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Chi vuole lo sfascio della sanità

di Pierpaolo Morosini

16 FEB - Gentile Direttore,
 
mi permetta questo sfogo, perché, nonostante che sia ormai un “pensionato”, mi dispiace vedere che continuano a parlare di sanità e di soluzioni miracolose solo e soltanto gli attori volontari dello sfascio del Ssn.
 
Ho 64 anni e sono stato studente a Perguia, frequentando fra gli altri l’istituto di Igiene del professor Seppilli, uno dei padri fondatori del Ssn. Dopo la laurea (1973) sono stato prima assistente universitario e poi professore associato all’università Politecnica delle Marche (allora era solo università di Ancona, Facoltà di Medicina e Chirurgia). Nel 1998 sono andato a fare il dirigente di secondo livello di Medicina Interna all’Ospedale C e G Mazzoni di Ascoli Piceno (azienda sanitaria 13 della Regione Marche, divenuta poi zona territoriale 13 ed ora area vasta 5 dell’unica azienda sanitaria della regione marche la cosiddetta Asur). Ho concluso la mia carriera di dipendente pubblico a giugno del 2010 dopo avere fatto per tre anni il direttore di una zona territoriale, la numero 8, dell’Asur Marche.
 
Ebbene caro direttore ho visto crescere e morire il Ssn. Dal passaggio da un sistema iniquo (il mutualistico) ad un sistema etico, solidale, universalistico ed egualitario (una specie di sogno). Si era perfino sognato che la salute è un diritto dei cittadini (sic) come se la malattia fosse la negazione di un diritto. Poteva essere vero per qualche malattia (vedi la recente sentenza eternit) ma certamente sarebbe stato più corretto dire che la tutela della salute era un diritto dei cittadini che andava garantito dallo Stato.
 
Nessuno si era domandato con quali fondi economici questa tutela poteva essere garantita. E sull’onda della rivoluzione si era gettato via quel poco di buono che le mutue garantivano, il controllo delle prescrizioni sanitarie. Tanto le mutue erano un male assoluto.
 
Quando poi si capì che il Pil era la fonte del finanziamento del Ssn, si cercò di porre un rimedio causato dal dissennato consumismo indotto dal fatto che tutto doveva essere dato al cittadino per garantire la salute.
Utile, inutile, efficace ed inefficace tutto faceva salute. Si ricorda il Caso Di Bella? I giudici si rifacevano ai principi che avevano generato il Ssn ed imponevano alle Asl di somministrare la cura gratuitamente. Era il giudice che faceva il governo clinico. Ci siamo dimenticati che i più accaniti sostenitori della cura Di Bella erano sempre gli stessi e cioè i più accaniti sostenitori che ogni cosa fosse dovuta. Hanno dovuto aziendalizzare le Usl perché bisognava fare in modo che le spese fossero in qualche modo sotto controllo. Ed è venuta l’era dei bilanci e del controllo di gestione (si sono utilizzati i Drg). Alla fine, sindacati in testa, si sentiva continuamente dire che si era guadagnato tot euro a motivo di tot Drg trattati. Come se il Ssn potesse generare guadagni anziché consumare risorse pubbliche.
 
Affermavano queste corbellerei i sindacati medici, qualche assessore alla sanità e la maggior parte degli operatori sanitari che si aspettavano di avere benefici stipendiali dal grande guadagno realizzato!
 
Quando si è poi capito, sempre troppo tardi, che non si guadagnava nulla ma si consumavano risorse pubbliche, allora si è incominciato a vedere che il controllo nel consumo di prestazioni era cosa utile (povere vecchie, maltrattate mutue!).
 
Ma caro direttore come si fa a capire se una prestazione è appropriata o meno. Occorre conoscere, occorre essere preparati e aggiornati sulle conoscenze mediche. Senza conoscenza non si va da nessuna parte. Quanto investono le aziende in una biblioteca scientifica a disposizione dei propri operatori? Una recente sentenza afferma che la formazione non è un dovere delle aziende sanitari! Capisco che non si possa mandare tutti ad aggiornarsi fuori dalla propria azienda, ma almeno un piccola biblioteca, un journal club settimanale, una discussione di casi clinici, ecc. dovrebbero essere cose organizzate dalle aziende. E non mi vengano a dire che sono i medici che debbono stabilire quali sono i loro bisogni formativi perché se le aziende vere dovessero far dire solo ai propri operai quali sono i loro bisogni formativi, addio ricerca, innovazione e crescita del gruppo.
 
Ora i soloni dicono che le aziende sono fallite. Bontà loro. Che cosa occorre fare, ovvio dare più potere agli operatori. Bene si sono mai chiesti questi soloni quanti operatori inamovibili sono al loro posto da oltre trent’anni e quanti invece direttori generali, primari e apicali vari sono stati rimossi. E’ vero che il pesce puzza sempre dalla testa ma quale direttore generale ha potuto realizzare un progetto? Chi lo impediva? Gli inamovibili cioè il sindacato, gli assistenti e via via a scendere nella scala gerarchica. 
 
Insomma chi ha governato la sanità? I sindacati, i giudici, l’industria farmaceutica. Chi è colpevole del dissesto? I direttori generali e quelli che li hanno voluti, cioè i fautori dell’aziendalizzazione. 
 
Per questi signori la colpa è sempre di un altro e quindi tanto peggio, tanto meglio. In fondo sono i più bravi a creare sabbie mobili e a mestare nel torbido.
 
Pierpaolo Morosini
Chiaravalle (AN)
piemorosi@tin.it


16 febbraio 2012
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