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Troppa ideologia in chi contesta l’omeopatia

di Silvia Nencini (Boiron Italia)

02 FEB - Gentile direttore,
mi sorprende che un medico – nello specifico il dottor Sarti nella lettera pubblicata recentemente da QS - possa dire che “non è mai stato provato il principio fondamentale dell’omeopatia, che il simile cura il simile”, quando la similitudine è un principio riconosciuto nella medicina da molto tempo e sono diverse le terapie che lo applicano. Tra queste, la terapia desensibilizzante o immunoterapia specifica (ITS) per le allergie, ma anche l'uso di endotossine batteriche come immunostimolante o di immunoglobuline nel trattamento di disordini immunitari 1-4. Anche il noto fenomeno della “ormesi” rappresenta un chiaro esempio di come una sostanza tossica o velenosa in alte dosi, o sostanze analoghe, possano produrre un effetto terapeutico allorché somministrate in basse o bassissime dosi5.
 
Ecco, a mio parere troppo spesso chi contesta l’omeopatia lo fa partendo da una posizione ideologica così accanita e pregiudiziale che finisce per formulare affermazioni errate, come in questo caso.
 
Pur nel dissenso totale dei contenuti, del dottor Sarti ho apprezzato il tono non astioso. Cercherò quindi non tanto di esprimere opinioni diverse, ma di portare fatti oggettivi - unici punti di partenza del metodo scientifico - sui quali sento il bisogno di fare chiarezza.
 
1. Il primo fatto oggettivo è che – al contrario di quanto continuano ad affermare gli oppositori dell’omeopatia – la letteratura scientifica sull’argomento, seppur lontana dall’essere esaustiva e ne siamo consapevoli, è ampia. Per rendersene conto basta consultare banche dati biomedicali quali PubMed e leggere i lavori scientifici pubblicati su riviste peer review, con Impact Factor. Tra questi, meta-analisi, studi osservazionali, clinici e preclinici, per citarne alcuni. E’ peraltro online da alcuni mesi anche un database nel quale sono raccolti gli studi pubblicati sul tema negli ultimi 70 anni (http://databaseomeopatia.alfatechint.com/).
La mia impressione è che, spesso, chi dice che non esistono ricerche di qualità sull’omeopatia non le abbia mai cercate e tantomeno studiate. Un atteggiamento in completa antitesi a ciò che dovrebbe essere il pensiero scientifico, che spinge a studiare e sperimentare ciò che non si comprende fino in fondo.
 
2. Il secondo fatto oggettivo è relativo al processo di registrazione dei farmaci omeopatici. È fuorviante dire che “nessuna azienda omeopatica ha fatto richiesta di inserire i propri prodotti nel percorso autorizzativo per i farmaci con indicazione terapeutica”.  Se le aziende non lo hanno fatto, è perché mancano le linee guida per la registrazione non semplificata con indicazioni terapeutiche, possibile solo attraverso l’articolo 18 del D.Lgs. 219/2006, che afferma: “Per tali prodotti (ndr.: i farmaci omeopatici) possono essere previste, con decreto del Ministro della Salute, su proposta dell’AIFA, norme specifiche relative alle prove precliniche e alle sperimentazioni cliniche, in coerenza con i principi e le caratteristiche della medicina omeopatica praticata in Italia”. E’ in corso da alcuni anni un confronto con il Ministero della Salute perché si arrivi all’emanazione di queste linee guida, presenti in quasi tutti gli altri Paesi che hanno recepito in modo completo la Direttiva europea.
 
3. Il terzo fatto oggettivo è strettamente connesso al punto precedente. E’ vero che le indicazioni terapeutiche non si possono comunicare ai pazienti, ma è falso affermare che non esistono, tanto che proprio per legge esse vengono consegnate ai medici e ai farmacisti (art. 120, D.Lgs 219/2006), previa notifica all’Agenzia del Farmaco, esattamente come avviene per tutti gli altri farmaci.
 
4. Un ultimo fatto oggettivo che mi preme sottolineare è questo: un uso consapevole dei medicinali omeopatici può avere un impatto positivo sulla salute pubblica e sui suoi costi. Se è vero, come afferma il dottor Sarti, che viviamo in un sistema eccessivamente medicalizzato, in cui si cerca di risolvere con i farmaci qualsiasi problema, la soluzione non è certamente disincentivare l’assunzione dei medicinali omeopatici. Al contrario, senza la presenza dei medicinali omeopatici il rischio è che si possa ulteriormente incrementare il consumo di antibiotici, antinfiammatori, analgesici e benzodiazepine, tutti farmaci indiscutibilmente preziosi, ma non sempre usati in modo pertinente6-8, come dimostra anche l’ultimo Rapporto Eurispes 20198, in cui per esempio emerge che quasi 4 italiani su 10 ammettono di assumere gli antibiotici senza prescrizione medica.
 
Peraltro, i risultati del programma di ricerca EPI310-20, il più importante studio farmaco-epidemiologico realizzato nel campo della medicina generale in Francia, indicano che, per tutte le condizioni cliniche prese in esame, un paziente seguito da un medico che prescrive medicinali omeopatici ha un decorso clinico simile a quello di un paziente seguito da un medico che non lo fa, senza perdita di opportunità terapeutica e con un minor consumo di farmaci che possono provocare effetti indesiderati.
 
Se poi pensiamo all’allarme lanciato dall’OMS sull’antibiotico resistenza e alla previsione di circa 10 milioni di decessi ogni anno a causa di microrganismi multiresistenti a partire dal 205021, mi chiedo come sia possibile non prendere in considerazione un’opportunità terapeutica come l’omeopatia nel ridurre l’uso eccessivo di antibiotici, laddove opportuno. Fra l’altro, in esperienze-pilota in Italia e da tempo in altri Paesi Europei questa strategia è attuata con successo in medicina veterinaria.
 
In chiusura una mia personale considerazione: credo che la medicina sia una sola e che tutti gli operatori, aziende, ricercatori, medici, farmacisti, stiano lavorando per la salute e il benessere delle persone. Se ci si riconoscesse gli uni agli altri questo intento comune, faremmo un grande passo in avanti, aprendo un dialogo e un confronto quanto mai necessari oggi.
 
Silvia Nencioni
Presidente e AD di Boiron Italia
 
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02 febbraio 2019
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