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Speciale Asco. Inaugurato a Chicago di 50° Congresso. Al centro, "Scienza e Società"

di M. R. Montebelli

Sono attesi oltre 30mila partecipanti al 50° congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO); inviati da tutto il mondo oltre 5.500 abstract. Centrale il tema della qualità di vita dei pazienti. Perché se la battaglia contro il tumore è ben lungi dall’essere vinta, sempre più malati vogliono continuare a fare una "vita normale".

31 MAG - La battaglia contro il tumore è ben lungi dall’essere vinta, ma la ricerca prosegue a passo spedito, mettendo a segno importanti successi. Il sogno di sconfiggere il tumore, almeno per tante forme, è ancora lontano nel futuro; per ora quindi ci si ‘accontenta’ di cronicizzare questa malattia, di imparare a conviverci, facendo in modo che non sia troppo intrusiva e impattante sulla qualità di vita del paziente. E anche l’aggressività di certi approcci terapeutici, viene riletta in quest’ottica: il trattamento deve essere efficace contro il tumore, ma il benessere del paziente va salvaguardato a tutti i cosi. Un esempio di questa nuova tendenza viene vari due studi presentati quest’anno all’ASCO; in uno si suggerisce che la terapia ormonale (ADT) nel tumore della prostata può essere rinviata di qualche anno. Sul fronte dei nuovi trattamenti, arrivano quelli che colpiscono i meccanismi messi in atto del tumore per diventare resistente alle terapie oncologiche. Altri studi infine gettano luce sui fattori di rischio, come ad esempio l’obesità per il tumore delle mammella con recettori ormonali positivi, nelle donne in premenopausa.

Tumore della prostata. Si può ritardare l’inizio della terapia ormonale? Nei pazienti con tumore della prostata, è necessario iniziare la terapia ormonale, in caso di recidiva diagnosticata solo in base ai valori in aumento del PSA? Le raccomandazioni di trattamento per i pazienti con PSA elevato, asintomatici (assenza di sintomi, nessuna metastasi visibile), dopo un trattamento radicale primario non sono chiare. L’ASCO sostiene che ‘il punto critico è determinare se possa esserci un beneficio e di quali dimensioni, prima di instaurare un trattamento ADT su pazienti asintomatici’. Le linee guida NCCN parlano apertamente a questo riguardo di un ‘dilemma terapeutico’. Partendo dai dati dello studio osservazionale longitudinale CaPSURE, condotto su oltre 14.300 pazienti con tumore della prostata diagnosticato istologicamente sono state acquisite le informazioni relative alle variabili che determinano le scelte terapeutiche nella pratica clinica quotidiana: PSA, performance status, sintomi, diagnosi strumentali. 2012 pazienti sono stati selezionati per uno studio osservazionale di confronto tra i soggetti sottoposti subito a terapia ormonale dopo il riscontro di un aumento dei valori di PSA e quelli in cui la ADT veniva posticipata. Il follow up medio è stato di 41 mesi, durante i quali sono stati registrati 176 decessi, 37 dei quali dovuti a tumore della prostata .
“Lo studio dimostra – affermaXabier Garcia-Albeniz, Dipartimento di Epidemiologia, Harvard School ofPublic Health,Boston, USA – che i pazienti sottoposti immediatamente a terapia ormonale, al primo di riscontro di recidiva, basato sull’aumento del PSA, presentavano una sopravvivenza simile a quelli in cui l’ADT veniva rinviata al momento della progressione o a due anni dopo l’aumento del PSA, in assenza di progressione clinica. Con tutte le limitazioni tipiche di uno studio osservazionale, questo lavoro sembra dunque dimostrare che, ai fini della sopravvivenza, non è determinante iniziare subito la terapia ormonale, al primo rialzo dei valori di PSA. Una risposta definitiva al dilemma di quando iniziare la ADT verrà tuttavia dalla studio di fase III“The Timing of Intervention with Androgen Deprivation in Prostate Cancer Patients with Rising PSA”, attualmente in corso.

Tumore del polmone (NSCLC): promettente un nuovo farmaco contro le forme con resistenza acquisita ai trattamenti EGFR-TKI Il cosiddetto tumore del polmone è in realtà un puzzle di tanti tumori diversi, differenziabili tra loro attraverso tecniche di biologia molecolare. Risale ad appena una decina di anni fa, la scoperta che per certe forme tumorali giocano un ruolo determinante alcune mutazioni dell’EGFR (Epidermal growth factor receptor) e così, in tempi record, sono stati messe a punto tre terapie a target, i cosiddetti inibitori delle tirosin-kinasi, disponibili ormai nella pratica clinica, come terapie di prima scelta nel tumore polmonare non a piccole cellule (NSCLC) con mutazioni dell’EGFR. Purtroppo la maggior parte dei pazienti, dopo un certo periodo, sviluppano una resistenza a questi trattamenti che, nel 60% dei casi è imputabile ad una mutazione secondaria di EGFR (la T790M), per la quale al momento non si dispone di alcun trattamento. AZD9291  è un inibitore selettivo dell’EGFR mutante che, in modelli animali, si è dimostrato efficace sia come terapia sensibilizzante per i trattamenti EGFR-TKI, che sulle mutazioni di resistenza T790M.
Lo studio AURA (fase I, in aperto, multicentrico) sta adesso testando questo nuovo farmaco su pazienti con NSCLC con mutazioni di EGFR e della mutazione di resistenza acquisita T790M. I risultati disponibili finora sono molto promettenti, con un  tasso di risposta globale (ORR) del 64%. Per tale motivo, l’FDA ha assegnato all’AZD9291 la ‘breakthrough designation’ per il trattamento dei pazienti con NSCLC metastatico con mutazione EGFR-T790M.

Ruolo dell’obesità nel tumore della mammella ER+, in stadio precoce, nelle donne in pre-menopausa. Da un’analisi dei dati EBCTCG,su 80 mila pazienti afferenti a 70 studi, risulta che l’obesità rappresenta un importante e indipendente fattore di rischio di mortalità, solo nelle donne in pre-menopausa, con tumore della mammella in stadio precoce, e presenza di recettori estrogenici (ER +). L’obesità in queste pazienti è associata ad una prognosi peggiore, forse per la presenza dei recettori per gli estrogeni o di una qualche attività ovarica. Da quest’analisi risulta che nelle donne in pre-menopausa, con tumore della mammella ER+, l’obesità aumenta del 34% il rischio di mortalità, in maniera indipendente. Il rischio comportato dall’obesità è invece trascurabile nelle donne in post-menopausa e assente nelle donne con tumori senza recettori per gli estrogeni (ER -).

Maria Rita Montebelli

31 maggio 2014
© Riproduzione riservata

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