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Col Recovery Plan più cure a domicilio. Sì, ma fornite dal privato

di Claudio Maria Maffei

07 MAG - Gentile Direttore,
uno dei punti qualificanti del Recovery Plan (d’ora in poi PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e del modello Draghi della sanità è lo sviluppo della assistenza domiciliare. In particolare, nel PNRR al punto relativo all’Investimento 1.2  (Casa come primo luogo di cura e telemedicina) troviamo scritto che “l'investimento mira ad aumentare il volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, il 10 percento della popolazione di età superiore ai 65 anni (in linea con le migliori prassi europee). L'intervento si rivolge in particolare ai pazienti di età superiore ai 65 anni con una o più patologie croniche e/o non autosufficienti.”
 
Poco più avanti troviamo scritto che “Il fabbisogno di risorse per la realizzazione di questo investimento è stimato in 4,00 miliardi di euro, di cui 2,72 miliardi connessi ai costi derivanti dal servire un numero crescente di pazienti, 0,28 miliardi per l'istituzione delle COT e 1 miliardo per la telemedicina. Per la realizzazione di tali interventi si utilizzeranno gli strumenti della programmazione negoziata, necessari per garantire il coordinamento dei livelli istituzionali e degli enti coinvolti.”
 
Vediamo di tradurre in termini organizzativi queste frasi alla luce di quanto si ricava dalle informazioni disponibili sulla politica del personale della sanità nel PNRR. A quello del personale è dedicato l’Investimento 2.2 dove troviamo scritto che tale investimento  prevede:
 
- l’incremento delle borse di studio in medicina generale;
- l’avvio di un piano straordinario di formazione sulle infezioni ospedaliere a tutto il personale sanitario e non sanitario degli ospedali;
- l'attivazione di un percorso di acquisizione di competenze di management per professionisti sanitari del SSN;
- l’incremento dei contratti di formazione specialistica per affrontare il cosiddetto “imbuto formativo”, vale a dire la differenza tra il numero di laureati in medicina e il numero di posti di specializzazione post-lauream previsto.
 
 
Tutto qui. Per quanto riguarda la spesa per il  personale il PNRR non dice  nulla per cui siamo fermi al Decreto Calabria che non è certo in grado di mettere a disposizione le risorse necessarie per la gestione diretta da parte delle Aziende Sanitarie di questo incremento di prestazioni ambulatoriali. Del resto persino l’infelice scelta del termine “prestazioni” al posto di quello di “presa in carico” rimanda ad una politica di acquisto a tariffe concordate della assistenza domiciliare.
 
Quindi dopo la assistenza residenziale anche la gran parte della assistenza domiciliare passerà ad una gestione da parte del privato, un privato “diverso” ma sempre privato con tutto quel  che consegue, a partire dall’inquadramento contrattuale degli operatori.
 
Ma soprattutto, contratti del personale a parte che pure non sono questione da poco,  una attribuzione della assistenza  domiciliare e residenziale al privato pone serissimi problemi di continuità delle cure e di integrazione culturale ed organizzativa tra tutti i servizi ed operatori coinvolti nei percorsi di presa in carico dei soggetti fragili (Medico di Medicina Generale, distretto, ospedali di comunità ed altre strutture intermedie, servizi di assistenza domiciliare a gestione diretta, ecc.).
 
Mi è tornata  in mente la “vecchia” Commissione RSA con Presidente   Monsignor Paglia che ha lavorato producendo documenti e raccogliendo spunti provenienti da più parti. Trovatequi una sintesi aggiornata dei lavori della Commissione e i riferimenti ad alcuni recenti importanti contributi in tema di assistenza alla popolazione anziana.
 
Mi pare importante l’ultimo punto del documento prodotto dalla Commissione che così recita: “I soggetti accreditati debbono creare reti di servizi tali da garantire il continuum assistenziale così come delineato nel documento, nella sua completa articolazione di servizi, in primis la valutazione funzionale multidimensionale.”
 
Il disegno mi pare delinearsi: chi gestisce le strutture socio-assistenziali è in pole position per gestire le “prestazioni” di assistenza domiciliare previste nel PNRR. E le strutture socio-assistenziali in Italia, come ognun sa,  non sono a gestione diretta da parte  del Servizio Sanitario Nazionale ma da parte dei cosiddetti Enti Gestori.
 
E’ abbastanza curioso che ai tempi del “più pubblico dopo la pandemia” si corra il rischio di affidare al privato (per quanto, lo ripetiamo, un privato sui generis) proprio quell’area - la domiciliarità - che deve rappresentare la principale novità di sistema.
 
Se questa è la scelta bisogna attrezzarsi per gestirla al meglio in modo trasparente. E sennò il PNRR in corso d’opera deve affrontare  il tema della politica del personale entrando nel merito di fabbisogno delle varie figure (perché coi numeri di oggi il personale infermieristico per quelle “prestazioni” in più di assistenza domiciliare non c’è), rivisitazione dei ruoli professionali e dei modelli organizzativi e rinegoziazione (termine che nel PNRR ricorre spesso) dei tetti di spesa del personale.
 
Claudio Maria Maffei
Coordinatore scientifico Chronic-On

07 maggio 2021
© Riproduzione riservata

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