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Melanoma: terapie sempre più ‘intelligenti’

di Maria Rita Montebelli

L’armamentario terapeutico del melanoma si arricchisce di una nuova molecola, il dabrafenib, un inibitore del BRAF. Un paziente su tre di quelli con tumore inoperabile o metastatico, trattati con questo farmaco, è ancora vivo a tre anni dalla diagnosi.

26 NOV - Si chiama dabrafenib ed è un nuovo farmaco ‘intelligente’, frutto della ricerca GSK, disponibile da poco anche in Italia per il trattamento del melanoma non resecabile chirurgicamente o in fase metastatica.
Il farmaco è un inibitore del gene BRAF, che codifica per una proteina mutata in un’elevata percentuale di pazienti con tumore. Grazie a questa alterazione, le cellule tumorali si replicano più velocemente e diventano ‘immortali’, non vanno cioè più in apoptosi. Il dabrafenib, legandosi alla BRAF mutata, inibisce l’esito della mutazione BRAF V600, presente in un paziente con melanoma su due.
 
“Per noi clinici – sostiene Paola Queirolo, oncologa presso l’IRCCS San Martino, Istituto Nazionale per la ricerca sul cancro di Genova e presidente IMI (Intergruppo Melanoma Italiano) - si tratta di un’opportunità terapeutica importante nella lotta ad una forma tumorale che, negli ultimi anni, ha visto sviluppare trattamenti che hanno modificato l’aspettativa di vita dei pazienti con melanoma avanzato. Con dabrafenib possiamo parlare di terapia personalizzata e offrire una cura ai pazienti che presentano la mutazione BRAF V600. Ovviamente la prevenzione e la diagnosi precoce del melanoma rimangono presidi fondamentali nella lotta a questo tumore, che appare in continua crescita anche nel nostro Paese”.
 
 “Nei pazienti con melanoma in fase metastatica – spiega Paolo Ascierto, oncologo presso l’IRCCS Fondazione Pascale, Istituto Nazionale Tumori di Napoli – il dabrafenib ci consente di essere ancora più mirati nella scelta del trattamento.
Con questo farmaco ci possiamo attendere risultati simili nel tempo e sicuramente non inferiori a quelli dell’immunoterapia, che permette di mantenere in vita il 20% dei malati in fase avanzata a dieci anni dalla diagnosi. E gli studi clinici testimoniano l’efficacia e il buon profilo di sicurezza del dabrafenib nei pazienti con mutazione BRAF V600: il monitoraggio dei malati inseriti negli studi clinici dimostra che una significativa percentuale di pazienti (31%) mantiene la malattia sotto controllo anche dopo 3 anni di trattamento”.
Un risultato incredibile perché ottenuto su pazienti con malattia metastatica, considerata intrattabile fino a qualche anno fa.
 
“Lo studio BREAK-2 – prosegue Ascierto - ha mostrato che il 28% dei pazienti con mutazione BRAF V600E erano vivi a distanza di 2 anni e mezzo. Il 9% dei pazienti nel Break-2 e il 10% di quelli trattati con dabrafenib nel Break-3 continuano a seguire la terapia senza progressione della malattia”.
 
 
Dabrafenib, sviluppato dalla ricerca GSK, è un inibitore del gene BRAF, che ha un ruolo chiave sul pathway delle MAP-chinasi (MAPK, Mitogen-Activated Protein Kinase), fondamentale per lo sviluppo di alcune forme di melanoma.
La proteina BRAF mutata altera i meccanismi di regolazione della crescita e della morte cellulare, quindi favorisce sia la moltiplicazione delle cellule neoplastiche, che la loro sopravvivenza. Dabrafenib, legandosi alla proteina BRAF mutata, inibisce l’esito della mutazione BRAF V600 che si osserva in alcuni casi di melanoma.
 
Il trattamento con dabrafenib è indicato in monoterapia in caso di melanoma non resecabile chirurgicamente e nelle forme metastatiche, nei pazienti con melanoma caratterizzato da mutazione BRAF V600. Il farmaco viene dunque somministrato solamente dopo conferma della presenza della mutazione, che viene rilevata mediante test specifici. Il farmaco si somministra per via orale al dosaggio di 300 milligrammi al giorno (quattro compresse) in due somministrazione giornaliere.
 
Infine, in un ottica di salvaguardia della qualità di vita, elemento imprescindibile nel trattamento delle patologie oncologiche, la Fondazione SmithKline, con il supporto di GSK e in collaborazione con AIOM e FAVO ha sviluppato un programma di valutazione dei ‘Patient Reported Outcomes’ (PRO’s), cioè della percezione che ha il malato sulla terapia che effettuando.
GSK sta sviluppando inoltre in collaborazione con l’IMI una serie di progetti di ricerca real life, fondamentali per acquisire conoscenze sempre più approfondite sulla patologia e sul trattamento, come anche sulla gestione degli eventi avversi.
 
Maria Rita Montebelli

26 novembre 2014
© Riproduzione riservata

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