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Gli infermieri “silenti”

di Marcella Gostinelli e Luca Sinibaldi

04 APR - Gentile Direttore,
le scriviamo dopo aver letto l’articolo della collega Maria Luisa Asta sul suo giornale. Vorremmo fare delle considerazioni sulla mancanza di controfattualità che  caratterizza   la bozza del nuovo codice della Federazione Ipasvi; cioè sulla mancata ricostruzione ipotetica a monte  di una proposta alternativa all’infermiere di oggi; sui   mancati nuovi presupposti professionali, culturali  e politici, che   avremmo  voluto invece fossero stati considerati ed esplicitati come premessa nella  bozza.
 
Il fatto che la bozza del nuovo codice deontologico non presenti una premessa che annunci il nuovo modello d’infermiere che si vuole  concretizzare porta a pensare che non sia stata considerata,  nei preliminari  della stesura, una contro prospettiva e che non si sia  tenuto di conto delle condizioni di lavoro attuali degli infermieri; condizioni che certamente non rispettano la loro motivazione originaria, quella che li ha portati  a scegliere di essere infermieri.
 
Una motivazione  che è stata reinterpretata dall’intero sistema, scambiando ad hoc la vocazione con la missione,  e che  ha portato gli infermieri di “linea” a prendere le distanze da chi li vuole ancora responsabili, ma non autonomi.
 
Gli infermieri, ancora una volta, come ogni giorno, dovrebbero accettare quanto da altri  pensato come “bene per Loro”. Discutere su qualcosa che non ha considerato le questioni professionali dell’oggi significa discutere del nulla in termini di cambiamento. Il paternalismo, quale politica autoritaria e insieme benevola, che esclude di fatto una diretta partecipazione del popolo infermieristico mantenendolo come non vuole più essere. Una politica esercitata dall’alto, con metodi simil amministrativi.
J. Locke nel  suo secondo Trattato sul governo  distingue tre tipi di potere: quello paterno, quello politico  e quello dispotico e  difende il governo politico o liberale contro il governo paterno e quello dispotico o assoluto. Noi infermieri abbiamo apprezzato non poco, e non per poco, il governo paterno esercitato dall’ex Presidente Silvestro quando ancora non eravamo, per il legislatore, dei professionisti.
 
Ella ha esercitato un governo assoluto, minuzioso, sistematico e mite  assomigliante all’autorità paterna, ma dimostra oggi, come coordinatrice della commissione che ha prodotto la bozza di codice, e come  politica in Senato, di non aver avuto lo scopo di preparare l’infermiere all’età adulta perché ci ha privati  “totalmente del fastidio di pensare, ma non della fatica di vivere” (Nicola Matteucci, 2016).
 
Ora, gli infermieri devono incominciare ad  apprezzare e difendere il governo politico, quello fondato sul consenso, contro quello paterno, fondato sulla natura e limitato nel tempo.
 
Non è un’ esagerazione aver scomodato Locke, basta pensare all’ampiezza,  alla estensione ed alle conseguenze che tale paternalismo  sembra avere: 103 presidenti di collegio che avrebbero dovuto essere rappresentativi e garanti per gli infermieri lamentando da subito, a prescindere dal prodotto, la mancata  conoscenza dei criteri usati per realizzare il nuovo codice (se di mancanza si è trattata), la mancata  conoscenza di ciò che per quella commissione era  fondamento e condivisione di quanto doveva avvenire  (un  codice cambiato vs migliorato vs immodificato),  la mancata  condivisione e  partecipazione  di quel presupposto con gli infermieri, fondamento del nuovo codice.
 
Con questa ignoranza, i Presidenti, sembra, si siano  presentati in consiglio nazionale (del quale immagino vi sia stato un ordine del giorno) senza aver avuto il bisogno di avviare un processo di cognizione proprio e di comunità.
 
Questo comportamento, di mancata distribuzione di conoscenza, di mancata posizione attiva del singolo,denota la mancanza di una cultura politica di partecipazione  a favore, sempre, di una cultura di sudditanza e paternalistica.
 
In Consiglio nazionale quella bozza è stata presentata il 26 novembre 2016, ma non abbiamo saputo  cosa sia avvenuto, che tipo di discussione vi sia stata,  se ai Presidenti di collegio sia stato possibile capire quanto a noi oggi sfugge, se si siano resi conto che con quella bozza non avremmo capito come altri avevano ragionato, se sia stato presentato parallelamente anche il codice di Pisa oppure no, considerando che è stato pubblicato l’11 ottobre 2016 e quindi poco più di un mese prima.
 
E se no perché i Presidenti dei collegi non l’hanno preteso e discusso? E se si, perché non lo si discute oggi? E se lo si discute, dove? Domande legittime considerato che le due bozze non sono integrabili  e che la cultura della società infermieristica è costituita, come tutte le società, da un insieme di subculture e cioè “da aggregati di atteggiamenti, norme e valori diversi che sono, spesso, in contrasto fra di loro” (Giacomo Sani,2016).
 
I Presidenti dei collegi dimostrano  di non aver   capito bene i concetti  di  rappresentanza e di  rappresentatività  e soprattutto  che queste non sono sempre categorie ideali coincidenti. I Presidenti dei collegi dovrebbero, quindi, farci capire se le regole le vogliono cambiare oppure no, e chi sembra aver fatto un salto di qualità verso il cambiamento, invece, dovrebbe essere più convincente  e determinato nel proporre la bozza del collegio che rappresenta e magari far capire bene agli infermieri che le due bozze non sono interscambiabili.
 
Pensate anche alla maggior parte dei dirigenti infermieristici ed alla loro imbarazzante assenza nel promuovere il cambiamento delle  regole degli infermieri, nel conversarle, nel sostenerle o rifiutarle con gli infermieri; anche loro decidono per il “nostro bene” senza dircelo.
 
I dirigenti infermieristici sono in numero decisamente minore rispetto agli infermieri che lavorano eppure, sembra, che possano permettersi di essere assenti durante tutto il percorso di ristrutturazione del codice  perché, praticando una cultura politica di elite, è sufficiente che aderiscano alla coalizione di potere all’ultimo momento
 
Comprensibile la necessità di richiedere la  non arrendevolezza alla Presidente Mangiacavalli da parte della  collega M.L Asta, ma è un’esortazione non  pragmatica perché prima di lei sembrano essere arrendevoli  i presidenti dei collegi  e prima ancora gli infermieri.
 
Gli infermieri che lavorano nelle corsie o nei territori vivono esistenze professionali inautentiche, traditi nella loro motivazione originaria si trovano a operare nel regno dell’anonimato. Nascono credendo che la loro azione sarà in rapporto con ciò che scelgono di essere, ma capiscono fin dal tirocinio che la loro azione sarà “contro finalità”, cioè altra da ciò che si propongono  che sia.
 
Il malato, per il sistema tutto,  non è più “un essere che è anche una persona con una malattia” (Cavicchi, 2010) ma è un oggetto, un corpo da lavare e riparare, pertanto gli infermieri si rendono ben presto conto di vivere in un mondo reificato, ridotto cioè ad un rapporto tra cose.
 
Gli infermieri in queste condizioni di alienazione a quale tipo di cultura politica, professionale, espressa  dovrebbero aderire? Che tipo di obiettivi comuni gli vengono offerti di volta in volta dai vari “imprenditori” del  sistema? Con chi dovrebbero coalizzarsi in questa serie di attori in competizione?
 
Cosi scrivendo ci coalizziamo dalla parte degli infermieri silenti per esortarli ad  esercitare un pragmatismo inteso come “conversazione politica” nella  professione, con conversazioni plurali, fatte anche fuori “dalla casa degli infermieri”, in cui vi saranno sì incomprensioni, discorsi con scopi in reciproco conflitto, contraddizioni, differenti punti di vista, facendo sembrare tutto caotico e dispersivo, ma l’intera conversazione sarà sicuramente più vivace e illuminante di qualsiasi voce singola che parli per il “bene nostro”.
 
Marcella Gostinelli
Infermiera Arezzo
 
Luca Sinibaldi
Infermiere Pisa

04 aprile 2017
© Riproduzione riservata

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