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Se Asl e Case di cura “litigano” su crediti e appropriatezza

di Domenico F. Donato

09 GIU - Gentile Direttore,
in molte regioni italiane, specialmente quelle in cui il Servizio Sanitario è in forte deficit e commissariato, il contenzioso tra gli erogatori privati accreditati di prestazioni sanitarie e le Aziende Sanitarie, relativamente ai diritti di credito vantati dai primi, è esponenziale e, spesso, di ingentissimo valore economico.
 
Con l’ordinanza 31029/2019 la Cassazione, a Sezioni Unite, scrive una nuova pagina del contenzioso in questione ed apre scenari ad alto impatto.
Il contratto tra Aziende Sanitarie ed erogatori privati accreditati con il Servizio Sanitario Nazionale-Regionale è assimilabile ad un contratto di concessione di pubblico servizio, quindi, un rapporto “ibrido”.
 
Le conseguenze di tale inquadramento, alla luce delle norme vigenti e degli orientamenti giurisprudenziali ad oggi prevalenti sono che: A) se il contenzioso attiene la legittimità degli atti amministrativi a contenuto autoritativo prodromici rispetto al contratto (revoca dell’accreditamento, ripartizione dei budget etc..) la giurisdizione spetterà al T.A.R.; B) se il contenzioso concerne i corrispettivi per le prestazioni eseguite, allora, la giurisdizione sarà dei Tribunali ordinari.
 
Chi ha occasione professionale di seguire queste controversie, tuttavia, sa bene che il tema è più ricco di sfumature e l’individuazione del Giudice cui rivolgersi non è così semplice.
 
E’ il caso, ad esempio, in cui, oltre alle questioni dei “pagamenti”, si debba discutere anche dell’“appropriatezza” delle prestazioni.
Le norme che disciplinano i contratti riconducibili all’alveo dell’accreditamento sanitario (fra tutte il D.lgs. 502/1992 ed il D.lgs. 229/1999 e s.m.i.), i provvedimenti amministrativi attuativi di tali norme e, soprattutto, le molteplici linee guida - nazionali ed internazionali – emanate in materia hanno fornito una vasta congerie di definizioni.
 
Ma, non essendo questa la sede per un confronto dottrinale così addentro, ci limitiamo a riportare quella del glossario del Ministero della Salute ed a cui, mutatis mutandi, sia pure con integrazioni singolari e non sempre legittime, gli Uffici competenti delle ASL si rifanno tendenzialmente: “L’appropriatezza definisce un intervento sanitario (preventivo, diagnostico, terapeutico, riabilitativo) correlato al bisogno del paziente, fornito nei modi e nei tempi adeguati, sulla base di standard riconosciuti, con un bilancio tra benefici, rischi e costi”. E, quindi, solo a seguito della procedura di valutazione in ordine all’appropriatezza clinica che l’erogatore accreditato si vede remunerato o meno.
 
Cosa capita, dunque, quando una questione come quella suindicata si pone come nodo da sciogliere ai fini del riconoscimento, o meno, del diritto di credito dell’erogatore?
 
In casi simili, con l’ordinanza 31029 del 22 ottobre 2019, pubblicata in data 27 novembre 2019, dopo aver brevemente riepilogato le contrapposte tesi giudiziarie in argomento, la Corte di Cassazione ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario osservando come: ”Se è vero che la disciplina dei controlli anche sull’appropriatezza dei ricoveri spetta ad un atto autoritativo e vincolante di programmazione e di organizzazione di competenza regionale e non già ad una fase concordata e convenzionale, tuttavia, quando non sia questo atto generale e autoritativo a formare oggetto dell’impugnazione – quale espressione di vigilanza e controllo nei confronti del gestore – riemerge la giurisdizione del giudice ordinario, cui è rimesso il giudizio di congruità dell’attività svolta in concreto dalla struttura sanitaria rispetto ai parametri fissati dall’autorità regionale che si traduce pur sempre nella verifica dell’adempimento delle prestazioni sanitaria cui la struttura è obbligata”.
 
Il percorso logico-giuridico seguito dalla Cassazione e le motivazioni poste a supporto della propria decisione - a dire il vero, alquanto convincenti, sia pure suscettibili degli approfondimenti scientifici che merita un arresto di tale portata – poggiano, da un lato, sull’affermata capacità del Giudice Ordinario di conoscere degli interessi legittimi quando ciò sia necessario per giudicare di diritti soggettivi prevalenti ed, inoltre, sull’esclusione della devoluzione al Giudice Amministrativo che la legge 1034/1971 opera riguardo le controversie sui diritti soggettivi in materia concessoria (in tema di indennità, canoni ed altri corrispettivi) nonostante l’inerenza dei diritti medesimi all’ambito della giurisdizione esclusiva del G.A.
 
Dicevamo che, sul piano processuale, la questione, così risolta dal Giudice di legittimità, ha ripercussioni molto rilevanti per l’erogatore accreditato che, per la tutela dei propri crediti, potrà “sfruttare” la più “ricca” fase istruttoria del processo civile, magari anche tramite procedimenti monitori, o a cognizione sommaria, di più breve durata e di maggiore efficacia riguardo il conseguimento dei corrispettivi dovutigli.
 
Avv. Domenico F. Donato
Avvocato cassazionista, esperto di diritto sanitario e societario

09 giugno 2020
© Riproduzione riservata

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