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I “tagli imposti alle strutture private”: un mito che fa comodo

di Claudio Maffei

01 FEB - Gentile Direttore,
il Presidente della Conferenza delle Regioni ha un paio di giorni fa dichiarato di non comprendere le motivazioni della interruzione della trattativa per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro della sanità privata. Al riguardo ha ricordato che “Governo e Regioni hanno mantenuto fede agli impegni assunti: da una parte in sede di conversione del 'Decreto legge Fiscale' il Governo ha introdotto una disposizione che aumenta del 2% il tetto di spesa per acquisti di prestazioni da soggetti privati accreditati.
 
Dall’altra la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, con deliberazione del 17 ottobre 2019, si è impegnata ad aumentare il budget delle prestazioni fino al 50% dei costi del rinnovo contrattuale, fermo restando il fatto che ciascuna Regione si farà carico di individuare le modalità attraverso le quali assicurare il contributo per il proprio territorio".
 
Su queste pagine è stata pubblicata una lettera del Direttore Generale dell’ARIS,  Mauro Mattiacci. In questa lettera si afferma che “Regioni che nicchiano o dicono di non avere fondi da destinare al rinnovo del contratto in questione”. Poi aggiunge chiosandolo con un “sic” che non è accettabile quella che chiama la pretesa “che la concessione di aumentare il volume delle prestazioni (con i piccoli particolari di cui sopra) non solo dovrebbe servire a coprire i costi del rinnovo del ccnl, ma dovrebbe anche compensare le perdite subite nel corso degli anni a causa dei tagli imposti alle strutture”.
 
Tagli imposti alle strutture? Ma stiamo scherzando? Quello della riduzione della riduzione dei budget delle strutture private a seguito dell’applicazione del DL 6 luglio 2012, n. 95, che ne prevedeva una riduzione del 2% a partire dal 2014 è nella stragrande maggioranza delle Regioni un mito. Tanto che la disposizione del decreto fiscale 2020 che rimuove quel vincolo riportando il budget delle strutture a quello del 2011 è, sempre per la maggioranza delle Regioni, inutile. Nel commento di QS a questo decreto è stato  stimato che questa misura dovrebbe tradursi in un incremento nel 2020 della spesa per gli acquisti di prestazioni di ricovero ed ambulatoriali dal privato accreditato per un valore di circa 150 milioni. Adesso vediamo qualche numero da confrontare con quel 150.
 
In realtà la spesa per l’acquisto di prestazioni da privati in questi anni è molto aumentata a dispetto di quel vincolo che oggi si dice di voler rimuovere. A solo titolo di esempio le Marche hanno visto crescere  l’acquisto di prestazioni di ricovero e ambulatoriali da privato dai 131,5 milioni di euro circa (stimabili dal bilancio consuntivo dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale) del  2011 ai 151,5 del bilancio consuntivo 2018 (quindi 20 milioni per le sole Marche). Questo incremento è quasi per intero da attribuire ad una aumentata mobilità attiva dei privati che è comunque un costo di sistema. E’ dura rimuovere l’equivoco secondo cui la mobilità attiva finisce in una sorta di extra-budget.
 
Pochi giorni fa ho ricordato su queste pagine pochi giorni fache a  livello nazionale nel periodo 2013-2015 la mobilità attiva per i ricoveri del privato è passata da 1,295 miliardi del 2013 al 1,432 miliardi del 2015 (differenza di 137 milioni). E da allora la mobilità attiva dei privati è continuata a crescere superando da sola abbondantemente i 150 milioni del Decreto Fiscale. Analoghi e forse proporzionalmente ancor più significativi incrementi di budget ci sono stati per le prestazioni ambulatoriali sotto la forma di progetti “speciali” per la riduzione delle liste di attesa (sempre a titolo di esempio, la Regione Marche per le cosiddette liste di garanzia ha impegnato negli accordi coi privati relativi al triennio 2019-2020 circa 20 milioni di euro).
 
Dove sarebbero i tagli imposti alle strutture private? Su quali dati si basa questa affermazione che consentirebbe di non dare fiducia alle Regioni e di continuare a non approvare il contratto della sanità privata? E in ogni caso qualche dato regionale anomalo in presenza di questi dati a livello nazionale può giustificare questo atteggiamento di chiusura delle Associazioni rappresentative della sanità  privata?
 
Claudio Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on

01 febbraio 2020
© Riproduzione riservata

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