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Sla. Individuato un nuovo meccanismo alla base della morte dei neuroni

di Viola Rita

Oggi, un team di scienziati ha identificato un nuovo meccanismo genetico alla base dell'attacco del sistema immunitario contro i motoneuroni, che può contribuire alla comparsa della sclerosi laterale amiotrofica. Coinvolte alcune proteine, tra cui la SARM1: in un organismo animale chiamato C. Elegans è stato possibile frenare la progressione della malattia bloccando tale proteina. Rimangono ostacoli nell’individuazione di un trattamento per l’uomo. Lo studio su Nature Communications

11 GIU - Oggi è stato individuato un nuovo collegamento, finora sconosciuto, tra il sistema immunitario e i motoneuroni, importanti cellule nervose che comandano i movimenti corporei: proprio un attacco del sistema immunitario contro tali cellule può portare alla loro distruzione e alla comparsa della Sclerosi Laterale amiotrofica (Sla), malattia neurodegenerativa progressiva ad esito fatale. Il collegamento, scoperto oggi da un gruppo di ricercatori dell’Università di Montréal, potrebbe essere paragonato ad un ‘interruttore’ genetico del sistema immunitario, che si attiva contro le cellule nervose. I risultati dello studio, condotto sull’organismo C. Elegans, sono pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Communications.
“Lo squilibrio immunitario può contribuire alla distruzione dei motoneuroni e promuovere la comparsa della malattia”, ha spiegato Alex Parker, ricercatore del CRCHUM e Professore Associato al Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Montréal.

La sclerosi laterale amiotrofica è una malattia neuromuscolare ad esito fatale che assume caratteristiche molto variabili. La malattia colpisce i motoneuroni, le cellule nervose che impartiscono ai muscoli il comando di movimento, comportando una progressiva perdita delle funzioni motorie; il decesso avviene generalmente entro i 5 anni dalla comparsa.
La patologia esordisce spesso ad un’età in media pari a 55 anni e attualmente non ci sono cure risolutive, spiegano gli esperti, che sottolineano che per ora il riluzolo è l’unico trattamento approvato in grado di prolungare la sopravvivenza dei pazienti di qualche mese.
 
Lo studio odierno si è basato su un modello di laboratorio, l’organismo quasi microscopico Caenorhabditis elegans, in cui circa la metà dei geni sono strettamente correlati ai corrispettivi umani.
I ricercatori spiegano che più di 12 geni sono collegati alla Sla e alcune mutazioni in tali geni possono causare questa risposta immunitaria anomala, diretta contro i motoneuroni.
Nello studio, gli esperti hanno introdotto un gene mutato (TDP-43 o FUS) nell’animale. Sorprendentemente, anche se questo organismo ha un sistema immunitario piuttosto rudimentale, questo suo sistema ha scatenato un attacco imprevisto contro i suoi neuroni. Il C. elegans “ha pensato di avere un’infezione virale o batterica e ha lanciato una risposta immunitaria. Ma la reazione è risultata tossica e ha distrutto i motoneuroni dell’animale”, ha spiegato Alex Parker, ricercatore del CRCHUM e Professore Associato al Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Montréal.
I ricercatori aggiungono che un meccanismo simile potrebbe manifestarsi anche nell’essere umano.
 
Inoltre i ricercatori hanno studiato altri geni, come il  “tir-1, noto per il suo ruolo nel sistema immunitario”, ha affermato Julie Veriepe, lead investigator e studente di dottorato sotto la supervisione di Alex Parker. Nell’uomo, l’equivalente di questo gene è il SARM1, che ha dimostrato di giocare una parte importante per l’integrità del sistema nervoso. Ma i ricercatori pensano che il ‘percorso di segnalazione’ coinvolto in questo malfunzionamento sia identico per tutti i geni coinvolti nella Sla.
Proprio per questa ‘equivalenza’, la proteina codificata (‘prodotta’) dal gene tir-1 (SARM1 nell’uomo) potrebbe rappresentare un ottimo bersaglio terapeutico: tale proteina, infatti, è importante e ben conosciuta perché fa parte del processo di attivazione delle chinasi, enzimi preposti a diversi compiti tra cui la trasmissione del segnale nelle cellule. Secondo gli scienziati, bloccandola, dunque, si potrebbe provare ad arrestare la progressione della malattia.
 
Gli scienziati hanno mostrato che bloccando l’azione di tale proteina nell’animale modello, si è in grado di rallentare la progressione della malattia; attualmente il gruppo di ricerca sta studiando nel C. Elegans l’utilizzo di un farmaco già esistente ed approvato dalla FDA per il trattamento di alcune malattie tra cui l’artrite reumatoide
Tuttavia, ancora rimangono degli ostacoli, spiegano gli scienziati, e non è ancora stato trovato un trattamento per curare o rallentare la progressione della Sla. Negli studi condotti su questo organismo, “sappiamo che l'animale è malato perché abbiamo indotto la malattia. Questo ci permette di somministrare un trattamento molto precoce nella vita dell’animale”, spiega Parker. “Tuttavia, la Sla è una malattia legata all’invecchiamento, dato che di solito nell’uomo si manifesta intorno all’età di 55 anni: così non conosciamo l’eventuale efficacia di un farmaco che viene somministrato solo dopo la comparsa dei sintomi. Comunque abbiamo chiaramente dimostrato che nel modello C. elegans, bloccare questa proteina-chiave frena il progresso della malattia in questo animale”.
 
Viola Rita

11 giugno 2015
© Riproduzione riservata

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