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Americo Cicchetti (ALTEMS): “Il passaggio dall’endovena  al sottocute, una vera rivoluzione organizzativa”


22 NOV - ALTEMS ha realizzato un’analisi comparativa della somministrazione endovenosa e sottocutanea di due anticorpi monoclonali, rituximab e trastuzumab, rispettivamente nel trattamento del linfoma non-Hodgkin e del tumore al seno. L’obiettivo era quello di valutare i vantaggi che la nuova formulazione sottocutanea comporta in termini di impatto economico, organizzativo e sociale. Quali sono le principali evidenze emerse riguardo ai possibili risparmi, all’efficienza organizzativa degli ospedali e alla soddisfazione dei pazienti?
Partiamo dal tema dell’efficacia e della sicurezza. Il cambiamento delle vie di somministrazione di questi due anticorpi monoclonali, che sono ben noti da tempo e utilizzati da parte dei clinici, non modifica in alcun modo i livelli di efficacia e sicurezza che già sono molto elevati in questi farmaci. Detto questo, il passaggio da una somministrazione per endovena ad una sottocute di fatto rappresenta una vera e propria rivoluzione sotto il profilo organizzativo perché riduce in maniera sostanziale i costi dell’assistenza, dal momento che nel caso della formulazione sottocute il paziente viene trattato nell’arco di pochi minuti, mentre la formulazione per endovena comporta una somministrazione molto più lunga, e di conseguenza una più prolungata permanenza in ospedale del paziente. Ma la formulazione tradizionale implica anche un maggiore lavoro sia nella tempistica sia nell’impegno del personale infermieristico che, al contrario, nella formulazione sottocute si riduce permettendo al personale di poter dedicare questo tempo ad altre attività e di favorire una migliore interazione con il paziente stesso. Abbiamo quindi un cambiamento che riduce i tempi di lavoro e i costi di gestione per l’ospedale.

Dall’analisi comparativa si evidenzia in ematologia (per il linfoma follicolare e il linfoma diffuso a grandi cellule B trattati con rituximab) un costo sociale medio evitato per paziente – comprensivo di costi SSN, mancata produttività sia del paziente sia del caregiver – pari a 4.068 euro all’anno; nel tumore al seno early e metastatico, il risparmio medio per paziente trattata con trastuzumab è di 3.429 euro all’anno.

Complessivamente dunque sono 11.564.755 euro i costi sociali evitabili per paziente con linfoma follicolare e 20.113.779 euro nel linfoma diffuso a grandi cellule B; invece sono pari a 23.700.500 euro i costi sociali evitabili con l’utilizzo di trastuzumab nella paziente con early breast cancer e 6.922.933 euro nella paziente con tumore mammario metastatico.

Ma a beneficiare maggiormente della formulazione sottocute dei due farmaci sono proprio i pazienti e le pazienti. Abbiamo rilevato attraverso l’indagine un significativo miglioramento dell’esperienza che fanno i pazienti in questo tipo di trattamento: la permanenza in ospedale che genera sempre una condizione di debolezza, si riduce significativamente, generando a cascata un impatto positivo sulla qualità della vita dei pazienti; ma anche per il caregiver che accompagna di solito il paziente in ospedale si ha un miglioramento della qualità di vita personale e di lavoro.

In definitiva, una soluzione tecnologica che consiste in una nuova formulazione di due farmaci di uso consolidato porta una serie di benefici che riguardano l’efficienza del Sistema sanitario, con una rilevante riduzione dei costi, un miglioramento dell’esperienza di cura da parte del paziente soggettivamente, ma anche effetti positivi sull’intera collettività. Lo studio è stato molto interessante e credo che incoraggerà le aziende a investire di più per trovare soluzioni che, oltre a migliorare l’efficacia dei farmaci, comportino miglioramenti di altro tipo che coinvolgono il singolo paziente, il Sistema sanitario e la collettività.
 
L’analisi di ALTEMS è stata condotta secondo i criteri dell’Health Technology Assessment (HTA): quali sono i principi e i vantaggi di questo tipo di approccio?
L’HTA è un approccio ormai diffuso a livello internazionale che cerca di considerare tutti gli elementi del valore generato da una nuova tecnologia sanitaria, per aiutare chi deve decidere a farlo al meglio, in una prospettiva molto più ampia.

Il principio su cui si basa l’HTA è molto semplice: l’idea di utilizzare l’evidenza scientifica, e quindi la ricerca, per facilitare e per migliorare la qualità delle decisioni dei policy maker, quelle figure che fanno scelte determinanti per allocare risorse. Il principio di fondo è arrivare a decisioni che siano meno discrezionali ma prese su evidenze di tipo scientifico non solo dal punto di vista clinico ma anche dell’impatto economico che certe scelte hanno sul sistema.

L’approccio è anch’esso relativamente semplice: se vogliamo misurare l’impatto di un’innovazione tecnologica, ossia capire quanto effettivamente valga, non possiamo fermarci a considerare solo la sua funzionalità tecnica ma dobbiamo assicurarci che sia efficace, sicura e come essa impatta sull’organizzazione e sui costi diretti e indiretti del Sistema sanitario e sociale. I vantaggi consistono in scelte più robuste e decisioni più razionali, con un migliore impiego delle risorse. Ma c’è un altro aspetto importante dell’approccio HTA, che si fonda sulla partecipazione degli stakeholder, i portatori d’interesse, ovvero le Associazioni dei pazienti e dei cittadini che nei contesti più avanzati sono anche istituzionalmente declinate. Noi siamo ancora in ritardo rispetto alla capacità del nostro sistema di coinvolgere i portatori d’interesse, anche per un percorso di maturità di queste Associazioni che è ancora da completare. Molti passi in avanti sono però stati fatti. Nella nostra conferenza annuale abbiamo voluto definire l’HTA come un “diritto umano” dal momento che i fondi disponibili si riducono sempre di più e i cittadini hanno diritto che vengano utilizzati al meglio per la salute del singolo e della collettività dal punto di vista della salute e del bilancio. Senza la metodologia HTA non sarebbero emersi i benefici a 360 gradi della tecnologia sanitaria. Nel nostro caso la tecnologia sottocute mostra benefici a tutto tondo su pazienti e sistema salute.

A suo giudizio, in che modo i dati di questa analisi potranno orientare le scelte dei decisori pubblici a livello nazionale? Come dovrebbero tenerne conto?
I decisori pubblici tendono sempre più a valutare l’impatto di una nuova tecnologia in una prospettiva multidimensionale. La stessa Agenzia Italiana del Farmaco nelle sue decisioni prende in considerazione tutte le dimensioni implicate, incorporando la dimensione economica, organizzativa e sociale. Questo si traduce in una migliore allocazione delle risorse che è quanto ci aspettiamo dai nostri decisori politici a livello nazionale ma anche regionale. È chiaro che i decisori pubblici dovrebbero nel frattempo facilitare l’accesso ad innovazioni tecnologiche che sono efficaci e che hanno un impatto importante sull’esperienza di cura del cittadino/paziente, inserendo nei criteri di valutazione di un farmaco anche la qualità della vita e utilizzando dei metodi di valutazione economica di costo/efficacia che permettano di catturare le due dimensioni: da un lato l’efficacia e la sicurezza del farmaco dall’altro la dimensione economica e organizzativa. Ricordiamo che il report di ALTEMS è uno dei primi nell’ambito dell’oncologia italiana e comprende una grande mole di evidenze misurate nella real world, come tale orienta verso questa direzione.

22 novembre 2017
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