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Più infermieri nei posti di comando

di P.Di Giulio, V.Dimonte, R.Alvaro, M.G.Demarinis, P.Gobbi, L.Lancia, D.Laquintana, E.Zanetti

29 APR - Gentile Direttore,
tra le tante voci che, che pur con i toni ed i punti di vista più diversi, hanno occupato le cronache, gli scenari dei talk-show, e le enunciazioni tanto spesso contraddittorie delle politiche per la gestione di una emergenza ancora in cerca di soluzione, ha prevalso l’elogio dell’opera degli infermieri, riconosciuti come una componente determinante, addirittura eroica, di strategie di intervento che hanno visto una collaborazione, al di là di qualsiasi attesa, (a livello sanitario, assistenziale, organizzativo) di tutto il personale.
 
Gli infermieri, anche in un momento nel quale sono stati visti come protagonisti di uno scenario di guerra, hanno voluto chiarire, fuori da ogni retorica (attraverso le parole di un’infermiera di Genova al direttore della sua ASL) che “l’unico scenario in cui ci troviamo è quello della cura con professionisti che, nonostante le condizioni disastrose in cui versa la nostra sanità, non cessano di prestare la loro opera. Il COVID 19 non è un nemico da sconfiggere, bensì una malattia da curare con strumenti adeguati: formazione del personale rapida ma di qualità, adeguati mezzi e dispositivi di sicurezza in attesa di cure mediche più certe… La cura dei pazienti passa attraverso la cura che si ha del personale, nella preoccupazione che tutto sia stato garantito affinché infermiere, infermieri e medici vengano preservati come un bene prezioso.(1)
 
Non eroi: professionisti che non si sono sottratti, spesso senza le protezioni dovute e necessarie, ed hanno con impegno, ad assistere. L’accento è ora sul dopo. Una fase molto critica che deciderà se e come ciò che deve essere cambiato in quanto riconosciuto come imprescindibile in tutte le analisi ed i rapporti sull’emergenza, può essere concretamente tradotto in un’agenda operativa.
 
Un Servizio sanitario nazionale (SSN) deve avere la funzione di presa in carico, e il personale infermieristico come uno degli assi portanti, in piena collaborazione, ma con una rappresentanza alla pari, in termini decisionali ed operativi, con gli altri attori del sistema.
 
Questa prospettiva non vuole essere una rivendicazione corporativa, bensì la traduzione in atti di una corretta interpretazione di quanto l’emergenza ha insegnato, trasversalmente a tutti gli scenari, mettendo in evidenza lacune e disservizi legati soprattutto a:  
- la carenza di una rete di assistenza diversificata (ospedale, territorio, prevenzione) e non concentrata solo sull’ospedale;
 
- la insufficienza di una continuità assistenziale (contatti tra MMG, ospedale, servizi di assistenza domiciliare) in grado di fornire un aiuto concreto per sostenere i pazienti;
 
- la scarsità di risorse adeguate ai reali bisogni degli utenti che ne hanno bisogno sia sul territorio (numero limitato di Unità Speciali di Continuità Assistenziale), che in ospedale, dove i contagi tra gli infermieri hanno messo in difficoltà organici già in estrema sofferenza.
 
- l’assoluta necessità di competenze specialistiche: infermieri di rianimazione, esperti in malattie respiratorie, addetti al controllo delle infezioni ospedaliere…., fino ad ora non riconosciute a livello contrattuale, ma solo grazie ad accordi aziendali;
 
- gli organici carenti in RSA con personale in numero non adeguato per evitare contenzioni, per fare sorveglianza gli ospiti, e di una gestione più trasparente tra pubblico e privato (con le dovute eccezioni, sono anni che si continuano a documentare i problemi delle RSA private);
 
Fino a quando l’assistenza sul territorio verrà garantita da personale di cooperativa, pagato ad accessi o turni e non per progetto di presa in carico, se non si investirà sulla formazione e sulla preparazione di chi lavora (difficile farlo quando le equipe assistenziali non sono stabili nel tempo) non sarà possibile fornire un servizio sicuro e di qualità.
 
Nulla di nuovo, si potrebbe dire, anche se confermato in modo autorevole nell’editoriale di Lancet (2)  che evoca come assolutamente attuale per l’anno dell’infermiere quanto affermato, più di 15 anni fa, da Nick Black (3), Professore  di Ricerca nei Servizi Sanitari (London School of Hygiene and Tropical Medicine): “Se si vogliono mantenere gli ospedali pubblici, le infermiere/i devono avere un ruolo centrale….. Nonostante si riconosca l’importanza degli infermieri, questi sono ancora esclusi dalle iniziative mediche, manageriali di sviluppo di politiche e strategie assistenziali. …Il 19mo secolo ci insegna che gli infermieri devono essere centrali in tutti gli aspetti dell’assistenza, non solo in quelli ritenuti appropriati dai medici”. Purtroppo ad una presenza importante degli infermieri nel quotidiano dell’assistenza, si è associata la loro assenza ai tavoli decisionali.

Il “niente sarà più come prima” non può essere un mantra troppo facilmente ed evasivamente ripetuto. L’ennesima dimostrazione della capacità degli infermieri di sapersi organizzare, di reinventare l’assistenza, di garantire vicinanza e presa in carico, nei modi più diversi; di garantire la sicurezza di pazienti ed operatori sanitari riorganizzando reparti ed i percorsi ha sottolineato, se mai ce ne fosse bisogno, la capacità di sapersi prendere cura delle persone.
 
Tutto questo deve tradursi anzitutto, in questo ‘dopo’ che già si vive e a tutti i livelli (nazionale, regionale, aziendale) si devono prendere decisioni da attuare progressivamente, nel riconoscimento formale della ‘normalità’  di una costante presenza infermieristica qualificata nei tavoli decisionali .
 
A tutt’oggi, alle chiare prese di posizione degli organismi rappresentativi (la FNOPI con i 7 punti prioritari per dare una medaglia reale agli infermieri) sembrano corrispondere ancora situazioni nelle quali la presenza infermieristica è praticamente simbolica. Ad esempio tra i 25 componenti CTS della Regione Lombardia, sono pluri-rappresentati igienisti, anestesisti-rianimatori, epidemiologi, pneumologi, medici del lavoro… ma c’è una sola infermiera che, per quanto molto brava, non può rappresentare i diversi punti di vista (assistenza domiciliare, in comunità, ospedale). Chi ha esperienza sul campo conosce le sfide per garantire l’isolamento dei pazienti in comunità, a domicilio…
 
Una rappresentanza a livello dirigenziale infermieristico anche a livello territoriale (ASL, ATS, cure domiciliari, RSA di una certa dimensione) avrebbe potuto garantire una presa di decisioni rapida in merito a organizzaizone del personale, flessibilità nella turnistica, creazione di percorsi assistenziali differenziati,  presa in carico utenti, spostamento risorse tra contesti, attivazione di protocolli per prevenire i contagi, formazione sull'utilizzo corretto dei DPI, potenziamento rete territoriale, ecc.
 
La storia di questi mesi, con il prevalere dello spirito di squadra, ha fatto vedere quanto devono essere considerate regressive le diatribe interprofessionali (tra medici e infermieri, tra infermieri e altri operatori). Le tante, tantissime storie di attenzione, abnegazione (infermieri e operatori rimasti in RSA per non portare dentro il contagio), solidarietà e vicinanza, non tutte arrivate alla cronaca,  raccontano quanto sia importante mettere nelle condizioni di lavorare al meglio quanti in questi giorni si sono prodigati per chi ha avuto bisogno e per chi non ce l’ha fatta.
 
Non c’è dubbio che toccherà anche al mondo infermieristico un impegno importante ed urgente di revisione dei tanti aspetti del percorso formativo, e della definizione di funzioni dell’organizzazione assistenziale.
 
Ma l’emergenza oggi si deve tradurre nella capacità di pensare al futuro come una ricerca collaborativa/integrata che assicuri di poter rispondere alle tante ‘epidemie’ di pazienti e cittadini esposti alla sistemica fragilità di un SSN che si è frammentato ed allontanato, con dis-investimenti intollerabili di risorse da dedicare alla cura, dalla priorità di fare della sanità un bene comune costituzionalmente garantito.
 
Paola Di Giulio, Valerio Dimonte 
Università di Torino
 
Rosaria Alvaro
Università di Tor Vergata
 
Maria Grazia Demarinis
Università Campus Biomedico di Roma
 
Paola Gobbi
ATS Brianza, Monza
 
Loreto Lancia
Università dell’Aquila
 
Dario Laquintana
Ospedale Maggiore Policlinico Milano
 
Ermellina Zanetti
Aprire Network
 
Bibliografia
1. Brusasco L. Basta con l’insopportabile linguaggio di guerra, noi curiamo non combattiamo”. Genova24.it https://www.genova24.it/2020/04/coronavirus-basta-con-linsopportabile-linguaggio-di-guerra-noi-curiamo-non-combattiamo-234099/
2. Editorial. The status of nursing and midwifery in the world. Lancet 2020;395:1167.
3. Black N. Rise and demise of the hospital: a reappraisal of nursing. BMJ 2005;331:1394-6.


29 aprile 2020
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