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Malati terminali. L'importanza di una “cura personalizzata”


Uno studio internazionale analizza che tipo di cure vengono offerte ai pazienti incurabili nei loro ultimi momenti di vita, mostrando che la maggior parte delle attività consiste in un supporto fisico, psicologico, sociale e talvolta spirituale e legale. E spiegando come potrebbe essere migliorato.

17 FEB - Quando si tratta di malati terminali, l’idea di “personalizzazione della cura” assume tutto un altro significato rispetto al solito. Le attività utili, secondo uno studio pubblicato su PLoS Medicine, diventano il sostegno non solo fisico, ma anche psicologico, sociale e talvolta spirituale. La ricerca internazionale che ne parla, dal titolo OPCARE9, è stata finanziata dall’Unione europea e ha osservato in quali modi, in 9 nazioni diverse in tutto il mondo, ci si prende cura di chi è affetto da malattie incurabili.
 
I ricercatori si sono occupati prevalentemente di seguire il lavoro degli operatori sanitari che si occupavano di accudire i malati di cancro in stadio terminale nelle ultime ore di vita. Le strutture prese in considerazione erano situate in Germania, Italia, Olanda, Slovenia, Svezia, Svizzera, Gran Bretagna, Argentina e Nuova Zelanda. Il team ha così scoperto che la maggior parte delle ‘cure’ consisteva nell’entrare in contatto visivo o tattile con il paziente, nel rispetto della loro dignità. Tuttavia, in questi casi, gli elementi importanti del lavoro del personale erano anche quelli che riguardavano la comunicazione con il paziente stesso e con la sua famiglia, insieme a quello di mantenere l’ambiente di degenza accogliente e piacevole, per quanto possibile. Nelle ultimissime ore, anche la semplice presenza di un operatore sanitario era importante per il malato e per i suoi cari.
Il supporto offerto, inoltre, poteva non essere solo medico, ma anche religioso/spirituale, se il paziente lo richiedeva. Infine, una parte importante era anche quella che riguardava l’informazione dal punto di vista legale. “Da quello che emerge dai dati, sosteniamo che l’assistenza ai malati terminali sia un lavoro dalle molteplici sfaccettature, e le cui attività sono, oltre che di tipo medico, anche fisiche, psicologiche, sociali, spirituali ed esistenziali”, hanno scritto i ricercatori nello studio. “Per questo il compito è difficile ed è necessario distinguere meglio le sfumature di queste cure, in modo da comprenderle meglio e dunque rispettarle e svilupparle ulteriormente”.
 
In particolare i ricercatori hanno identificato alcune aree su cui bisognerebbe continuare a lavorare. Ad esempio, bisognerebbe tentare di migliorare l’ambiente che circonda questi pazienti. O anche fare attenzione alla terminologia con cui ci si rivolge loro o con cui si parla alla famiglia. “Quel che emerge è la necessità di un’attenzione maggiore ai bisogni personali, per le persone che entrano in strutture che offrono questo tipo di cure. Potrebbe per esempio aiutare, fornire al paziente degli elementi ambientali che mantengano vivo il contatto con la loro vita, cosicché si possano adattare in maniera più lieve, per quanto possibile, alla loro condizione”, fanno anche sapere i ricercatori. “L’intento è semplice: quello di ricordare a queste persone, vissute ognuna in un contesto personale diverso, che non sono viste dagli operatori solo come pazienti in punto di morte”.
 
Laura Berardi

17 febbraio 2012
© Riproduzione riservata

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