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Chirurgia estetica. Ricostruzione mammaria, “ibrida” viene meglio


I risultati ottenuti nella ricostruzione mammaria confermano la Chirurgia Plastica italiana ai primi posti nel mondo. Merito di interventi sempre più conservativi e di un approccio sempre più raffinato, in grado di abbinare espansori, protesi, grasso e i cosiddetti nuovi materiali. Se ne discute al 64° Congresso Nazionale Sicpre.

17 SET -  "Una straordinaria qualità e nulla da invidiare ai più rinomati centri stranieri". Marco Klinger, co-presidente del 64mo Congresso Nazionale della Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica (Sicpre), fotografa così lo status quo della ricostruzione mammaria in Italia. "Oggi otteniamo di routine risultati che fino a 10 anni fa erano impensabili. E il confronto con gli ospiti stranieri, ben 140 in questo congresso, ci rafforza nella consapevolezza dell’altissima qualità delle cure e dei trattamenti eseguiti in Italia, come dimostrano i tantissimi casi di mammelle che dopo un intervento oncologico e la ricostruzione tornano come prima", prosegue Klinger. Il merito di questo progresso? Interventi sempre più tailored sulle singole pazienti e un impiego sempre più vasto del grasso autologo, cioè del grasso prelevato dalla paziente stessa. 
 
"Il grasso nella ricostruzione mammaria ha due funzioni principali - dice ancora Klinger -: contribuisce a ‘ricreare’ mammelle che in seguito all'intervento oncologico hanno perso forma e volume e favorisce il miglioramento delle cicatrici e dei tessuti, anche quelli danneggiati dalle terapie. Entrambi gli effetti sono riconducibili alla presenza di cellule staminali adulte, in grado di indurre nei tessuti in cui vengono trasferite un processo di rigenerazione".
 
Spazio al grasso ma anche ai cosiddetti nuovi materiali è invece la posizione di Maurizio Nava, tra i relatori della sessione dedicata alla ricostruzione mammaria. Presentati come novità principale nel congresso nazionale Sicpre del 2014, i nuovi materiali sono essenzialmente ADM e Mesh, ovvero rispettivamente matrici dermiche di derivazione animale e reti, assoribibili o non riassorbibili. ADM e Mesh hanno entrambi lo scopo di contribuire a coprire la protesi, per un maggiore comfort per la paziente e un miglior risultato estetico.
 
"La ricostruzione oggi è sempre più ibrida - dice Nava -. Cioè sempre più facilmente si ricorre a protesi ed espansori, i device più tradizionali, ma anche a grasso e nuovi materiali. L’ ‘aut… aut’ di pochi mesi fa è diventato un ‘et… et’, perché in poco tempo abbiamo notevolmente affinato la nostra capacità di modulare e mixare tecniche e strumenti diversi, per esempio "imbottendo" con il grasso i sottili tessuti rimasti dopo un intervento oncologico, prima di impiantare una protesi. I risultati, anche in termine di simmetria con l'altra mammella e di naturalezza della forma, sono molto, molto buoni".
 
Per Enrico Robotti, past president Sicpre tra i relatori delle sessioni dedicate alla ricostruzione mammaria, i nuovi materiali sono una risorsa, sì, ma da utilizzare con cautela. Dice Robotti: "La pratica ci ha dimostrato che, se si vogliono evitare come i sieromi, ADM e Mesh utilizzati solo in casi ben specifici. E la prima indicazione è relativa alla dimensione: l'ideale sono le mammelle medio-piccole”. Attenzione quindi a selezionare con cura i casi. Il successo di questi device è legata alla possibilità di eseguire l’intervento in one step, cioè un intervento in cui la paziente entra in sala operatoria con un seno malato ed esce con un seno ricostruito. “Ma senza le dovute cautele si può andare a incontro a iter lunghi e fastidiosi”, conclude Robotti.  

17 settembre 2015
© Riproduzione riservata

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