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Quanto fa male il terremoto? Uno studio su L'Aquila


Il problema non sono solo ripercussioni psicologiche, ma anche sulla salute complessiva: secondo una ricerca sulla popolazione de L’Aquila colpita dal sisma nel 2009, quasi una su due persone che hanno perso la casa col terremoto ha sviluppato sindrome metabolica, contro il 37% di media nell’Italia del centro-sud.

08 FEB - Lasciare la propria casa distrutta, adattarsi ad una vita completamente diversa, nelle tende o negli hotel, stravolgere le proprie abitudini, precipitare in situazioni completamente nuove. Più tutto lo stress psicologico cui è sottoposto qualcuno che ha vissuto il terremoto sulla propria pelle. Gli effetti di questi cambiamenti sono sicuramente pesanti dal punto di vista psicologico, ma possono avere ripercussioni pesanti anche sull’organismo. Uno studio pubblicato su Nutrition, metabolism and cadiovascular diseases, frutto della collaborazione tra l’Università Gabriele d’Annunzio, Laboratori di ricerca della Fondazione Giovanni Paolo II di Campobasso e Nucleo di farmacisti Volontari della Protezione civile ha infatti evidenziato come la situazione psicologica da post-terremoto possa anche modificare i fattori determinanti per la salute metabolica e quindi cardiovascolare.

Un risultato che si vede nel territorio, tra la gente. Nei mesi successivi al sisma un camper specificamente attrezzato con a bordo medici e farmacisti volontari ha visitato la zona dell’emergenza offrendo una serie di analisi e misurazioni, effettuate con la collaborazione di Roche Diagnostic e Voden Medical: dal peso alla circonferenza addominale, dal colesterolo alla glicemia, dalla pressione arteriosa alle abitudini alimentari, sono stati raccolti molti dati sui 278 cittadini che hanno partecipato volontariamente. Tutte le informazioni sono state quindi messe a confronto con quelle ottenute in popolazioni non colpite da alcuna catastrofe, in particolare i partecipanti al Progetto Moli-sani, condotto in Molise. “I risultati sono chiari: mostrano come il gruppo studiato presenti una percentuale più alta di Sindrome Metabolica”, ha spiegato Assunta Pandolfi, Direttore dell’Unità operativa di Fisiopatologia Vascolare del Dipartimento di Scienze Sperimentali e Cliniche nell’Università "Gabriele D'Annunzio”. “La prevalenza di tale quadro nel campione di aquilani è infatti risultata del 50%, contro un 30% dello studio Moli-sani e poco meno (27%) rispetto ai dati dell'Istituto Superiore di Sanità relativamente alle popolazioni del centro-sud e isole. Ma il dato forse più importante è la differenza che osserviamo all’interno del gruppo aquilano tra chi ha perso la propria casa e chi no. La Sindrome Metabolica è infatti maggiormente presente tra coloro che sono stati costretti a vivere nelle tendopoli o negli hotel”.

La Sindrome Metabolica colpisce circa 14 milioni di Italiani. Non è una vera patologia, ma un insieme di alterazioni antropometriche e del nostro metabolismo che possono elevare notevolmente il rischio di diabete e malattie cardiovascolari. I fattori coinvolti sono diversi: un livello di trigliceridi superiore alla norma; un livello troppo basso di colesterolo HDL (quello chiamato “buono”); una pressione arteriosa superiore al normale; un livello di glicemia a digiuno superiore al normale ed infine un girovita eccessivo, cioè un accumulo di grasso nella zona addominale. Se una persona presenta almeno tre di queste alterazioni, allora la Sindrome Metabolica è presente: proprio quello che è successo a una persona su due nell’Aquilano, dopo il terremoto. “Possiamo pensare che il terremoto abbia un effetto negativo sulla salute delle persone per due motivi”, ha spiegato Augusto Di Castelnuovo, epidemiologo dei Laboratori di ricerca nella Fondazione di ricerca e cura “Giovanni Paolo II” di Campobasso. “Da un lato abbiamo la situazione di forte stress dovuta alla catastrofe ed agli stravolgimenti che ne sono seguiti, come ha dimostrato un recente studio condotto dagli psichiatri dell’Università de L’Aquila e dell’Ospedale San Salvatore dello stesso capoluogo: sappiamo infatti che lo stress può avere effetti sulla salute cardiovascolare. D’altro canto, il cambiamento di abitudini causato dal vivere fuori della propria casa, la perdita di importanti contatti sociali e familiari, le modifiche nell’alimentazione sono tutti elementi che possono partecipare a formare un quadro di maggiore rischio”. 

Uno studio che dimostra quanto importante sostenere le popolazioni colpite dal sisma non solo nel primo soccorso, ma anche a lungo termine. “Benché il campione di cittadini aquilani non sia particolarmente numeroso e la modalità di reclutamento condizionata dallo stato di emergenza, ciò che questa ricerca può insegnarci – ha continuato Pandolfi - è la necessità di fronteggiare a più ampio raggio una catastrofe come è stata quella de L’Aquila. Gli interventi, quindi, non sono solo quelli di soccorso, che caratterizzano l’immediato post-terremoto, ma c’è da considerare a lungo termine la vita quotidiana delle persone. È necessario sviluppare dei programmi di prevenzione, soprattutto nell’alimentazione e nelle abitudini di vita. Non possiamo permettere che un terremoto, con il dolore e lo sconforto che causa nei primi tempi, possa prolungare la propria azione negativa anche negli anni futuri, incidendo sulla salute della gente”.

Un impegno che deve vedere presenti e attivi più professionisti. “Cruciale nello studio è stato il connubio tra ricercatori e farmacisti”, ha concluso Giorgio Nenna, del Nucleo di farmacisti volontari della Protezione Civile. “Questi ultimi confermano l’impegno di essere protagonisti della salute delle persone. Il loro apporto volontario in questa emergenza mostra ancora una volta che non c’è solo la farmacia con le sue vetrine. C’è un professionista che si impegna per il benessere dei cittadini”.

08 febbraio 2013
© Riproduzione riservata

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