Quotidiano on line
di informazione sanitaria
Lunedì 20 MAGGIO 2024
Studi e Analisi
segui quotidianosanita.it

Zuccatelli: “Per uscire dai Piani serve sia equilibrio di bilancio che rispetto dei Lea”


30 GIU - Il tema delle Regioni in Piano di rientro, e di quelle commissariate, si è posto a metà degli anni 2000 quando si accertò che alcune Regioni, soprattutto del Centro-Sud, avevano accumulato,  rispetto alla quota parte del Fondo sanitario nazionale, disavanzi molto significativi:  si trattava  infatti  di cifre che arrivavano a sfiorare i 10 miliardi di euro. Un quadro economico-finanziario molto grave e ciò perché alcune Regioni, come ad esempio il Lazio, la Campania, la piccola Abruzzo, registravano purtroppo realtà di governance aziendali e managerialità sanitaria scarsamente efficaci.
 
Si decise quindi, con laFinanziaria del 2005 e l’Intesa Stato-Regioni del marzo 2005, di varare la fase dei Piani di rientro: un accordo fra lo Stato e la Regione, un vero e proprio programma di ristrutturazione per incidere sui fattori di spesa sfuggiti al controllo delle Regioni.
 
Un Piano di rientro della spesa sanitaria, siglato da una Regione in disavanzo, ha come obiettivo quello di ristabilire l’equilibrio economico-finanziario della Regione interessata e viene valutato dai ministeri competenti, in questo caso dal Ministero dell’economia  e dal Ministero della salute. 
 
La normativa prevede il ricorso a forme di affiancamento da parte del Governo centrale alle Regioni che hanno sottoscritto gli accordi contenenti i Piani di Rientro.
In questo contesto il Ministero della salute ha affidato all’Agenas il compito di svolgere un’azione di collaborazione nei confronti delle Regioni sottoposte a Piani di rientro, esse infatti possono avvalersi dell’Agenzia come supporto alle azioni intraprese, in particolare per gli interventi di carattere organizzativo-sanitari.
 
Se, nel previsto triennio di rientro dal disavanzo, non vengono raggiunti risultati significativi, subentra la fase di commissariamento. La storia di questi ultimi anni ci dice che la prima Regione ad essere commissariata è stata il Lazio, seguita a ruota dall’Abruzzo e dalla Campania. Un discorso a parte riguarda il Molise, una regione che non ha neppure la dimensione di una piccola azienda, poiché si parla di meno di 350 mila abitanti. Per il Molise, in termini di valore assoluto, si tratta di un piccolo disavanzo, ma è evidente che il valore della quota pro capite risulta essere il più alto a livello nazionale.
 
Bisogna riconoscere che il percorso dei Piani di rientro ha dato una vera e propria scossa al sistema per le azioni che ha generato, sia per quanto riguarda la dirigenza dell’assessorato regionale sia, a livello periferico, per l’impatto che ha avuto sui direttori generali. Contemporaneamente, però, si è creato un problema in merito alla qualità dei servizi. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che, accanto alla performance economica, occorre valutare il modo in cui una determinata Regione eroga, rispetta e dà dignità ai Livelli essenziali di assistenza.
 
I conti e i Lea devono procedere assieme: se i conti sono in equilibrio, ma il livello di assistenza è molto basso, allora si è fatto un’operazione di “sconquasso” del sistema. La condizione per uscire dal commissariamento o dal Piano di rientro non può essere solo quella dell’equilibrio di bilancio, perché il risanamento economico deve essere accompagnato da una valutazione almeno sufficiente dei Lea. Non a caso la normativa denomina il Piano di rientro come un programma operativo da attuare non solo sotto il profilo economico-finanziario, ma anche sul versante della riorganizzazione, della riqualificazione dei rispettivi servizi sanitari regionali.
 
Nonostante ciò, poiché le politiche sanitarie degli ultimi anni sono state caratterizzate dall’obiettivo prioritario del contenimento della spesa, le Regioni in Piano di rientro hanno dovuto moltiplicare i loro sforzi per cercare di rimettere in equilibrio il sistema salute tra deficit sanitario ed erogazione dei Lea. Dal 2005, anno in cui il Governo, attraverso i Ministeri dell’economia e della salute, ha avviato questo tipo di verifica sul versante delle condizioni economiche e finanziarie è stato raggiunto un grande risultato: fondamentalmente è stato conseguito un equilibrio tra il Fondo sanitario che, anno dopo anno, il governo destina al  Ssn e i costi dei 21 Sistemi sanitari regionali.
 
Tuttavia, ora che i Piani di rientro hanno raggiunto gli effetti attesi in termini di recupero del disavanzo sanitario, l’attenzione si deve spostare inevitabilmente sui Lea;  il problema, ora,  è rendere compatibile l’equilibrio economico-finanziario e la qualità dell’assistenza.
A questo riguardo, dobbiamo riconoscere che non è stato raggiunto un equilibrio sufficiente in merito all’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza.  
 
Alcune Regioni si trovano estremamente in difficoltà, in affanno, nel tentativo di raggiungere la sufficienza o il livello minimo di assistenza. Il Siveas, (Sistema nazionale di verifica e controllo sull'assistenza) ha l’obiettivo di provvedere alla verifica del rispetto dei criteri di appropriatezza e qualità delle prestazioni sanitarie erogate, coerentemente con quanto previsto dai Livelli essenziali di assistenza, livelli di cui il Comitato Lea (organismo paritetico del Ministero della salute, del Ministero dell’Economia, del Ministero degli Affari regionali, della Conferenza delle Regioni e dell’Agenas) provvede alla verifica dell’erogazione in condizione di appropriatezza e di efficienza.
 
Il “punteggio” che infine viene attribuito prende in considerazione i vari settori dell’attività del Ssn: dalla prevenzione, all’assistenza territoriale, dall’assistenza ospedaliera alla riabilitazione, all’indagine sugli screening oncologici, etc.
 
Sul fronte dell’assistenza sanitaria nel nostro Paese le criticità non mancano. Il Rapporto 2015 dell’Osservatorio Civico sul federalismo in sanità ci rende una fotografia chiara in tal senso: secondo Cittadinanzattiva sono più di 4 milioni i cittadini che rinunciano alle cure per colpa dei ticket e delle liste di attesa; le differenze tra le Regioni sono notevoli e ancora una volta sono quelle del Sud che “annaspano”. La spesa sostenuta privatamente per prestazioni sanitarie in Italia è al di sopra della media Ocse (3,2% a fronte di una media Ocse di 2,8%).
 
Sempre l’Ocse, in uno studio effettuato in collaborazione con Agenas e presentato all’inizio del 2015, da un lato evidenzia alcuni risultati positivi per la qualità dell’assistenza sanitaria in Italia rispetto ad altri Paesi, ma mette anche in luce il persistere di importanti disparità regionali indicando che è necessario sostenere le regioni che presentano una infrastruttura più debole affinché siano in grado di erogare servizi di qualità come le regioni più virtuose.  
 
E ancora: la mobilità sanitaria è un fenomeno in crescita. Come ho avuto occasione recentemente di sottolineare, la maggioranza delle otto Regioni in Piano di rientro è afflitta da una emorragia inarrestabile di malati. Icittadini che si spostano dalla propria Regione per curarsi in posti differenti valgono, dal punto di vista finanziario, circa 3,8 miliardi di euro (dati Agenas- La spesa sanitaria nelle Regioni, 2014). Sonocittadini di un Paese che non è in grado di assicurare l’esigibilità dei Lea ovunque.
 
Compito della politica è assicurare i diritti civili e sociali a tutti e uno dei diritti sociali maggiori è, appunto, la salute. E’ necessario recuperare la fiducia dei cittadini delle Regioni dove è altissima la mobilità passiva e in quest’ottica bisogna lavorare su almeno due fronti: territorio e appropriatezza. Infatti, nella maggior parte dei casi ci si sposta per prestazioni ad elevata inappropriatezza piuttosto che per quelle ad elevata complessità. Occorre da un lato ridurre l’inappropriatezza e dall’altro far funzionare i territori soprattutto alla luce del Decreto 70 del 2015 che riordina la rete ospedaliera.
 
Quali possono essere le cause di una situazione nazionale che si presenta così “a macchia di leopardo”?
L’esperienza di questi dieci anni ha consentito di evidenziare un differenziale sui dati oggettivi tra alcune Regioni e altre; in Regioni come l’Emilia Romagna, il Veneto, la Toscana, la Lombardia è presente, seppur con mille difficoltà, ciò che chiamo una “managerialità diffusa”. Cosa intendo quando uso questo termine? Significa che non solo la terna della direzione generale (direttore generale, sanitario e amministrativo aziendale), ma tutta la dirigenza delle professioni sanitarie (dagli infermieri ai tecnici dei vari settori, di laboratorio, di radiologia, etc) deve acquisire la consapevolezza che la competenza manageriale, quindi organizzativa, è una prerogativa che si deve possedere all’interno di una preparazione specifica professionale.
 
Non può esserci solo la competenza professionale;  un bravo chirurgo, un bravo ginecologo, radiologo, etc, nel momento in cui si acquisisce responsabilità organizzative, deve possedere obbligatoriamente anche quelle che vengono denominate competenze manageriali.
 
Una recente ricerca dell’Università di Harvard sulla necessità di ridurre la spesa sanitaria ( un problema che assilla non solo il nostro Paese!)  ha dimostrato che solamente individuando i mix produttivi migliori fra risorse umane e utilizzo di  beni e servizi si può raggiungere un livello di ottimizzazione del sistema che possa coniugare il duplice obiettivo di riduzione della spesa sanitaria e soddisfazione degli utenti.La carenza di competenze manageriali  è, a mio parere, la causa della difficoltà di accrescere la qualità dei Lea e rappresenta il vero differenziale tra le regioni virtuose e non.
 
Essendo stato per anni sub commissario alla sanità  in Campania e Abruzzo posso affermare con certezza che quello che manca in queste regioni è la consapevolezza della necessità di una managerialità diffusa; è la “cultura della managerialità” che stenta ad affermarsi.
 
Per quello che riguarda l’evoluzione dei Piani di rientro prevista nella Legge di stabilità 2016, essa prevede l’introduzione di una importante norma che impone che  le aziende ospedaliere (Ao), le aziende ospedaliere universitarie (Aou), gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici (Irccs) e gli altri enti pubblici che erogano prestazioni di ricovero e cura debbano provvedere alla redazione di un Piano di rientro rispetto ad un deficit maturato nella prospettiva di ridurlo, in un termine di tre anni, entro parametri accettabili.
 
L’individuazione degli enti da sottoporre a tale piano sarà effettuata, secondo le condizioni dettate dal comma 524, cioè nei casi in cui si ravvisi una o entrambe le seguenti condizioni: 1) presentano uno scostamento tra costi e ricavi pari o superiore al 10% dei suddetti ricavi o, in valore assoluto, pari ad almeno 10 milioni di euro; 2) registrano il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure.
 
Andare a verificare all’interno delle stesse regioni se le aziende ospedaliere sono in equilibrio o meno può mettere in difficoltà le Regioni stesse. Infatti, se la regione nel suo complesso è in equilibrio economico-finanziario, poco importa che ci sia un’Azienda, sul totale delle strutture presenti, che sia in squilibrio, poiché questo è un problema di gestione di governo delle regioni.
 
Ci sono infatti Regioni che scaricano le difficoltà sulle aziende ospedaliere e altre che le scaricano sulle aziende territoriali, e alla fine c’è un riequilibrio attraverso quello che si chiama normalmente fondo di riequilibrio regionale che viene distribuito o alle aziende ospedaliere o alle aziende territoriali, a seconda della scelta di governance effettuata dalla Regione. Questo, a mio avviso, potrà rappresentare un elemento di criticità nell’attuazione della norma.
 
Inoltre, da più parti si fa notare che la durata massima del piano di rientro, tre anni, potrebbe rivelarsi inadeguata per superare le situazioni di deficit più pesanti e si rischia, ancora una volta, di apportare correttivi a sacrificio dell’appropriatezza delle cure; c’è poi da considerare che la prevista decadenza automatica dei direttori generali in caso di esito negativo, potrebbe  indurre i direttori stessi a tagliare settori di assistenza in maniera, di nuovo, “lineare”.
 
Infine, e non ultimo per importanza, il tema posto dalle Regioni del superamento della logica del Piano di rientro e del commissariamento. Occorre individuare con chiarezza una via d’uscita.
 
Se le Regioni sono in grado di assicurare l’equilibrio economico finanziario e contemporaneamente aumentare la qualità dei Lea, a mio parere si può iniziare ad affrontare la questione dell’uscita  dai Piani di rientro. Diversamente, se ciò non si realizza, se non c’è un’adeguata attenzione per migliorare la qualità delle prestazioni, allora lo strumento dei Piani di rientro deve continuare ad esistere ed essere usato.
 
Giuseppe Zuccatelli
Presidente Agenas

30 giugno 2016
© Riproduzione riservata

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWS LETTER
Ogni giorno sulla tua mail tutte le notizie di Quotidiano Sanità.

gli speciali
Quotidianosanità.it
Quotidiano online
d'informazione sanitaria.
QS Edizioni srl
P.I. 12298601001

Sede legale:
Via Giacomo Peroni, 400
00131 - Roma

Sede operativa:
Via della Stelletta, 23
00186 - Roma
Direttore responsabile
Luciano Fassari

Direttore editoriale
Francesco Maria Avitto

Tel. (+39) 06.89.27.28.41

info@qsedizioni.it

redazione@qsedizioni.it

Coordinamento Pubblicità
commerciale@qsedizioni.it
    Joint Venture
  • SICS srl
  • Edizioni
    Health Communication
    srl
Copyright 2013 © QS Edizioni srl. Tutti i diritti sono riservati
- P.I. 12298601001
- iscrizione al ROC n. 23387
- iscrizione Tribunale di Roma n. 115/3013 del 22/05/2013

Riproduzione riservata.
Policy privacy