non hanno saputo creare percorsi interni di valorizzazione generando opportunità di aggiornamento mirate, come investimento strategico e trasversale per tutte le risorse umane impiegate.
 
Ma, collateralmente al sistema aziendalistico, vi sono attori interni alla professione che io ritengo pesantemente responsabili dell’avallo di quel modus vivendi, che ci ha portati a questa grave frattura generazionale e culturale (acuita dal reiterato blocco del turn over nel pubblico impego) e che avrebbero invece dovuto costituire i baluardi professionali all’interno di un sistema multi professionale: le dirigenze infermieristiche, i coordinamenti infermieristici, i collegi provinciali! Da essi, se possibile, ulteriori umiliazioni e indifferenza verso le ingiustizie anche contrattuali pesanti, vissute dai professionisti, che avrebbero invece dovuto guidare e proteggere.
 
A chi si arrogherebbe la capacità concreta di queste tutele ho sempre chiesto un sostegno diretto e specifico, intanto di analisi della situazione e solo dopo di interventi precisi, denunce, quando fossero ad esempio evidenti certi gap organizzativi indotti quando dal sistema quando da singoli operatori. Davanti a questo livello ci si ferma…. Purtroppo, io credo invece che questo sia esattamente il livello senza il quale ogni cambiamento effettivo non sarà possibile. E vedo quanto gli infermieri italiani siano tutt’altro che trascinati da chi si proporrebbe come alternativa ma che evidentemente vera alternativa non è! Non credo che basti “dire no” all’art. 49 del codice deontologico, ma poi, da collegio chiamato alla tutela professionale, non saper verificare le situazioni di diffusa distorta applicazione di quell’articolo per poi intervenire in forza del mandato ricevuto da chi ha eletto quel consiglio provinciale!
 
Un dirigente infermieristico aziendale è prima di tutto un dirigente che deve tutelare la sfera infermieristica all’interno di un tessuto aziendale multi professionale ….non affossarla! Un coordinatore infermieristico ha la funzione di coordinare il lavoro infermieristico per il raggiungimento degli obiettivi infermieristici, prima di quelli aziendali, quando questi si discostino pesantemente da quegli obiettivi (che sono legati indissolubilmente al patto col cittadino….forse quelli aziendali non sempre!). Ricordo bene quando, in prossimità della rielezione dei Consigli Provinciali dei Collegi, questa rabbia è stata cavalcata, nei social, riportando gli articoli da lei pubblicati proprio qui, nelle discussioni aperte in certi contesti…E vedo bene invece come, passate le esigenze elettorali (perché questa regola è proprio trasversale a tutti quei contesti che credono più alla quantità che alla qualità come mezzo per raggiungere un certo potere), questa rabbia venga considerata un banale e faceto populismo! Peccato perché, se c’era un’energia da usare e riconvertire era proprio questa.
 
Ma…le logiche elettorali e di un certo modo di concepire la rappresentanza, anche davanti alla gravità della situazione che stiamo vivendo come infermieri (serve ricordare la fuga di migliaia verso l’estero? I concorsi per un posto con cinque, seimila concorrenti? Uno stipendio ormai quasi equiparabile a quello di un Operatore Socio Sanitario?), fanno di chi ci rappresenta (allineato o alternativo al grande tetto della Federazione Nazionale) il tappo più pesante da rimuovere per far evolvere questa professione.
 
Ecco, in sostanza, Direttore, non ho fatto altro che muovere le parole, le stesse parole di sempre, in una diversa sintassi….perchè questo è ancora quello che vedo e credo.
 
Luca Sinibaldi
Infermiere Medicina Generale Pisa


09 luglio 2016
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