I risultati aggiornati dello studio di Fase III TOPAZ-1, il primo studio di Fase III che evidenzia un miglioramento della sopravvivenza globale con una combinazione immunoterapica nel carcinoma avanzato delle vie biliari, mostrano che durvalumab di AstraZeneca, in combinazione con la chemioterapia standard di cura, presenta un beneficio clinicamente significativo e duraturo di sopravvivenza globale (OS) nel trattamento dei pazienti con tumore delle vie biliari (BTC) avanzato.
I risultati aggiornati di TOPAZ-1, saranno presentati oggi al Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (European Society for Medical Oncology, ESMO) a Parigi.
I dati aggiornati di durvalumab in combinazione a chemioterapia (gemcitabina più cisplatino) hanno mostrato una maggiore efficacia clinica al follow-up esteso di 6,5 mesi, mostrando una riduzione del 24% del rischio di morte rispetto alla sola chemioterapia (sulla base di un hazard ratio di 0,76; intervallo di confidenza 95% 0,64–0,91). La sopravvivenza globale mediana aggiornata era di 12,9 mesi rispetto a 11,3 con la sola chemioterapia. Si stima che il numero di pazienti vivi a due anni sia più che raddoppiato rispetto alla sola chemioterapia (23,6% rispetto a 11,5%). I risultati sono stati osservati in tutti i sottogruppi predefiniti, indipendentemente dalla sede del tumore e dall’espressione di PD-L1. Inoltre, il beneficio di sopravvivenza globale è stato osservato sia nei pazienti con malattia stabile che nei pazienti in cui il tumore si è ridotto o è scomparso (responders).
Il profilo di sicurezza di durvalumab più chemioterapia ha continuato ad essere ben tollerato, senza nuovi segnali di sicurezza osservati al follow-up esteso. Gli eventi avversi (AEs) di Grado 3 o 4 legati al trattamento sono stati riscontrati nel 60,9% dei pazienti trattati con durvalumab e chemioterapia, e nel 63,5% di quelli trattati con la sola chemioterapia. Durvalumab più chemioterapia non ha aumentato il tasso di interruzione per AEs rispetto alla sola chemioterapia (8,9% per durvalumab rispetto a 11,4% per la chemioterapia).
“Il tumore delle vie biliari è una patologia in costante crescita, ogni anno in Italia si registrano circa 5400 nuovi casi – afferma Lorenzo Antonuzzo, Professore Associato di Oncologia Medica all’Università di Firenze e Direttore SODc Oncologia Clinica AOU Careggi, Firenze -. Non esistono test di screening o esami diagnostici in grado di identificare questa neoplasia in fase iniziale, quando è ancora possibile la rimozione chirurgica. La malattia è spesso caratterizzata da sintomi generici (ad esempio dolore addominale, perdita di peso, nausea, malessere), che possono essere facilmente sottovalutati o confusi con quelli di altre patologie. Per questo il 70% dei pazienti presenta alla diagnosi una malattia già in fase avanzata, con poche possibilità di trattamento. Da qui la forte necessità clinica di nuove terapie”. “E’ entusiasmante osservare il miglioramento della sopravvivenza globale ottenuto grazie alla combinazione di durvalumab più chemioterapia rispetto allo standard di cura dei pazienti con tumore delle vie biliari avanzato, al follow-up mediano di quasi due anni – spiega il prof. Antonuzzo -. Con progressi terapeutici limitati negli ultimi dieci anni, questi pazienti per molto tempo hanno affrontato una prognosi infausta. Per la prima volta, una combinazione a base di immunoterapia ha mostrato la capacità di modificare il trattamento di questa malattia e dovrebbe diventare il nuovo standard di cura.”
Susan Galbraith, Executive Vice President, Oncology R&D, AstraZeneca, dichiara: “Questi dati a lungo termine sostengono il beneficio in termini di incremento di sopravvivenza e il profilo di sicurezza ben tollerato di durvalumab in aggiunta alla chemioterapia standard, nei pazienti con tumore delle vie biliari avanzato. Con questi risultati, i dati dell’analisi esploratoria dello studio HIMALAYA e la recente approvazione da parte di FDA sulla base dello studio TOPAZ-1, portiamo avanti il nostro impegno con l’obiettivo di prolungare la sopravvivenza dei pazienti con tumori gastrointestinali, che hanno forte necessità di nuove opzioni terapeutiche.”
All’inizio di questo mese, la combinazione di durvalumab con chemioterapia a base di gemcitabina ha ottenuto l’approvazione negli Stati Uniti nel trattamento dei pazienti adulti con tumore delle vie biliari localmente avanzato o metastatico, sulla base dei risultati dello studio TOPAZ-1. Le applicazioni normative sono attualmente in fase di revisione anche in Europa, in Giappone e in numerosi altri Paesi sulla base dei risultati dello studio TOPAZ-1.
A ottobre 2021, lo studio TOPAZ-1 ha soddisfatto l’endpoint primario di OS all’analisi ad interim predefinita, riducendo il rischio di morte del 20% rispetto alla chemioterapia (sulla base di un rapporto di rischio [HR] di 0,80; intervallo di confidenza [CI] 95%, 0,66-0,97; p bilaterale =0.021).
Analisi esplorativa sulla base dell’eziologia dello studio di Fase III HIMALAYA nel carcinoma epatocellulare non resecabile presentata all’ESMO
Nel 2021, i risultati positivi dello studio di Fase III HIMALAYA hanno mostrato come una singola dose priming di tremelimumab, un anticorpo anti-CTLA4, in aggiunta a durvalumab (regime STRIDE) abbia prodotto un miglioramento clinicamente e statisticamente significativo di OS rispetto a sorafenib come trattamento di prima linea dei pazienti con carcinoma epatocellulare (HCC) non resecabile, non trattati precedentemente con terapie sistemiche e non eleggibili per il trattamento localizzato.
Quando i sottogruppi sono stati bilanciati secondo i fattori prognostici, i pazienti con HBV trattati con il regime STRIDE hanno mostrato una riduzione del 36% del rischio di morte rispetto a sorafenib (sulla base di un hazard ratio di 0,64; intervallo di confidenza 95% 0,47-0,86). La durata media della risposta era di 25,69 mesi rispetto a 17,00 mesi con sorafenib. I pazienti con HCV trattati con il regime STRIDE hanno mostrato una riduzione dell’11% del rischio di morte rispetto a sorafenib (sulla base di un hazard ratio di 0,89; intervallo di confidenza 95% 0,63-1,25). La durata media della risposta era di 13,5 mesi rispetto a 15,7 mesi con sorafenib. I pazienti non virali trattati con il regime STRIDE hanno mostrato una riduzione del 23% del rischio di morte rispetto a sorafenib (sulla base di un hazard ratio di 0,77; intervallo di confidenza 95% 0,59-1,00). La durata media della risposta era di 13,21 mesi rispetto a 6,01 mesi con sorafenib.
Nel passato, l’HCC virale (malattia associata alla cirrosi da epatite B cronica o epatite C) è stata l’eziologia primaria della malattia. Negli ultimi vent’anni, è aumentata significativamente la prevalenza di HCC non virale (malattia associata a cause non virali tra cui malattia epatica, obesità e diabete). HIMALAYA è l’unico studio di Fase III che dimostra un beneficio di sopravvivenza con l’immunoterapia nei pazienti con HCC non virale.1,2
Il regime STRIDE è in fase di valutazione da parte delle autorità regolatorie nell’epatocarcinoma non resecabile, sulla base dei risultati dello studio HIMALAYA.