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Rivalutazioni pensioni “alte”. Molti dubbi sulla sentenza della Consulta

di Michele Poerio

01 DIC - Gentile Direttore,
la Corte costituzionale ha sentenziato (n. 234/2020) “che il legislatore può ‘raffreddare’ la rivalutazione automatica delle pensioni di elevato importo e imporre a carico delle stesse un prelievo di solidarietà, a condizione che osservi i principi costituzionali di ragionevolezza e proporzionalità, anche in ordine alla durata della misura” (come da Comunicato stampa del 9/11/2020, da parte della Corte stessa). Vediamo se le condizioni di ragionevolezza, proporzionalità, temporaneità (il Comunicato dimentica adeguatezza) sono presenti nei provvedimenti previdenziali delle leggi che abbiamo, da ultimo, contestate (leggi 145/2018 e legge 160/2019, leggi di bilancio rispettivamente per il 2018 e 2019).

La limitazione della perequazione automatica delle pensioni di maggiore importo è intervenuta periodicamente dal 1998 ad oggi e, continuativamente, in ben 11 degli ultimi 14 anni, con azzeramento addirittura della rivalutazione negli anni 2008, 2012 e 2013.

A suo tempo (Sentenza 316/2010) la Corte aveva stabilito che, con la frequente reiterazione di misure intese a  paralizzare il sistema perequativo, anche le pensioni di maggiore importo “potessero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta”.

Con l’aggravante che, per l’effetto di “trascinamento”, anche una perdita temporanea la rende sostanzialmente definitiva, atteso che “le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato” (Sentenza 70/2015), a maggior ragione quando gli interventi punitivi a danno dei pensionati si ripetono a cascata. E come può la Corte ritenere che siano stati rispettati i principi di proporzionalità, ragionevolezza, adeguatezza, quando alcune pensioni sono state sempre rivalutate al 100% dell’indice ISTAT  e altre solo del 40% ; quando afferma che “le pensioni più elevate presentano margini più ampi di resistenza all’erosione inflattiva”.

In realtà avviene il contrario perché: il prelievo fiscale è maggiore (progressività), la indicizzazione è minore già in condizioni ordinarie ( a prescindere dalle penalizzazioni in esame), il calcolo di tali pensioni contiene già meccanismi di contenimento del loro importo in rapporto alla vita di lavoro e retributiva del singolo pensionato interessato; quando, pur affermando che l’adeguatezza delle pensioni ”è funzionale all’attuazione dei principi di sufficienza e proporzionalità della retribuzione”, conclude poi che la pensione è agganciata alla retribuzione “ non in modo indefettibile e strettamente proporzionale” (Sentenze 70/2015, 173/2016, 250/2017 con riferimento agli artt. 36 e 38 Costituzione).
 
Ma nel nostro caso, dopo la legge Letta (L. 147/2013), che non ha più riconosciuto alle pensioni di maggiore importo almeno una quota-parte di rivalutazione piena al 100%, la proporzione tra retribuzione e pensione rischia di essere capovolta per il diverso criterio di  rivalutazione complessiva delle diverse pensioni (alle retribuzioni maggiori possono così corrispondere, nel tempo, pensioni minori); quando, ancor oggi non riconosce che è stato eluso il giudicato di cui alla Sentenza 70/2015, che aveva censurato le disposizioni della legge Fornero (L. 314/2011) in merito alla mancata rivalutazione delle pensioni di maggiore importo, norma che è stata reiterata (a dispetto dell’art. 136 della Costituzione) ai danni dei pensionati con importo di pensione oltre le 6 volte il minimo INPS attraverso la legge 109/2015?

Per quanto attiene al prelievo (cosiddetto “contributo di solidarietà”) sulle pensioni di maggiore importo per il quinquennio 2019-2023 (prelievo graduale e crescente dal 15 al 40% sugli importi delle pensioni che eccedono i 100.000 € annui lordi), la Corte ne ha riconosciuto la illegittimità solo per il periodo 2022-2023, che esorbita cioè la manovra triennale di bilancio di cui alla legge 145/2018, che contiene appunto la norma in questione. Tuttavia le sorprese, le ambiguità, le ipocrisie contenute nella Sentenza in esame sono molteplici. Ne segnalo solo alcune la Corte sostiene che la finalità di concorrere ”agli oneri di finanziamento di un più agevole pensionamento anticipato, considerato funzionale al ricambio generazionale dei lavoratori attivi”( leggasi:quota 100), appare “ in grado di giustificare il sostenibile sacrificio perequativo imposto alle pensioni di importo elevato”.

Affermazione, questa, di pura valenza politica, senza alcuna base costituzionale; inoltre la Corte, preoccupata che quanto sottratto ai pensionati rimanga comunque “nel circuito endo-previdenziale”, mostra di credere che tali risorse confluiscano in un Fondo, distinto ed intangibile, “per la revisione del sistema pensionistico attraverso l’introduzione di ulteriori forme di pensionamento anticipato e misure per incentivare l’assunzione di giovani lavoratori”. Ed invece i “risparmi” sulla pelle dei pensionati vengono comunque contabilizzati come entrate (o minori spese) nel bilancio statale.

Prof. Michele Poerio
Presidente nazionale FEDER.S.P.eV.
Segretario generale CONFEDIR


01 dicembre 2020
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