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Vaccini. Non temiamo più alcune malattie perché non abbiamo assistito alle loro conseguenze

di Ivan Favarin

26 APR - Gentile Direttore,
la memoria dovrebbe difenderci dagli errori e dagli orrori del passarlo. Ma quando, nella nostra civiltà e nella nostra epoca, non assistiamo nè abbiamo assistito direttamente a errori od orrori macroscopici, quasi non li temiamo più e non desideriamo più evitarli (come la peste, mi viene da dire...).

Senza tirare in ballo la peste bubbonica, ci sono malattie infettive e contagiose che oggi non ci preoccupano più come giustamente preoccupavano un tempo i nostri avi. E qui nasce la presunzione che, scampato il pericolo in massa, nessuno ne sarà più vittima.

Quasi nessuno oggi teme più la poliomielite come la temevano gran parte degli italiani nel passato, nel senso che non è più vissuto come un incubo immanente, una spada di damocle. Temiamo di più l'HIV, perché non esiste ancora un vaccino e perché ancora è viva la memoria di celebri vittime. Ma a ben guardare i costumi, neppure possiamo dirci degli igienisti assidui, dato che i comportamenti a rischio esistono. Insomma, finché non muore qualcuno in casa, non abbiamo paura e non prendiamo precauzioni serie, a meno di avere maturato una convinzione profonda (fede?) dell'importanza di non ammalarsi di malattie veneree. Non abbiamo morti nè menomati in casa a ricordarci cos'è la sifilide.

Un tempo era un tabù accostarsi alla mensa senza essersi lavate le mani. Oggi miriadi di occasioni (dal fast-food all'happy hour) ci invitano a saltare questa sana precauzione. Non abbiamo morti per enteriti in casa a ricordarcelo.

Un tempo, complice anche una capillare presenza di controlli medici e nelle scuole e nei distretti militari, nessuno metteva in discussione i vaccini. Non abbiamo un bambino in sedia a rotelle in casa a ricordarci cosa può fare la poliomielite. Nè un altro morto di difterite o un sopravvissuto sfregiato dal vaiolo.

Abbiamo perso la memoria, che abbiamo corta per natura. Al massimo ricordiamo la nostra infanzia, non certo quella dei nonni. Loro hanno sperimentato quasi tutto quello che alla maggioranza di noi manca: un morto o un disabile permanente in casa per infezione in età pediatrica non curata nè prevenuta. Non abbiamo la memoria, nè ci fidiamo delle sane paure salvifiche degli anziani. Noi vediamo solo grandi anziani, magari centenari, veri sopravvissuti perché selezionati, provenienti da tempi terribili di guerre ed epidemie. Ma a differenza di loro, non abbiamo visto i loro numerosi fratellini morti un secolo fa.

Abbiamo perso la memoria del perché ci vacciniamo. Noi ci vacciniamo contro dei nomi, così come della Roma antica conosciamo bene il nome ma non il vissuto quotidiano. Temiamo (o deliberatamene ignoriamo) i soli nomi delle malattie contagiose che si è cercato di debellare, non le loro nefaste conseguenze collettive e domestiche.

Ivan Favarin
Infermiere

26 aprile 2017
© Riproduzione riservata

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