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Il finanziamento del Ssn, i disavanzi di gestione e gli investimenti


26 SET - Sin dal 2001 la crescita del finanziamento risulta modesta, quando addirittura non si configura una variazione di segno negativo del finanziamento reale [TAVOLA 4]. In particolare, secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute (provvisori per il 2011), il tasso di crescita del finanziamento nominale a partire dal periodo 2007-2008 diminuisce ogni anno, seppur lievemente in crescita nel 2009 rispetto all’anno precedente, e raggiunge il suo valore minimo tra il 2010 ed il 2011 per fermarsi ad un +0,49%.  Il finanziamento reale, di contro, tra il 2007 ed il 2008 e tra il 2010 ed il 2011 riporta variazioni negative e rispettivamente pari a ‑0,24% e  ‑2,25%.

Appare evocativo che il finanziamento previsto per il 2014 sia di circa € 15 mld. inferiore alle previsioni di finanziamento contenute nei documenti di programmazione economica pubblicati sino al 2009, e sia praticamente fermo sui livelli di finanziamento raggiunti nel 2010.

La considerazione, poi, del finanziamento dei sistemi sanitari delle diverse ripartizioni geografiche in rapporto al proprio PIL [TAVOLA 5], fa emergere con chiarezza come le risorse messe a disposizione della tutela della salute nelle Regioni meridionali siano significativamente più elevate rispetto a quelle prodotte localmente. Tale differenza è “figlia” della redistribuzione delle risorse attuata con il sistema di riparto e evidenzia, tra l’altro, l’importanza dei meccanismi di perequazione operanti all’interno dell’assetto federalista.

E’ altresì da rimarcare che quelle stesse ripartizioni che presentano una quota maggiore di finanziamento in percentuale del PIL sono anche le medesime che, di contro, presentano un finanziamento corrente, in termini pro‑capite, inferiore per tutti gli anni presi in considerazione;  questo per effetto delle note differenze demografiche.  In effetti, nell’ultimo anno considerato, le Regioni che presentano il finanziamento pro‑capite più basso sono Campania (€ 1.722,94), Sicilia (€ 1.750,37), Calabria (€ 1.757,08) e Puglia (€ 1.757,55);  all’estremo opposto, le due Province Autonome di Trento (€ 2.194,34) e Bolzano (€ 2.213,79) e la Valle d’Aosta (€ 2.314,94).

Disavanzi
La risposta regionale alla crisi è stata, in verità, più virtuosa di quanto non generalmente riconosciuto. Stando ai dati forniti dal Ministero della Salute, il disavanzo di esercizio è passato da € 5.736,09 mln. del 2005 a € 1.351,97 mln. del 2011.[TAVOLA 6]
Nel 2011 risultano in avanzo: Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, P.A. Trento e P.A. Bolzano, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo.

Anche valutando l’impatto sull’impoverimento a livello regionale, il quadro che emerge promuove (con riserva) le Regioni, in particolare quelle in Piano di Rientro: non si osservano infatti, scarti sistematici rilevanti nell’impatto sull’impoverimento nelle diverse Regioni.

Se consideriamo le sole Regioni che hanno presentato un risultato di esercizio negativo (le quali assommano nel 2011 una perdita complessiva di circa € 1.611,00 mln.), è d’immediata evidenza come soprattutto negli ultimi due anni si sia modificata la composizione del disavanzo: cresce la quota del disavanzo attribuibile alle Regioni settentrionali, che passa dal 4,64% del 2010 all’8,27% del 2011;  cresce anche quella delle Regioni centrali che tra il 2010 ed il 2011 segna un +4,35% (45,48% nel 2010 e 49,82% nel 2011);  diminuisce, di contro, quella delle Regioni meridionali che riporta una flessione del 7,98%, passando dal 49,88% del 2010 al 41,90% dell’anno successivo. [TAVOLA 7]

Se si considerano solo le 5 Regioni  con maggior disavanzo nel 2011 (Liguria, Lazio, Campania, Calabria e Sardegna), in esse si concentra oltre l’87,00% del deficit nazionale, con un decremento del 2,89% rispetto all’anno precedente quando il disavanzo delle prime 5 Regioni “meno virtuose” (Liguria, Lazio, Campania, Puglia e Sardegna) rappresentava il 90,10% del totale (considerando solo le Regioni con risultato di esercizio negativo). [TAVOLA 8]

Da sottolineare come, nel 2011, a tale risultato abbiano contribuito soprattutto tre Regioni: Lazio, la cui incidenza sulla perdita complessiva è aumentata tra il 2010 ed il 2011 del 5,22%, Sardegna che ha riportato un +4,56% ed, infine, Liguria che, nonostante nel 2010 abbia concluso il proprio PdR, ha contribuito nell’ultimo anno per un 8,27% al deficit complessivo con un incremento del 4,37% se rapportato all’anno precedente.
Anche la Corte dei Conti, nel Rapporto sul Coordinamento della Finanza Pubblica 2012, ha riconosciuto alcuni risultati importanti analizzando i risultati di esercizio senza tener conto delle ulteriori risorse stanziate dalle Regioni ed iscritte in bilancio (quindi il risultato prima delle coperture).
Secondo il Rapporto 2012, il disavanzo nazionale così calcolato ammonta a € -2.584,61 mln.

Sono soprattutto le Regioni in Piano di Rientro a migliorare il proprio risultato:  esse passano da un disavanzo di poco inferiore a € 3,00 mld. nel 2009 ad uno di circa € 2,50 mld. nel 2010 con una flessione del 12,44%.  La situazione migliora ulteriormente tra il 2010 ed il 2011;  in effetti, nell’ultimo anno considerato, il disavanzo di queste Regioni scende ancora per posizionarsi poco sopra i € 1,50 mld. con una contrazione del 39,58% rispetto all’anno precedente.  Appare oltremodo utile rimarcare, inoltre, che nell’ultimo anno, prima delle coperture, solo cinque Regioni conseguono un avanzo di esercizio:  Lombardia, Veneto, Umbria, Marche e Abruzzo.

Un’ultima osservazione: il contenimento della spesa e del finanziamento non è stato “indolore”: un ulteriore aspetto emerso degno di nota è la relazione inversa tra deficit in alcune delle Regioni soggette a Piano di Rientro e andamento della spesa sanitaria privata;  l’andamento del disavanzo è discendente ma la spesa privata è in crescita.  
 
Investimenti
Il tema della promozione degli investimenti in Sanità ha avuto negli anni passati, e sta continuando ad avere, un’importanza sempre maggiore perché ritenuto fondamentale per il mantenimento e buon funzionamento dell’intero sistema sanitario.  Tuttavia, le ultime statistiche OECD, relative all’anno 2011, dimostrano, nella pratica attuale, una scarsa propensione degli Stati ad effettuare investimenti nel settore sanitario, prassi aggravata dalle misure di contenimento della spesa in atto.  Ma risultati ancor più interessanti si ottengono andando ad indagare, poi, la componente pubblica e quella privata del finanziamento di questa tipologia di spesa.

Nel 2011 l’Italia ha destinato agli investimenti pluriennali il 5,2% della spesa sanitaria complessiva contro il 3,7% medio di EU 14.  Rispetto al 2001, mentre il dato EU 14 è aumentato in maniera assai poco consistente (+0,1%), l’Italia sembra aver alimentato positivamente la sua propensione ad investire in Sanità, registrando un +0,7%.

Ma l’Italia è l’unico Paese (insieme all’Irlanda) ad avere un finanziamento di tipo pubblico per gli investimenti inferiore al 50% (pari al 38,8%) [TAVOLA 9]; il trend è oltretutto in discesa dal 2008, quando la percentuale in questione raggiungeva il 57,7%, per scendere al 50,4% nel 2009 e al 42,7 nel 2010.  

Se si considera la percentuale di investimenti fissi sulla spesa corrente, suddivisa per la parte pubblica come per la privata, sembra confermarsi una propensione del nostro Paese a investire tutta concentrata nel settore privato: l’Italia per € 100 di spesa sanitaria corrente privata, ne spende quasi 17 in investimenti fissi privati (all’estremo opposto la Spagna, con €2,21), mentre a fronte di € 100 di spesa sanitaria corrente pubblica spende solo € 2,7 per investimenti fissi pubblici (la Svezia arriva a oltre € 6). [TAVOLA 10]

Ad investire è dunque essenzialmente il settore privato:  lo scenario che si prospetta è quello di strutture pubbliche obsolete, a favore di un settore privato sempre più “appealing”.

26 settembre 2013
© Riproduzione riservata

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