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Cuore. Il colesterolo ‘buono’ non sempre può avere effetti positivi

di Ben Hirschler

Il colesterolo 'buono' potrebbe non avere sempre effetti positivi. Secondo uno studio pubblicato su 'Science', infatti, le lipoproteine ad alta densità (Hdl) aumenterebbero il rischio di attacco cardiaco nelle persone con una specifica mutazione genetica.

11 MAR - (Reuters Health)- Le lipoproteine ad alta densità sono generalmente associate con la riduzione del rischio di attacchi cardiaci, poiché solitamente compensano gli effetti d'ostruzione della forma a bassa densità (Ldl), conosciuta anche come colesterolo 'cattivo', ricorda l'agenzia 'Reuters', che riporta la notizia.

Tuttavia, alcune persone hanno una rara mutazione genetica che fa sì che abbiano alti livelli di Hdl e, paradossalmente, un maggior rischio cardiaco, spiegano i ricercatori. “I nostri risultati indicano che alcune cause dell'aumento di Hdl possono in realtà far crescere anche il rischio di attacchi di cuore – spiega Daniel Rader della University of Pennsylvania – Per la prima volta abbiamo provato che una mutazione genetica fa aumentare il colesterolo buono, ma anche i rischi di infarto”. Gli scienziati hanno dimostrato che le persone con la mutazione avevano un rischio relativo più alto di malattia coronarica, equivalente quasi a quello causato dal fumo.

Normalmente, Hdl è un aiuto importante per il buon funzionamento del sistema cardiovascolare: traghetta infatti il colesterolo al fegato, dove viene eliminato. Ma questo processo è interrotto nelle persone con una versione 'difettosa' di un gene (Scarb1). Rader e colleghi hanno dimostrato che questa mutazione porta ad avere alti livelli di Hdl che non sono però in grado di svolgere correttamente il proprio lavoro. La mutazione sembra essere specifica degli ebrei aschenaziti.

Le conseguenze
La scoperta potrebbe aiutare a spiegare perché i farmaci che aumentano il colesterolo buono non sono ancora riusciti a fornire i benefici attesi negli studi clinici. Negli ultimi dieci anni, tre farmaci sperimentali noti come inibitori della Cetp targati Pfizer, Roche e Eli Lilly hanno fatto 'flop' nei test, e al momento l'unico rimasto negli studi in fase avanzata è l'anacetrapib della Merck.

Peter Weissberg, direttore medico alla British Heart Foundation, che ha sostenuto la ricerca, ha detto che il lavoro ha gettato luce su un importante enigma e potrebbe avere ricadute mediche a lungo termine. “Questi risultati inaspettati aprono la strada a ulteriori ricerche su Scarb1, per identificare nuovi trattamenti per ridurre gli attacchi di cuore in futuro”, conclude l'esperto.
 
Fonte: Science 2016
Ben Hirschler
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

11 marzo 2016
© Riproduzione riservata

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