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Il commento. Dopo il riparto, per un risorgimento del Sud


03 MAG - Le Regioni hanno chiuso il primo round della partita sul riparto dei fondi sanitari 2011. Più di 106 miliardi di euro da dividere per finanziare i rispettivi servizi sanitari regionali che, indipendentemente dalle risorse loro assegnate, sono comunque tenuti a garantire gli stessi servizi e le stesse prestazioni in tutta Italia. I famosi Lea, rimasti a garanzia dell’unitarietà del diritto alla salute in un sistema sempre più autonomo nelle scelte di programmazione, organizzazione e gestione dei servizi a livello regionale. Già da questo assunto si intuisce con chiarezza come la battaglia (perché di battaglia si può legittimamente parlare) sul riparto non sia una questione di lana caprina.

Secondo una nostra elaborazione, il fatto di dividere i quattrini per la sanità in base all’età della popolazione,  e senza tener conto di nessun altro indicatore (tipo quelli sulle condizioni sociali, economiche e strutturali dei territori diventati famosi sotto la definizione di “deprivazione”), è costato al Sud (solo per quest’anno) quasi 700 milioni di euro in meno, rispetto a quanto gli sarebbe toccato se il riparto fosse stato fatto in base all’effettiva popolazione residente senza correzione per età. Una perdita che va  a vantaggio del Nord e del Centro che, rispettivamente, guadagnano 485 e 193 milioni di euro, grazie al fatto di avere più anziani residenti nei loro confini. Quindi, chiacchiere a parte, i dati parlano chiaro: da metà degli anni ’90 ad oggi, da quando è stato introdotto il criterio della popolazione pesata, il Sud ha perso alcune migliaia di miliardi di finanziamenti, dovendo contestualmente garantire gli stessi livelli di assistenza delle altre regioni. E sappiamo che, se è vero che l’età incide sui consumi sanitari, è altrettanto vero che la macchina del sistema (personale in primis) ha un costo assolutamente indipendente dal numero di vecchietti da assistere.
Eppure, e nonostante manchi ancora da giocare il secondo round sulla ripartizione delle quote di mobilità sanitaria, che storicamente penalizzano il Sud con saldi sempre negativi di migrazione, a leggere le due interviste agli assessori alla Sanità del Veneto e della Sicilia, le Regioni sembrano uscire dallo scontro senza troppi rancori o ferite aperte.

Fermo il no alla deprivazione, nelle parole del leghista Coletto traspare però una presa di coscienza sul fatto che, in qualche modo, bisognerà mettere il Meridione in condizioni almeno pari al resto del Paese per applicare effettivamente il federalismo senza fare vittime troppo scontate. E nelle parole di Russo, il ferrigno magistrato siciliano chiamato da qualche anno a raddrizzare la sanità dell’isola, emerge addirittura l’entusiasmo della competizione, che si avvierà una volta adottato il sistema dei costi standard, con la candidatura della “sua” Sicilia a Regione benchmark del Sud.
Insomma, sempre a leggere queste due interviste, non si può parlare di morti e feriti lasciati sul campo da una trattativa durata mesi, e che per alcune settimane ha fatto temere l’impossibilità di una fumata bianca, quanto di una sostanziale tregua d’armi attorno al come affrontare, insieme, la realtà, accettata da tutti, di un Sud sanitario da riagganciare alla locomotiva del Ssn centro-nordista.
Una sfida che effettivamente può essere vinta solo se diventa una sfida nazionale cui concorrano Governo e Regioni, ma che sappia coinvolgere anche tutti gli altri protagonisti (dirigenti e manager sanitari, medici, operatori e industrie del settore) senza i quali difficilmente sarà possibile un vero risorgimento della sanità del Sud.
 
Cesare Fassari
 

03 maggio 2011
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